Ossessionata da un’invasione che non c’è, l’Unione non ha saputo realizzare un programma di ingressi umanitari dei rifugiati. Il ritardo è enorme. La rubrica di Gianfranco Schiavone
Tratto da Altreconomia 271 — Giugno 2024
Lo scenario delle politiche dell’Ue sull’asilo che si presenta di fronte al
nuovo Parlamento europeo che si insedia a giugno 2024 è preoccupante. Ad aprile
di quest’anno quello uscente ha approvato infatti il pacchetto di riforma del
sistema europeo di asilo che prevede ben nove testi di riforma
(regolamenti screening, procedure, rimpatrio alle frontiere,
gestione della migrazione e dell’asilo, sulle situazioni di crisi e di forza
maggiore, Eurodac, la nuova direttiva accoglienza, regolamento qualifiche e
quello che istituisce un quadro europeo sul reinsediamento).
Fatta eccezione per quest’ultimo, tutti gli altri atti normativi sono
ispirati a una logica di forte chiusura e perseguono tre obiettivi di fondo:
contrastare l’arrivo nell’Unione di persone in cerca di protezione
internazionale elargendo a Paesi terzi finanziamenti e mezzi tecnologici
affinché frenino il transito verso l’Unione europea dei rifugiati e divengano
per essi dei Paesi di confinamento; applicare in modo estensivo la nozione di
“Paese terzo sicuro” al fine di dichiarare inammissibili le domande di asilo
presentate nell’Unione dai richiedenti che avrebbero sviluppato un legame
(definito in modo del tutto vago) che ne giustificherebbe la loro deportazione
verso tali Paesi; estendere le fattispecie cui applicare la cosiddetta
procedura accelerata di frontiera di esame delle domande di asilo, con
limitazione della libertà di circolazione (e in diversi casi la libertà
personale) dei richiedenti asilo ai quali si applicherebbe la cosiddetta
“finzione di non ingresso”, anche se nella realtà sono presenti nel territorio.
Finalità di tale finzione giuridica è consentire, in caso di rigetto della
domanda di asilo, di applicare procedure di allontanamento più rapide con
minori garanzie di difesa.
Saranno dunque i Paesi dell’Unione europea aventi confini esterni, tra cui
l’Italia, a doversi fare carico di un maggior numero di domande di asilo e di
dover provvedere all’ipotetico allontanamento degli stranieri la cui domanda
verrà rigettata (un risultato paradossale per un governo di stampo sovranista
come quello in carica).
La riforma del Regolamento Dublino (con il citato regolamento di gestione)
che introduce una solidarietà obbligatoria tra gli Stati dell’Unione in caso di
pressione migratoria su uno (o più) di essi, non mitigherà gli effetti dello
squilibrio che verrà prodotto dal dilagare della procedura accelerata di
frontiera perché la solidarietà prevista dal regolamento stesso è
prioritariamente una solidarietà finanziaria; viene cioè introdotta la possibilità
di prendere quote di richiedenti (o di titolari di protezione) ma tale opzione
potrà essere sempre sostituita da finanziamenti verso il Paese europeo in
difficoltà o da finanziamenti verso Paesi terzi affinché rafforzino
ulteriormente i dispositivi per frenare i viaggi verso l’Ue dei rifugiati.
Sono 63.400 gli “attraversamenti irregolari” delle frontiere europee
secondo l’Agenzia Frontex tra gennaio e aprile 2024. Quasi un quarto in meno
rispetto allo stesso periodo del 2023
Si torna così al punto focale di tutto l’impianto della riforma che è
quello di cercare di “tenere fuori” dall’Unione i richiedenti asilo, una
strategia in atto da molto tempo e che viene analizzata in profondità da molti
autori nel recente saggio “Chiusi dentro” edito proprio da Altreconomia e
uscito in libreria in primavera. Mentre si chiude nell’ossessione
dell’invasione che non c’è, l’Unione europea non fa ciò che invece dovrebbe
urgentemente iniziare a fare, ovvero realizzare un robusto programma europeo di
ingressi umanitari di rifugiati che si trovano bloccati in Paesi terzi dove non
possono rimanere.
Il nuovo Regolamento per il reinsediamento e l’ammissione umanitaria di
persone con un chiaro bisogno di protezione è l’unico tra i testi approvati che
apre a una visione diversa in quanto prevede un piano europeo biennale di tali
reinsediamenti e fissa alcuni principi condivisibili. Il piano rimane tuttavia
ad adesione volontaria da parte degli Stati e questo lo renderà in larga parte
inefficace. È enorme dunque il ritardo storico che l’Europa sta accumulando
nella gestione delle migrazioni forzate.
Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni. Già componente del direttivo
dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati
onlus di Trieste
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