venerdì 27 luglio 2018

Derive - Pascal Manoukian


(Traduzione di Francesca Bononi)

ci sono libri che raccontano storie di povera gente, i migranti, so chiamano adesso, vite di scarto, che riescono a elevare i protagonisti ad altezze insperate, miracolo della letteratura.
un padre e una figlia somali, un venditore di rose, un operaio moldavo hanno rischiato la vita e ipotecato la vita futura, solo per poter spostarsi, cosa che a noi capita senza troppe conseguenze (anche se qualcuno, giustamente, vorrebbe i centri di espulsione anche per noi),
nel romanzo conosciamo Virgil, Chanchal, Assan, Julien, Marie ed Elise, fra gli altri, e con la forza della fiducia e della solidarietà riescono a resistere.
un libro bellissimo, non sai cosa ti perderesti se non lo leggessi, e dopo averlo letto capirai.
davvero imperdibile, in questi tempi bui.







la scelta di scrivere un romanzo e non un reportage si rivela dunque particolarmente azzeccata, poiché nella letteratura c’è qualcosa di intimo che crea una sorta di complicità con il lettore, facendoci in questo caso realizzare quanto poco senso abbia la distinzione operata dalle regole internazionali dell’accoglienza tra rifugiati politici e “semplici” migranti economici, che non tiene conto del fatto che lasciare (o costringere) paesi alla povertà assoluta non può che portare a nuovi conflitti, dittature e rivoluzioni, e di quanto bisognerebbe piuttosto affrettarsi ad agire sulle vere cause di queste migrazioni.

Manoukian intesse una storia verosimile e ben costruita, che ci apre le porte del disperato mondo dei migranti. Un sottobosco popolato di sfruttatori, passatori, caporali che spesso sono connazionali, al quale il clandestino è costretto a piegarsi, semplicemente perché non ha scelta. Povertà e disperazione accentuano la crudeltà e l'umana cattiveria, ma l'autore vuole lasciarci un barlume di speranza. Quella che nasce fra queste quattro persone, pur non essendo affinità elettiva, è amicizia. È un legame capace di superare le differenze culturali e religiose. È solidarietà.
Dall'altra parte della barricata, c'è la polizia che bracca i clandestini per rispedirli in centri di detenzione e poi a casa. Ci siamo tutti noi che sappiamo, vediamo e facciamo finta di non aver visto. Ma ci sono anche Julien, Marie ed Elise, una famiglia francese qualsiasi, che un giorno decide di aprire le porta di casa sua per accogliere e per aiutare, a costo di finire nei guai con i vicini e con le autorità, perché i nuovi amici sono clandestini.
Non è una storia buonista, quella che racconta Derive di Pascal Manoukian. Basta avere il coraggio di arrivare fino in fondo per rendersene conto. L'autore, reporter di guerra e scrittore, si è documentato a fondo: la lettura di Derive aiuta a comprendere la mentalità e i drammi di chi scappa, raccontando anche le tragedie che affliggono le patrie da cui si è costretti a fuggire, le vessazioni e la violenza che si subiscono durante il viaggio della speranza verso l'Europa, le difficoltà che non sembrano avere mai fine. Manoukian esplora con profonda sensibilità l'animo dei clandestini. Non si fugge solo da una guerra: Virgil e Chanchal sono migranti per cause economiche, esiliati da patrie che non garantiscono un'esistenza dignitosa ai propri figli. Oggi sono loro a fuggire, cinquanta o cento anni fa sono stati i nostri nonni e bisnonni, alla ricerca di un futuro migliore per le loro famiglie.

...Le azioni si svolgono in un tempo ancora lontano dai numeri dei fenomeni migratori attuali: il 1992, un anno dopo la caduta dell’Unione Sovietica, lo scoppio della guerra civile in Somalia e il devastante ciclone tropicale che colpì il Bangladesh sudorientale. Guidati dalla cieca risolutezza di chi è sopravvissuto alla tragedia, i protagonisti di Derive sono gli apripista intraprendenti di un fenomeno destinato a prendere proporzioni smisurate, come profetizza Virgil rivolgendosi a un sindacalista: «Anche le cose che a voi sembrano più spente, per noi sono piene di luce! Più migliorate la vostra vita e più ci attirate come mosche. E questo è solo l’inizio, noi siamo solo i pionieri, i più coraggiosi. Vedrà, tra poco ci saranno migliaia di altre persone che seguiranno il nostro esempio e si metteranno in cammino da tutti i luoghi in cui gli uomini vengono trattati come bestie. Nessun muro sarà mai abbastanza alto, nessun mare sarà mai abbastanza burrascoso per trattenerli. Perché quello che di peggio c’è da voi, è comunque meglio di ciò che di meglio c’è da noi. Non potete farci niente, mi creda, quello che oggi è un lieve formicolio non è niente in confronto al prurito che sentirete domani».
Per anni Pascal Manoukian ha raccontato conflitti ed eventi attorno al mondo come reporter di guerra, e dalla minuzia nel tratteggiare i suoi personaggi si nota l’abitudine a osservare, ricordare, empatizzare con il dolore. Quelle del romanzo sono figure umane che si crede di conoscere abbastanza per poter predire come agiranno, salvo poi restare sorpresi dalle azioni inaspettate che la loro inventiva escogita quando subentra lo sconforto. Forse nell’evocare con tanta spontaneità le pene e le sfide delle migrazioni gioca un ruolo la storia della famiglia dell’autore, approdata in Francia dalla Turchia per sfuggire al genocidio del popolo armeno…

La caratterizzazione psicologica di Virgil, Assan e Chancal, nonché delle altre figure che incontreranno sulla loro strada, è tutta improntata sulle scelte che essi compiono a seconda delle contingenze ed è questo tipo di movimento che li porta, man mano che il romanzo va avanti, a stagliarsi nitidamente sullo sfondo di un mondo ingarbugliato e avvilente, dove vince chi abbandona qualsiasi scrupolo morale: la loro storia merita di essere narrata perché la metamorfosi, che chi li circonda vorrebbe per loro, nelle bestie da soma pronte a compiere qualsiasi abuso pur di sopravvivere, non si compie. Pur rinnegando molte delle certezze che custodivano prima di partire, essi scelgono di restare fedeli alla propria integrità.
La loro incompiuta trasformazione richiama, per contrasto, quella in larga parte già in atto nella società attuale e che vuole quest'ultima tradotta in un insieme di individui incapaci di empatia o compassione, in grado di annullare la propria coscienza storica, marionette nelle mani di chi vuole che riconosciamo nel prossimo il ladro di quelle entità intangibili che sono i nostri diritti.

In questo senso, Derive è qualcosa di più di un romanzo godibile e ben scritto: è l'offerta di una prospettiva meno miope su un fenomeno di cui troppo spesso si parla senza cognizione di causa e che, sfruttando i toni di un certo allarmismo populista sempre consono a diffondere insicurezza, viene facilmente strumentalizzato ai fini di una poco felice propaganda politica. Nel guidarci sapientemente nel mondo della clandestinità, Manoukian non cede mai alla tentazione moralizzatrice, preferisce farsi da parte e limitarsi a prestare un cuore e uno sguardo ai suoi personaggi. E in un periodo in cui precarietà e disoccupazione ci rendono tutti un po' “irregolari”, forse l'immersione nel microcosmo proposto dal'autore  può tornare utile a sollevare nel lettore il dubbio che, nella corsa per la (ri)conquista di migliori diritti, specchiarsi nell'Altro, qualunque sia la sua provenienza e lo stato del suo permesso di soggiorno, possa rivelarsi una risorsa e non per forza un inciampo.

Il desiderio di donare un volto ai migranti è possibile attraverso la creazione letteraria: ad un primo livello, quello prettamente testuale, lo scrittore riesce a realizzare una congrua mimesi del mondo ricreato e il lettore ravvisa, nelle descrizioni delle situazioni narrate, omologhe  rappresentazioni della realtà. Accade così che leggendo di Chanchal e del suo peregrinare per i locali notturni in cerca di coppie a cui vendere le proprie rose e immaginando il suo sorriso triste, prontamente visualizziamo le immagini dei venditori di rose incrociati agli angoli delle vie. Analogamente la descrizione dello sgombero del campo creato nel boschetto appena fuori dalla periferia rimanda sinistramente alle immagini viste mille volte ai telegiornali, non ultime le fotografie della rimozione di Calais avvenuto lo scorso ottobre. Esperto conoscitore della materia,  costella il romanzo di temi cari alla letteratura scientifica come il presentare i clandestini come non persone, reificandoli entro il dominio della natura attraverso non solo la scelta di farli nascondere al di fuori del confine cittadino, nel bosco, ma anche il ricorso a figure retoriche quali l’analogia con il mondo animale, agli uccelli migratori, ritroviamo inoltre il collegamento cibo-casa, il configurarsi delle prime reti familiari che fungeranno da traino per chi resta in patria. Se la mera rappresentazione mimetica riesce in parte ad avvicinare il lettore al mondo dei clandestini, a inverare il desiderio dello scrittore è il risvolto extratestuale che deriva dalla lettura della relazione amicale intercorrente tra i personaggi…

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