giovedì 5 luglio 2018

Il bambino che collezionava parole - Juan P. Villalobos


Tochtli è un bambino speciale, vive rinchiuso in un palazzotto, non ha mamma, ha una serie di persone ai suoi ordini, ha un babbo che lo protegge, lo tiene sequestrato.
quando il babbo è un narcotrafficante, il figlio è speciale, si costruisce i suoi giochi, capisce molto, ascolta molto, intuisce quello che basta.
e come il barone rampante Cosimo si crea un altro mondo.
poche pagine per un gran libro, non perdetevelo.





è un libro essenziale, conciso, senza sbavature o romanticherie. fa male come un diretto allo stomaco. non è brutto il libro, è raccapricciante la realtà che racconta attraverso lo sguardo (ancora innocente) di un bambino piccolo, per il quale l'abominevole è la normalità. da leggere per meditare sulla pervasiva immanenza del male.

l’autore crea un microcosmo dai tratti machisti, i cui personaggi hanno nomi preispanici, che sanno di tradizioni antiche, in cui gli omertosi sono ingenuamente visti come semplici muti, e in cui padre e figlio giocano a “vivo, cadavere o prognosi riservata”.
Con una prosa scorrevole, abile nel mantenere l’equilibrio tra un’ironia sempre latente e la tragicità di cui sono impregnati i fatti narrati, Villalobos racconta uno spaccato della società messicana con una delicatezza rara, non priva di tratti quasi surreali, favorita dalla prospettiva infantile. Un romanzo breve, fresco, che riesce con efficacia a svincolarsi dai classici canoni del thriller, e che forse, nelle parole di Tochtli, non vuole dirci altro che questo: «a volte il Messico è un paese nefasto, ma altre volte è anche un paese magnifico».

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