lunedì 2 luglio 2018

Messico, il trionfo della speranza - Christian Peverieri, Camilla Camilli



  
Un trionfo. Al terzo tentativo, Andrés Manuel Lopez Obrador vince le elezioni e diventa il primo presidente di “sinistra” della storia messicana.

AMLO, come è comunemente chiamato, a spoglio ancora in corso, ha ottenuto oltre il 53% delle preferenze, staccando di quasi trenta punti il successivo candidato, Ricardo Anaya della coalizione PAN-PRD. Ancora più indietro José Antonio Meade, il candidato del PRI, il partito della rivoluzione istituzionale e dell’attuale presidente Enrique Peña Nieto.
Il vantaggio è talmente esagerato che nemmeno i temuti brogli elettorali potranno eventualmente ribaltare e ha costretto gli avversari a riconoscere la sconfitta e ad augurare al nuovo presidente un buon lavoro. A riprova del successo, anche il presidente degli Stati Uniti, Trump, ha riconosciuto la vittoria di AMLO e si è detto pronto a lavorare con lui in sintonia. A lui si sono aggiunte le congratulazioni del presidente canadese Justin Trudeau, soprattutto in riferimento alla volontà di lavorare insieme al mantenimento del NAFTA (North American Free Trade Agreement), punto chiave sostenuto anche da AMLO durante la sua campagna elettorale.
In uno Zocalo gremito come solo nelle grandi occasioni, il presidente eletto ha festeggiato assieme ai suoi tantissimi sostenitori tutta la notte questa che, comunque la si veda, è una giornata storica per il paese. È la prima volta infatti che il Messico avrà un presidente che non proviene dal PRI o dal PAN dopo oltre 70 anni. È una sconfitta storica per il sistema politico e criminale messicano, che negli ultimi dodici anni (dalla vittoria di Felipe Calderon nel 2006 grazie ai brogli elettorali proprio su AMLO), ha visto crescere una spirale di violenza inarrestabile che ha prodotto oltre 250 mila morti, 35 mila desaparecidos, 360 mila rifugiati interni. In quella che è stata definita da molti come la campagna elettorale più violenta della storia, con oltre un centinaio di candidati (o familiari dei candidati) morti ammazzati, anche la giornata di ieri si è caratterizzata per la violenza che solitamente avvolge la quotidianità messicana. Alcune tensioni si sono registrate già la mattina presto quando la gente in coda da alcune ore è stata informata della mancanza di schede elettorali per tutti, vedendosi così privati della possibilità di votare. In altri casi si sono registrati casi di compravendita di voti a favore soprattutto dei partiti del PRI e del PAN.
In Michoacán è stata uccisa a colpi di pistola fuori dalla porta di casa l’attivista del Partito del Lavoro (PT) Flora Resendiz, mentre un’altra donna, Jeny Torres, è stata uccisa nello stato di Tabasco mentre si trovava in coda al seggio in attesa di votare da due uomini a bordo di una moto. In totale sembrano essere nove le persone assassinate nella giornata di ieri, tra cui anche un militante del partito di Morena. In altri seggi gruppi di uomini dal volto coperto e armati di bastoni, pietre e, in alcuni casi, anche da armi da fuoco hanno aggredito le persone presenti. Alcuni giornalisti e osservatori denunciano di essere stati detenuti illegalmente da gruppi armati o da forze di polizia.
Le prime parole dal palco e su twitter del nuovo presidente sono state: «Non vi tradirò, sarà un governo del popolo, con il popolo, per il popolo».

Nel suo primo discorso di ringraziamento AMLO ha inoltre dichiarato che la missione principale del suo mandato sarà «sradicare la corruzione e l’impunità. La corruzione non è un fenomeno culturale ma il risultato di un regime politico decadente».
Nella giornata di lunedì si conosceranno i risultati definitivi non solo rispetto all’incarico di presidente ma anche rispetto agli altri 3400 incarichi pubblici, tra i quali Camera e Senato, per i quali domenica si è votato e che permetteranno di capire la forza che avrà Morena in Parlamento per mettere in pratica i numerosi cambiamenti promessi. 
Cambiamenti che non sono per nulla scontati. La coalizione “Juntos haremos historia” della quale è capofila Morena, è composta anche dal PT (partito dei lavoratori) e dal PES (Partito Incontro Sociale) di destra, cattolico e tra le altre cose contro aborto e matrimoni omossessuali e che promette essere una spina nel fianco alle istanze sociali e democratiche promesse da Lopez Obrador. Quello che si festeggia oggi nelle piazze e nelle strade messicane è comunque la voglia di rinnovamento, la risposta “democratica” all’inaccettabile violenza e impunità a cui è stato sottoposto indiscriminatamente il popolo messicano dai due governi precedenti. AMLO vince perché la famigerata “guerra al narcos” (che altro non è se non una guerra civile per il controllo dei cittadini, dei territori e delle risorse) promossa da Felipe Calderon e portata avanti da Enrique Peña Nieto ha superato ogni limite e non è più accettabile per i cittadini messicani e giustificabile dai regimi democratici. 
Ora, dopo le tante promesse elettorali, si passerà ai fatti concreti. Non c’è dubbio che per i movimenti messicani, zapatisti e indigeni del CNI in testa, si apre una nuova e importante stagione politica: le varie esperienze progressiste del continente latinoamericano hanno dimostrato, coi fatti, i limiti di questa linea politica: il tradimento di ideali e valori, la svendita dei territori e delle risorse alle multinazionali, sono solo alcuni dei cortocircuiti che hanno fatto deragliare “la conquista del potere” dei vari caudillos progressisti latinoamericani e che potrebbero ripresentarsi in Messico nei prossimi anni. Il rischio di veder svanire anni di battaglie per i diritti nella lotta fratricida tra favorevoli e contrari al governo “amico” sarà un pericolo serio in questa fase.
Oggi però è il tempo dei festeggiamenti. Il grande merito di AMLO è quello di aver spezzato l’egemonia di un sistema politico mafioso, corrotto, violento e impune. Diamogli il beneficio del dubbio che, anche solo dovesse riuscire a far diventare il Messico un paese meno violento, sarebbe un primo e importante successo.

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