La
cosiddetta “questione morale” esiste da sempre e in tutti i poteri del mondo.
La sua riproduzione è stata continua. Ma, certo, la controrivoluzione
liberista (meno Stato + mercato) ha ribaltato il rapporto
privato-Stato e fatto primeggiare il privato sino a fagocitare ogni meandro
della pubblica amministrazione.
Non è
casuale che non esistano statistiche riguardanti gli illegalismi e i reati di
cui membri della pubblica amministrazione sono imputati, né quelli dei
condannati. Tuttavia è verosimile che negli ultimi 40 anni di trionfo liberista
questi reati e il personale dell’amministrazione pubblica coinvolto siano
aumentati. Si tratta di amministrazioni locali e nazionali, di forze di
polizie, di forze armate, di funzionari ministeriali, della sanità e anche
della magistratura e della pubblica istruzione. Ufficialmente tutti gli Stati
si dicono impegnati nella lotta alla corruzione e ai reati del suo personale e
l’UE ha anche predisposto “norme anticorruzione più rigorose
per lottare contro la corruzione nell’UE e nel mondo” (in particolare dopo il caso Panzeri/Qatar). Ma la corruzione rimane tra le
preoccupazioni principali dei cittadini dell’UE: secondo i dati dell’Eurobarometro nel 2022 il 68% riteneva che
la corruzione fosse diffusa nel proprio paese e solo il 31% giudicava
efficaci gli sforzi del proprio Governo per combatterla. Ma i whistleblowing (cioè
chi denuncia illeciti e reati) restano rari anche perché la loro protezione
contro le probabili ritorsioni resta di fatto aleatoria o del tutto inesistente
(e ciò ancora di più nelle forze di polizia).
A parte il
paradosso che la stessa presidente Ursula von del Leyen è stata coinvolta,
quando era ministra della difesa tedesca, in illeciti mai puniti, gli alti euroburocrati
non lesinano proclami e propositi di moralità e etica: «La corruzione è
come un cancro: senza controllo, soffocherà la nostra società democratica e ne
distruggerà le istituzioni. Come avviene in ambito medico, va migliorata la
prevenzione» (la si assimila quindi a una malattia); ma si prospettano
anche «solidi strumenti di repressione e sanzioni contro la corruzione,
non solo a livello nazionale ma anche a livello europeo» (cfr. Věra Jourová,
Vicepresidente per i valori e la trasparenza). «La corruzione rimane
spesso impunita, in particolare quando è legata a figure di potere» (cfr.
Mairead McGuinness, Commissaria per la stabilità finanziaria, i servizi
finanziari e l’Unione dei mercati dei capitali). E il vicepresidente Josep
Borrell (anche lui assai poco “limpido”) aggiunge: «La
corruzione è un fenomeno globale e transnazionale che, secondo le stime, ha un
costo complessivo di almeno 5% del PIL» [NB: il dato è risibile se
confrontato all’ammontare delle più serie stime delle economie sommerse diffuse
in tutta Europa nell’ordine del 18-35% del PIL grazie a complicità,
connivenze e persino partecipazione attiva di agenti e funzionari della
pubblica amministrazione. En passant, ricordiamo che tutti i marchi
europei praticano da sempre, in piena impunità, la cosiddetta “frode
comunitaria”, cioè la produzione di merci in paesi terzi e persino fuori delle
zone doganali con etichette dei vari paesi UE già applicate e reintrodotte in
tali paesi. È inoltre noto il gigantesco peso del lobbying nei meandri dell’UE]. La stessa retorica
è cavalcata dalla vicepresidente Margaritis Schinas e da Ylva
Johansson, Commissaria per gli affari interni.
In Italia ci
sono stati alcuni importanti studi del fenomeno (fra altri, A. Pizzorno, Lo
scambio occulto, in Stato e mercato, 34 (1), 1992, pp.
3-34: http://www.jstor.org/stable/24650573; G. Melis, Storia
dell’amministrazione italiana, il Mulino, 2020, e più di recente, D. Della
Porta e A. Vannucci, La corruzione come sistema. Meccanismi, dinamiche,
attori, il Mulino, 2021), ma una socio-antropologia (ed etnografia) sembra
ancora mancare anche a livello mondiale.
A monte del
fenomeno c’è la discrezionalità propria a ogni sorta di
potere; a essa, di fatto, corrisponde la quasi perpetua impunità garantita
ai dominanti. In particolare, come suggeriva Foucault, la discrezionalità
degli agenti e funzionari delle polizie e dei magistrati (che «fanno quasi
sempre quello che le polizie dicono loro di fare») è come un “colpo
di Stato permanente” poiché – come ho illustrato in Polizie,
sicurezza e insicurezze, Meltemi, 2021 – permette di prescindere dalle
norme dello Stato di diritto, anche di quello che si pretende democratico e
garantista. La discrezionalità è infatti la possibilità dell’anamorfosi dello Stato
di diritto, ossia del passaggio dal legale all’illegale e viceversa non solo
con sanatorie o amnistie, ma anche rispetto ai procedimenti giudiziari
(attraverso la manipolazione o la fabbricazione delle prove e delle
testimonianze, i depistaggi ecc.). Se si scoprono scandali e reati è perché il
“retrobottega del potere” non funziona bene, cioè non riesce a tenere segreti.
Ciò è ancora più evidente nei paesi in cui i gruppi di potere sono tanti e
spesso in competizione o conflitto fra loro a dispetto di qualsivoglia
“interesse nazionale” anche a causa della loro transnazionalizzazione. In tutti
i paesi emergono comunque casi di corruzione, peculato e altri
gravi crimini nell’amministrazione pubblica anche perché ci
sono competizione e colpi bassi (l’amministrazione pubblica è sempre
un panier de crabes); per far carriera alcuni scaricano “fango” sui
competitors e i perdenti, quando possono, si vendicano e alimentano lo
scandalo. Lo stesso vale per la riproduzione delle devianze e persino della
criminalità nei ranghi delle polizie locali e
nazionali.
Appare
allora fondamentale il suggerimento di Simmel a proposito delle cerchie di riconoscimento sociale
e morale (aspetto
che riguarda tutti gli esseri umani, che appartengono a diverse cerchie in cui
forgiano le loro idee e a cui corrispondono comportamenti condivisi). Da quando
si comincia ad accedere all’amministrazione pubblica (in qualsiasi settore)
sino alla fine della carriera, l’appartenenza a una data cerchia o a più
cerchie è fondamentale rispetto ai comportamenti degli uni e degli altri. Chi
fa parte di una cerchia che legittima la corruzione o gli illegalismi, li
pratica come qualcosa di lecito e normale; chi invece fa parte di una cerchia
ligia alla morale e all’etica del rispetto per la res pubblica non
condividerà mai comportamenti illeciti; c’è poi chi sta in mezzo, oscillando un
po’ di qua e un po’ di là per non inimicarsi colleghi o pseudo-amici. Ma si fa
carriera solo se si fa parte di cerchie che permettono di approdare al potere
(ed è così anche nell’accademia universitaria). Se si ha la pazienza di leggere gli
atti giudiziari di tanti casi noti e meno noti riguardanti scandali clamorosi,
da Tangentopoli/Mani pulite al caso Palamara – ma anche casi di
mafia e tanti racconti di reati e crimini nei ranghi delle polizie –
appare chiara l’importanza delle relazioni inerenti le cerchie di parentela,
amicali, professionali, di vicinato o compaesanato e persino di amici
o semplici conoscenti in certi sport e palestre o divertimenti
(compresi le discoteche, i club, i giochi a carte ecc.). Fra i tanti scandali
recenti. il caso di Genova sembra stupire tanto, mentre non è che la
riproduzione dei soliti mastrussi, più eclatanti solo perché agiti
da parvenus arroganti
e maldestri.
L’aumento
degli illegalismi in questi ultimi 40 anni si situa nel contesto della
degenerazione dei partiti e del declino dei sindacati e degli organismi
intermediari e si inscrive nel processo di eterogenesi della
pseudo-democrazia, processo alimentato, appunto, dalla controrivoluzione
liberista. Da oltre 30 anni i partiti non hanno più nulla a che fare con quelli
del passato e si sono adattati a essere strutture per la presa del potere con
sempre meno voti, approfittando di ciò che si può chiamare “anomia politica”,
un’anomia prodotta dal processo di
profonda e continua destrutturazione economica, sociale, cultura e politica
conseguente, appunto, alla controrivoluzione liberista
(smantellamento dell’assetto produttivo della società industriale, boom del
precario, del sommerso, delle delocalizzazioni e atomizzazione e narcotizzazione fra socialwashing, greenwashing,
gentrificazione). L’astensionismo è una manna: i partiti hanno meno
elettori da conquistare, fidelizzare o comprare… Il Governo Meloni è
al potere e fa e sfa quello che vuole infilando parenti e amici in ogni meandro
col solo 27% degli aventi diritto al voto; i governi regionali e comunali
(dalla Lombardia al Lazio, passando per l’Emilia-Romagna e per le altre
regioni) non hanno il consenso che del 20-22% degli aventi diritto al voto.
Come spiega in dettaglio Lucia Tozzi nel libro L’invenzione di Milano, la pervasività del discorso
dominante ha stordito gli abitanti o li ha del tutto emarginati. O si è
integrati nella macchina liberista della riuscita, della quale si è diventati
credenti come per una religione, o si è out. Ed è scontato che la
riuscita passi attraverso la condivisione o l’assoggettamento a molestie o
persino a violenze sessuali e a complicità in vari illegalismi.
Da ormai 40
se non 50 anni la depoliticizzazione è un processo devastante, passato senza
che ce se ne accorgesse perché ha fagocitato quasi tutti: militanti,
intellettuali, media ecc. La controrivoluzione liberista ha trionfato. Il
fascismo “democratico” è al potere in quasi tutta l’Europa e nel mondo. Le
lotte, le resistenze sono effimere, disperse e lungi dal convergere in un solo
movimento, ma sono l’unica modalità di sopravvivenza rispetto al
supersfruttamento, alle angherie, alle brutalità del dominio liberista.
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