Mai come oggi l’opinione pubblica era
stata sottoposta a una manipolazione totalitaria come quella con cui TV e
grande stampa padronale informano i cittadini sull’andamento di ben due guerre:
quella in corso da due anni in Ucraina e quella in Medio Oriente, che infuria
con il massacro della popolazione palestinese a Gaza da nove mesi. Com’è noto
la guerra si combatte anche con le menzogne, e l’Italia è trascinata in guerra
da gran parte del ceto politico e dai media, in violazione di un articolo
solenne della nostra Costituzione. Dunque, senza alcuna pretesa di attingere
alla verità, metto il mio mestiere e i miei studi di storico a servizio di un
opera di chiarimento e documentazione utile ad avere un quadro sintetico (senza
apparato di noie e bibliografia) della situazione drammatica in cui stiamo precipitando.
Spero che serva anche a sollevare dall’angoscia del momento e a mostrare
qualche spiraglio di speranza e di impegno possibile.
Le sorti della guerra in Ucraina
Non lasciamoci fuorviare dai proclami e
dalle irresponsabili dichiarazioni di guerra mondiale da parte di dirigenti
della Nato, dai politici-pubblicitari e dai giornalisti padronali a pieno
servizio. La “guerra americana” in Ucraina è perduta. Le nuove armi messe a
disposizione dagli USA e dalla Nato non cambieranno le condizioni sul campo di
battaglia. Come ha ricordato Putin in una intervista di qualche mese fa, in
previsione di questa escalation: «ci faranno del male, certamente, ma non
cambieranno le sorti del conflitto». I missili che colpiranno obiettivi in
territorio russo produrranno morte e distruzione in questo o in quel luogo, ma
l’esercito russo proseguirà il suo corso sul fronte ucraino. Il popolo russo è
abituato a sopportare ben altre sofferenze. Gli attacchi occidentali avranno
l’effetto di rinserrare i ranghi della popolazione e di renderla più impegnata
nei compiti di produzione e difesa, rinsaldando lo spirito nazionale e il
consenso a Putin e all’attuale classe dirigente.
Ricordiamo che la mira fondamentale
degli USA e dei suoi alleati è, come voleva l’istituto di studi strategici USA
Rand Corporation, in un rapporto del 2019, «sovraccaricare e destabilizzare la
Russia» con una lunga guerra di logoramento. Prospettiva a cui Mosca si è
prontamente preparata, evitando di ripetere gli errori dell’Unione Sovietica,
che era arrivata a impiegare il 13% del PIL in spese militari (finendo
coll’implodere), e indirizzando l’economia verso lo sviluppo di tecnologie a
doppio uso, bellico e civile e destinando solo il necessario alle spese di
guerra. Non a caso di recente Putin ha sostituito il ministro della Difesa
Sergei Shoigu, un militare, con un abile economista, Andrei Belousov. Nel
frattempo, le relazioni economiche russe si sono quasi tutte spostate verso le
regioni dell’Asia e soprattutto della Cina, oltre che verso l’Africa e l’America
Latina. Significativamente, sul fronte ucraino l’esercito impiega il minimo
delle sue forze, per risparmiare vite e mezzi, sapendo che il tempo lavora per
il collasso interno dell’Ucraina.
Appare evidente, dunque, che i nuovi
armamenti inviati a Kiev faranno correre nuovi rischi all’umanità (la Russia
non si farà sconfiggere e umiliare perché preferirà la distruzione universale
alla sua sottomissione), ma non cambieranno il corso della guerra, che ha come
obiettivo un nuovo assetto politico delle province russofone, una ridefinizione
e sicurezza dei confini territoriali, la neutralità militare dell’Ucraina.
Inventarsi mire espansionistiche della Russia – che ha il più esteso territorio
statale del globo, con oltre 17 milioni di kmq per soli 160 milioni di abitanti
– serve per far dimenticare la cocente sconfitta subita dall’Occidente, le
bugie ridicole del giornalismo padronale e per far morire inutilmente altre
migliaia di ucraini (e di russi) con la distruzione più o meno completa
dell’Ucraina.
Nuovi scenari
Nel suo incontro con Putin, Xi Jinping
ha affermato: «Siamo di fronte al più profondo mutamento degli ultimi 500 anni
e siamo noi a guidarlo». In che cosa consiste questo mutamento?
1.
La cosiddetta globalizzazione negli ultimi 30 anni ha cambiato i termini
dell’economia mondiale. La delocalizzazione del capitalismo occidentale nei
paesi del Sud del mondo, dove ha accumulato ingenti profitti grazie ai bassi
salari locali, ha dato vita a una diffusa economia manifatturiera che oggi fa
concorrenza ai paesi colonizzatori.
2.
Queste economie, come quella cinese, ma anche indiana, brasiliana,
vietnamita, ecc. si sono evolute o si stanno evolvendo verso l’alta tecnologia,
ponendo le basi di una piena autonomia politica, finanziaria e anche militare.
Il vantaggio competitivo di questi paesi, gran parte dei quali fanno parte dei
BRICS, appare storicamente incontenibile per almeno due ragioni: a) lo slancio
verso lo sviluppo e il benessere delle popolazioni; b) il ruolo strategico
dello stato nel promuovere gli investimenti, regolamentare il mercato, tutelare
la forza lavoro, indirizzare gli investimenti privati. Un’economia mista simile
a quella che ha fatto il successo economico dell’Italia del dopoguerra e che
l’Occidente ha abbandonato in preda al delirio neoliberistico.
3.
Sul versante occidentale a tali fenomeni ha corrisposto un parallelo
processo di riduzione o smantellamento delle manifatture nazionali. In USA i
prodotti cinesi a basso costo hanno favorito i prezzi contenuti dei beni per i
consumatori americani (limitando l’inflazione), ma hanno messo in moto un vasto
processo di deindustrializzazione interna e di finanziarizzazione sempre più
spinta dell’economia. La ricchezza di carta sostituisce la ricchezza in forma
di beni. Questo fenomeno riguarda in varia misura tutti i paesi a capitalismo
maturo. Si pensi alla vicenda della FIAT in Italia.
4.
Sul piano politico le strategie neoliberiste, che hanno posto al centro il
mercato ed emarginato lo stato, perché – come aveva sostenuto Reagan nel 1981 –
esso costituiva “il problema”, hanno svuotato il ruolo dei partiti e perciò
hanno ridotto la democrazia a un simulacro. Il potere è nelle mani dei grandi
aggregati economico-finanziari, che dettano l’agenda ai governi, mentre i
partiti, che un tempo rappresentavano gli interessi popolari e organizzavano il
conflitto sociale, svolgono un compito subalterno di mediazione tra i poteri
apicali e i cittadini, considerati solo nel loro profilo di
elettori-consumatori.
Quali elementi di novità ha introdotto e
sta introducendo in questo scenario la guerra in Ucraina e in Medio Oriente?
1.
La fine della corsa espansiva degli USA. È vero che la NATO si è allargata
e rafforzata, che l’Europa pare esserne diventata un’appendice subalterna, ma
bisogna valutare a che prezzo e con quali esiti ultimi.
2.
La sconfitta militare degli USA nella sua guerra per procura con l’esercito
ucraino contro la Russia, getta un’ombra di discredito sul suo prestigio
imperiale. Essa segue a una sequela di disfatte: alla fuga dall’Afghanistan
dopo venti anni d’inutile sperpero di risorse e di vite umane, al caos tribale
lasciato in Iraq e in Libia, al fallimento dei tentativi in Siria, ecc.
3.
La sconfitta con la Russia, sia pure per interposto esercito, ma con armi
di tutto l’Occidente, ha tuttavia un significato più vasto. Il tentativo di
vincere la guerra calda dopo aver vinto quella fredda si è rivelato gravemente
sbagliato. Ha mostrato al mondo che la dirigenza USA non aveva più il polso
della situazione mondiale. Che le sue mire strategiche non sono più
sostenibili.
4.
In questi due anni di guerra, mentre si sono arricchite le industrie
belliche americane (che spesso hanno venduto agli ucraini anche armi obsolete)
la posizione debitoria degli USA verso l’estero corre verso il precipizio. Gli
analisti calcolano attualmente in 4.000 miliardi l’anno l’indebitamento
corrente dello stato. Il tesoro americano stampa carta verde, ma ormai il
timore del default è sempre più ampio. Significative le vendite di asset
finanziari da parte della Cina negli ultimi tempi. Comunque vada a finire, due
conseguenze sono evidenti: gli USA non possono più permettersi di fare i
gendarmi del mondo per mezzo di carta, senza avere ricchezza reale alle spalle,
il dollaro ha perso la centralità imperiale che deteneva da mezzo secolo. La
retorica liberista viene smentita, come ci ricorda Emiliano Brancaccio, dal
protezionismo dichiarato del friendshoring, cioè dello scambio alla pari solo
con i paesi alleati.
5.
Le sanzioni alla Russia hanno avuto un effetto rovesciato. Hanno spaventato
tutti i paesi non allineati agli USA, spingendoli a uscire dalla sua orbita
finanziaria, ha obbligato la Russia a una scelta strategica rivelatasi
vincente. Putin ha scelto la strada dell’autosufficienza economica,
indirizzando l’apparato produttivo verso le tecnologie prima acquistate dalla
Germania e da altri paesi occidentali, ma ha reso autonomi anche gli altri
settori, come quello alimentare, il più debole per tradizione, che costituiva
un mercato fruttuoso per i prodotti italiani. Oggi la Russia sta sviluppando
un’industria alimentare di prim’ordine.
6.
Le arroganti minacce USA e Nato (che ha mostrato il suo ridicolo e
irresponsabile dilettantismo nel suo maggiore rappresentante, Stoltenberg, già
stolto nel nome) e le guerre in corso hanno spinto Cina e Russia a superare
antiche divergenze e a stringere un’alleanza strategica che costituisce il
nucleo di riferimento alternativo all’Occidente di una vasta parte di popoli
del globo. Mentre era in corso la guerra in Ucraina e in Medio Oriente diversi
paesi africani si sono liberati degli ultimi avamposti del colonialismo
francese e la tendenza prosegue.
7.
I cosiddetti BRICS, che costituiscono per il momento un aggregato molto
eterogeneo e con non poche contraddizioni all’interno, hanno tuttavia un grande
potere attrattivo fondato su due ragioni: a) si pongono fuori dal campo
aggressivo dell’impero americano sempre più impotente e sempre più sanguinario;
b) offrono a tutti i paesi aderenti l’uscita dal dominio unipolare americano e
l’approdo a un assetto multilaterale e alla pari delle relazioni
internazionali. Condizione questa per lo sviluppo autonomo di ciascun paese,
fuori dai vecchi vincoli coloniali, e base imprescindibile di un assetto
pacifico del mondo su cui fondare una comune strategia di transizione ambientale
e cura del Pianeta. Senza questa condizione sarà impossibile intraprendere
l’unica strada che può portarci a evitare o contenere il collasso della
biosfera: un Costituzionalismo Globale, come quello teorizzato da Luigi
Ferrajoli.
8.
Il successo degli USA in Occidente ha il fiato corto e appare alla lunga
controproducente. L’assoggettamento dell’Europa è in realtà un asservimento
delle sue élites, non delle opinioni pubbliche, sempre più contrarie alla
continuazione della guerra in Ucraina a cui oggi il massacro in corso a Gaza
aggiunge una sempre più dispiegata avversione antiamericana. Ma la politica
USA, la spesa in armamenti per sostenere Kiev, le sanzioni anti-Russia, la
chiusura dei rapporti economici e commerciali, soprattutto della Germania, la fine
degli approvvigionamenti di energia a buon mercato, hanno inflitto un danno
troppo conclamato alle economie del Vecchio Continente. La Germania costituisce
il caso più clamoroso. Al quale danno in entrata si aggiunge quello in uscita:
la crescente compromissione del grande mercato di sbocco della Cina. Per
l’Europa si è spezzato un modello economico vantaggioso, durato alcuni decenni,
di acquisto a buon mercato di energia e materie prime e vendita di prodotti
finiti ad alto valore aggiunto. Consideriamo questa scelta suicida non più
sostenibile da parte del ceto politico europeo la cui condotta autolesionista e
servile nei confronti degli USA non ha più il consenso dei propri popoli. Tanto
più che dopo due anni di guerra in Ucraina, durante i quali la Russia stava
ogni giorno per crollare, i cittadini del mondo hanno sperimentato un fatto
memorabile. Gli organi di informazione, i grandi media, sono apparsi nella loro
realtà di un unico e gigantesco edificio costruito per manipolare l’opinione
pubblica. Pure macchine pubblicitarie al servizio del potere economico e
finanziario. Essi hanno infatti potuto verificare, come mai era accaduto in
tutta la storia passata, che per due anni i media hanno mentito con ogni mezzo
sulle sorti della guerra. Ma i cittadini europei hanno anche dovuto constatare
che le menzogne erano costruite contro gli interessi dei propri paesi, per
sostenere le mire belliche di un impero oltre Atlantico. E nessuna pagina di
storia si è mai costruita con questa logica perversa: i gruppi dirigenti che
spingono i propri popoli a operare in sostegno di chi li impoverisce e
danneggia.
9.
Infine. La perdita di credibilità dei grandi media costituisce un colpo
formidabile all’impalcatura del potere capitalistico, che non a caso sta dando
vita alla fioritura di canali informativi alternativi che ridurranno la TV a
mero intrattenimento pubblicitario e la grande stampa padronale a materiale del
chiacchiericcio autoreferenziale della politica politicata. L’informazione
dell’opinione pubblica troverà e sta già trovando altre strade di libertà e di
verità.
Gaza e Medio Oriente
1.
Chi condanna l’iniziativa sanguinaria e disperata del 7 ottobre da parte di
Hamas dovrebbe tener conto che essa è stata giocata come forse l’ultima carta
per tenere aperta una prospettiva di patria e di dignità al popolo palestinese.
Com’è noto a Gaza, una prigione a cielo aperto, i palestinesi abbandonati da
Abu Mazen e compagni, e soggetti alla costante umiliazione e violenza
dell’esercito israeliano, non avevano più prospettiva di redenzione. Con gli
accordi di Abramo tra Israele e i l’Arabia Saudita, mediatori gli onnipresenti
USA; nell’indifferenza sovrana dell’UE, compresa l’Italia, antica amica del
fronte arabo in Medio Oriente; dopo il riconoscimento di Gerusalemme quale capitale
di Israele da parte di Trump; con l’intensificarsi dell’occupazione violenta
della Cisgiordania da parte dei coloni israeliani; in presenza di una vasta
frantumazione degli insediamenti palestinesi, creata ad arte da Israele per
impedire l’unità territoriale di un possibile stato sovrano, il destino di un
antico e pacifico popolo appariva segnato alla consunzione e alla definitiva
irrilevanza storica.
2.
Quella sanguinosa apertura di una prospettiva statuale da parte di Hamas,
che sta costando decine di migliaia di vittime ai palestinesi, ha conseguenze
diverse, ma segna forse una svolta decisiva per la storia del Medio Oriente e
un avvenire sicuramente fosco per Israele. Non sappiamo quale precaria e
provvisoria situazione territoriale e politica verrà trovata per i palestinesi,
che tuttavia godono del favore dell’opinione pubblica mondiale, della
mobilitazione della gioventù anche dei paesi occidentali, e oggi appaiono, come
mai in tutta la storia passata, le vittime di uno stato terrorista e
sanguinario, che viola il diritto internazionale e si fa beffa dell’ONU.
3.
Ma il futuro più o meno immediato di questa regione appare destinato a
cambiare profondamente i rapporti politici e militari finora dominanti.
Grandissima parte dei parenti uccisi a Gaza diventeranno i militanti e anche
guerriglieri di Hamas. Le nuove generazioni arabe, le prossime élites dei paesi
che circondano Israele, saranno culturalmente plasmate dall’odio antiebraico e
guarderanno sempre più decisamente agli USA come un potere nemico. Ma in questi
mesi di guerra è accaduto qualcosa che la grande stampa ha camuffato, ma che ha
allarmato chi doveva capire. La risposta dell’Iran all’attentato alla sua
ambasciata, a Damasco, non è stato un fallimento, com’è stato strillato con
giubilo, ma un sorprendente e inquietante successo. Quel paese, che oggi non
vuole entrare in conflitto aperto con Tel Aviv e con gli USA, ha annunciato per
tempo la sua ritorsione militare, sicché Israele ha potuto predisporre la
batteria antimissilistica sorretta anche da alleati occidentali. Una semplice
dimostrazione per salvare l’onore, ma al tempo stesso un segnale e un
avvertimento di potenza balistica che mostra il grado di avanzamento
tecnologico militare raggiunto da questo Paese. I droni iraniani, infatti,
strumenti di morte costruiti dagli ingegneri a poco prezzo, hanno scatenato una
tempesta sui cieli di Israele che ha esaurito in occasione dell’attacco, tutte
le sue armi di difesa, con un costo che è stato valutato per un miliardo di
dollari. Ma quando da Teheran sono arrivati i missili balistici essi hanno
colpito con precisione millimetrica le basi militari israeliane cui erano
destinati. Che tali missili abbiano mirato i loro obiettivi a oltre 1.500 km di
distanza costituisce la prova che l’Iran ha raggiunto una potenza tecnologica e
militare in grado di colpire Israele in maniera devastante. Ricordiamo che
l’Iran è uno dei più grandi paesi del Medio Oriente, con un territorio di oltre
1.600.000 kmq e quasi 90 milioni di abitanti. Mentre Israele è un minuscolo stato
di poco più di 22.000 kmq, con 9 milioni di abitanti. Si aggiunga che Teheran,
anche per responsabilità degli USA, si sta fornendo di un arsenale atomico (che
secondo alcuni analisti possiede già) e si comprende bene che per Israele sta
per terminare l’epoca dell’arbitrio militare eslege in Medio Oriente. La sua
supremazia bellica, com’era prevedibile, compresa la deterrenza atomica, è alla
fine (la globalizzazione delle merci, come vuole questo magnifico capitalismo,
comporta la globalizzazione delle armi e delle tecnologie di morte più
sofisticate, compreso il commercio dell’uranio arricchito) e il suo futuro,
malgrado la potenza omicida che sta mettendo in mostra a Gaza, è appeso al filo
di una soluzione pacifica soddisfacente della questione palestinese. Bisogna
dare una patria a questo popolo, che altrimenti alimenterà una guerriglia
logorante e insostenibile. Questa è l’unica via di salvezza per Israele. Un
coraggio politico e strategico di cui le classi dirigenti israeliane e
grandissima parte del mondo ebraico internazionale sembrano oggi rovinosamente
incapaci.
4.
Il massacro in corso a Gaza aggiunge alla sconfitta americana nella guerra
in Ucraina un’altra onta difficilmente occultabile. Gli USA sono
corresponsabili del genocidio a Gaza, sia perché loro sono le armi che hanno
ucciso almeno 35 mila civili, loro sono i divieti al Consiglio di sicurezza e
all’Assemblea generale dell’ONU, che hanno impedito ripetutamente e
sistematicamente il cessate il fuoco. Al tempo stesso gli USA vengono umiliati
dal loro protetto che non accetta nessun condizionamento nella mitigazione del
massacro della popolazione. L’impero che foraggia uno stato fuorilegge non è in
grado di camuffare il proprio oltraggio al diritto internazionale e il proprio
impegno genocida, ma non riesce neppure a chiedere al suo agente in Medio
Oriente di coprire o mitigare le proprie responsabilità.
5.
Quel che sta accadendo a Gaza infligge un colpo mortale alle retoriche sul
cosiddetto mondo libero, fronte democratico, ecc. Oggi appare in filigrana la
qualità della democrazia USA: Biden non può ridurre le dimensioni del massacro,
premendo su Israele, perché i grandi banchieri ebrei minacciano di non
finanziare la sua campagna elettorale. La vita di decine di migliaia di persone
subordinata al calcolo elettorale di un presidente la cui elezione non cambierà
assolutamente nulla nel destino dei cittadini statunitensi, non modificherà di
un’oncia il grado di partecipazione degli americani alle decisioni che saranno
prese dal Congresso, formato da parlamentari i quali hanno dovuto impegnare e
sperperare una fortuna per essere eletti. Costoro contrarranno debiti morali e
politici pesanti con i loro finanziatori, il mondo delle imprese e della
finanza, e non certo con i loro elettori. Una democrazia davvero da prendere a
modello e da esportare nel mondo per tenere alta la fiaccola della civiltà.
Qualche conclusione
Le guerre fanno fare passi indietro a
tutta l’umanità e chi è costretto a indietreggiare di più sono le forze che
ambiscono di cambiare il mondo. Quindi è difficile essere ottimisti per
l’immediato futuro e la sinistra deve scendere a un nuovo livello di umiltà, di
ricerca e di riflessione da cui riprendere una battaglia di prospettiva
anticapitalistica.
Certo, in questi due anni l’UE ha
manifestato la sua drammatica pochezza strategica e la sua servile subalternità
agli USA. Rammentiamo che il Parlamento europeo – che mai ha avanzato una
proposta di trattativa e di pace per il conflitto in Ucraina – ha votato per
l’impiego di una parte di fondi del PNRR in armamenti, ed è rimasto silente e
inerte mentre sulle sponde del “nostro” mare, a Gaza, si consumava il più
atroce massacro di popolazione del XXI secolo. E francamente una realtà
sovranazionale, l’UE, che ha tolto sovranità ai singoli stati per consegnarla –
attraverso l’alleanza militare della Nato – a una potenza straniera, ha tradito
dalle fondamenta ogni sua ragione di esistere.
È lecito tuttavia sospettare (e anche
sperare) che da parte delle classi dirigenti europee, dietro tanta fuffa bellicista,
si nasconda la consapevolezza (nel frattempo maturata e tenuta nascosta) della necessità
di costruire una difesa comune sempre più autonoma dalla Nato. Molte cose, del
resto, concorrono verso questo esito. La sconfitta in Ucraina, l’inaffidabilità
finanziaria e politica degli USA, che forse finiranno in mano a Trump, i
vincoli autolesionistici di bilancio del patto di stabilità, il declino della
Germania e la crisi del modello economico europeo, costringeranno l’UE a
rendersi autonoma nelle spese militari e a fare i conti con una opinione
pubblica sempre più sfiduciata e distante dai propri rappresentanti e dal ceto
politico. Ma tutta l’UE, che ha sottratto in questi anni troppa democrazia ai
cittadini europei, va discussa dalle fondamenta.
Purtroppo per la sinistra le prospettive
sono francamente sinistre. La guerra ha diviso profondamente il suo fronte e
soprattutto ha messo in evidenza, in una forma sorprendente e drammatica,
l’analfabetismo culturale, il nulla di memoria e conoscenza storica,
l’insipienza teorica di una gran parte di essa. Non aver capito le ragioni vere
e profonde della guerra in Ucraina, l’aver accettato il racconto occidentale
del disegno imperialistico russo, che faceva tappa in Ucraina per poi arrivare
a Lisbona, ha svelato l’americanizzazione delle menti che tanto popolo e
intellettuali di sinistra hanno subito in questi anni. Elly Schlein è l’ultima
incarnazione di questo disastro culturale, che in politica estera la porta
sulle stesse posizioni di una neofascista oggi presidente del Consiglio. Ma
tali questioni hanno bisogno di altra sede e altro spazio.
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