sabato 7 luglio 2018

The Student Hotel, lo studentato per «creativi» che vampirizza i quartieri popolari - Wolf Bukowski



 «Everybody should like everybody»

La scritta inizia in via Fioravanti, poi gira l’angolo e si conclude in via Tiarini. È una frase tracciata sul muro, a lettere enormi, di fronte al municipio di Bologna, senza pietà alcuna per la graffitofobia degli amministratori.
È dagli anni zero di Cofferati che ogni giunta dichiara l’allarme «tag» e predispone «task force» per mettere a tacere i muri. A breve la squallida crociata verrà condotta sfruttando il lavoro forzato  pardon, il «volontariato»  dei richiedenti asilo.
Ma la scritta che correrà lungo The Student Hotel non turba gli assessori, e non sarà cancellata. Essa è propaganda del capitale, è marketing, e quindi è legale, bella, e non fa «degrado».
E poi, diciamocelo, che male può mai fare un così bel messaggio, un così innocuo appello all’amore (o al piacionismo?) universale? Così universale e seriale da essere lo stesso identico  che orienta i passanti a Groningen, lampeggiando dall’alto del mastodontico Student Hotel della città neerlandese.

Che cos’è The Student Hotel
È da lì, dai Paesi Bassi, che The Student Hotel (da qui in poi: TSH) inizia nel 2012 la sua espansione, che oggi raggiunge Barcellona, Dresda, Parigi, Firenze e, con apertura programmata nel 2019, Bologna. Il progetto è quello di 10 strutture in Italia entro i prossimi cinque anni: a Roma, Torino, Milano, Venezia, Napoli, poi di nuovo Roma e Firenze; e poi Madrid, Berlino, Porto, Vienna…
«In tutto, TSH, che a oggi conta 4.400 stanze in 11 località, prevede di avere 65 proprietà operative, in costruzione o pianificate nelle città europee nei prossimi cinque anni. “Presto” anche negli Stati Uniti, Canada e Asia.» (Corriere Fiorentino, 7 giugno 2018)
TSH è uno studentato ma è anche un hotel. Questa sua duplice natura, invece di essere giustificata con la semplice necessità di non lasciare mai camere vuote, diventa essa stessa veicolo di propaganda:
«Ai fondatori di The Student Hotel venne in mente che se le esigenze di alloggio degli studenti, giovani professionisti e giovani viaggiatori fossero state unite sotto lo stesso tetto, si sarebbe potuto creare un ambiente vibrante sorprendente che avrebbe ispirato tutti.» (Comunicato stampa TSH)
Al fondo di questa scelta ibrida in realtà ci sono esigenze materiali, e nulla, proprio nulla, di quel «vibe» che pervade tutto il marketing attorno a TSH è casuale. Ma di questo parleremo più avanti: iniziamo, invece, con lo scomporre il generico «everybody» in soggetti reali; e vediamo quindi cosa effettivamente «piace» a TSH, e a chi «piace» questo brand in rapidissima ascesa.

TSH likes «vacant»
Annunciando il proprio arrivo a Bologna, TSH scrive di aver acquisito «vacant» l’edificio di via Fioravanti 27, dove un tempo si trovavano uffici della Telecom. Vero. Talmente vero che quando l’ha comprato (nella prima metà del 2016) la sua vacuità era diligentemente preservata da un presidio 24 ore su 24 di guardie giurate.
Ciò che TSH omette è che l’ex- Telecom era diventata «vacant» a suon di manganellate, pochi mesi prima, quando le trecento persone che l’avevano occupata con Social Log e l’abitavano erano state sbattute in strada dalle forze dell’ordine. Accadeva il 20 ottobre 2015: la «legalità», ovvero la speculazione immobiliare, era ripristinata.

In realtà TSH conosce benissimo la storia dell’ex-Telecom. Charlie MacGregor, fondatore e amministratore delegato, dichiara in conferenza stampa:
«Non solo ne eravamo al corrente, ma diciamo che questo è quasi il motivo principale per il quale abbiamo scelto proprio quella location […] conosciamo la brutta storia [ dell’ex-Telecom ] ma non ci interessa, ci interessano di più le potenzialità per il futuro […] L’edificio di per sé è bellissimo, si vede che è stato occupato e abusato, ma con un buon lavoro di restauro e design certamente diventerà un importante elemento di riqualificazione dell’intero quartiere.» (Radio Città del Capo, 27 giugno 2016)
L’occupazione è una «brutta storia», un «abuso», ma anche, in modo sibillino, «il motivo principale» per la scelta della «location». Di queste ambiguità è piena, come vedremo, tutta la comunicazione di TSH. Cominciamo con la prima.

TSH likes «multicultural»
TSH fa costante professione di multiculturalismo: «la nostra community: multiculturale, cosmopolita»; oppure: «Join our warm, welcoming multicultural community». Sempre nel sito TSH la Bolognina (il quartiere in cui si trova l’ex-Telecom) viene descritta come «multiculturale, cosmopolita, pop, creativa, divertente» e TSH ci si sente «come a casa».
Ebbene: il multiculturalismo che si trovava all’ex-Telecom occupata, quello dei suoi abitanti cinesi, marocchini, italiani, palestinesi e cubani che si riunivano in una meticcia assemblea di autogestione, è stato manganellato e sgomberato. Al posto di quel multiculturalismo dal basso arriva quello dei nuovi padroni della città, che indossano un vestito variopinto ma sono, come scrive Saskia Sassen, portatori di una sostanziale omogeneità :
«piuttosto che […] includere persone dalle molte estrazioni e culture, le nostre città globali espellono persone e diversità. I loro nuovi padroni, spesso abitanti “part-time”, sono molto internazionali – ma questo non significa che rappresentino diverse culture e tradizioni. Ciò che rappresentano è, invece, la nuova cultura globale del successo – e in questo sono straordinariamente omogenei, non importa quanto diversi siano i loro paesi di nascita e le loro lingue. Essi non sono il soggetto urbano che le nostre città – grandi ed eterogenee – hanno storicamente prodotto. Essi sono, più di ogni altra cosa, un soggetto “aziendale” globalizzato.»
Una conferma involontaria, e quasi caricaturale, dell’uniformità culturale dei futuri ospiti dello studentato ci viene dal già citato comunicato stampa di TSH:
«The Student Hotel offre qualcosa di veramente unico: una scena sociale precostituita e un network all’interno della comunità di giovani con le stesse idee.»

TSH likes «all forms of avante-garde artistic rebellion»
Scrive TSH presentando lo studentato bolognese:
«Portiamo il nostro stile fuori dagli schemi nel Quartiere Navile, meglio conosciuto come Bolognina o la piccola Bologna, un quartiere che ben rispecchia la nostra community: multiculturale, cosmopolita, pop, creativa, divertente. Questa è una zona di Bologna che storicamente ospita una scena underground, tutta graffiti, musica punk rock e anticonformismo artistico applicato in ogni forma d’avanguardia. Chissà perché ci sentiamo come a casa…»
Il fatto che in realtà nessuno abbia mai chiamato «piccola Bologna» la Bolognina è indicativo di quanto tra marketing e realtà i nessi siano labili, e di come non si proceda neppure a una reale conoscenza del territorio tanta è la fretta di metterlo a profitto. In ogni caso se la Bolognina è «storicamente» legata all’underground è grazie a realtà autogestite che sono già state spazzate via dalle trasformazioni urbane e – guarda un po’ – proprio dalla messa a profitto del territorio...

Nessun commento:

Posta un commento