Il disco
venne registrato nel 1976 nello Studio Zanibelli di Milano e riproposto in
versione CD nel 2001 a cura dell'etichetta "Radio Popolare". E' un
album assolutamente complesso, di difficile e lenta assimilazione. Le musiche
sono state composte dal pianista jazz Gaetano Liguori. Le voci recitanti
appartengono a Concetta Busacca, Giulio Stocchi e Demetrio Stratos
(indimenticabile vocalist degli Area che ascoltiamo in Anma). Ci
troviamo di fronte a 9 brani di puro free jazz, dove Gaetano Liguori è
accompagnato dal fratello Pasquale alla batteria e da Roberto del Piano al
basso. Sono andato a rileggermi le cronache che ricordano il massacro di Tall
El Zaatar ("La collina del timo", in arabo), una bidonville alla
periferia di Beirut-est, la cui popolazione, nel 1976, subì una pulizia etnica
ante litteram, condotta dalle milizie falangiste cristiane per eliminare dalla
parte orientale di Beirut, da loro controllata, qualunque presenza palestinese
e musulmana.
Gaetano
Liguori nello stesso anno volle incidere un disco a memoria del massacro,
insieme a Giulio Stocchi, poeta popolare nell'area del Movimento Studentesco.
Le parti recitate, a distanza di quasi 40 anni, hanno perso il loro smalto:
regge solamente il brano sorretto dalla potente voce di Demetrio Stratos,
ispirato dalla drammaticità del racconto della violenza subita da Amna, una
ragazzina dodicenne sopravvissuta al massacro e destinata a divertire i
falangisti in un bordello. Sembra di rivivere la straziante scena di un film.
Decisamente fastidioso, in alcuni tratti, il recitato di Stocchi. Oramai
perso nella memoria di quei tempi dove la canzone politica e certe sonorità
jazz erano collocate nell'area della sinistra più estrema, il disco risente
della polvere del passato che lo ricopre. Resta valida la riscoperta
etnico-musicale di questo lavoro dimenticato dai più.
Dal lontano '77 l'eco di una strage infinita - Giorgio
Maimone
Ci sono
momenti in cui si fa fatica a scrivere di musica. Ci sono momenti in cui la
musica neanche la si vorrebbe sentire, per stare fermi e meditare. Questo e' un
momento cosi'. Ma la potenza della musica e' infinita e anche sull'orlo di una
tragedia riesce a farsi strada, ad arrivare fino a te e a parlarti con i suoni
e le parole giuste. E allora come lo si deve leggere se non come un segno del
destino (beffardo? Benevolo? A voi la scelta) il fatto che proprio da
quest'estate sia finalmente disponibile in cd un disco seminale?
"La cantata rossa per Tall El Zaatar" con cui Getano Liguori (jazzista, autore delle musiche) e Giulio Stocchi (poeta-operaio, autore dei versi) hanno voluto nel lontanissimo 1977 celebrare la tragedia del popolo palestinese, ricordando la strage del 1976, l'epilogo di un processo di vera e propria "pulizia etnica" portata avanti delle milizie falangiste cristiane, in Libano, per eliminare dalla parte orientale di Beirut qualunque presenza palestinese, musulmana, progressista.
"La cantata rossa per Tall El Zaatar" con cui Getano Liguori (jazzista, autore delle musiche) e Giulio Stocchi (poeta-operaio, autore dei versi) hanno voluto nel lontanissimo 1977 celebrare la tragedia del popolo palestinese, ricordando la strage del 1976, l'epilogo di un processo di vera e propria "pulizia etnica" portata avanti delle milizie falangiste cristiane, in Libano, per eliminare dalla parte orientale di Beirut qualunque presenza palestinese, musulmana, progressista.
Le stragi hanno sempre lo stesso nome e lo stesso odore, da
chiunque provengano. Liguori propose di fare un disco a memoria del massacro,
durato 53 giorni, a Giulio Stocchi, poeta popolare legato al Movimento
Studentesco. Demetrio Stratos e' coinvolto in un brano "Amna", recitato
e accompagnato dal piano straniato di Liguori che, per sua stessa definizione
si ispira al Pierrot Lunaire di Schoenberg.
E la voce di Stratos lasciata libera di vagare e dar corpo alla storia della dodicenne Amna che, sopravvissuta al massacro, e' destinata a divertire i falangisti in un bordello si impenna, si esalta, si sdoppia, si squarta, ci coinvolge. La scena si stacca con violenza dalla mono-dimensione del cd; i fantasmi evocati sono in mezzo a noi. Film polveroso in bianco e nero. Straziante.
Cosi', come altrimenti straziante e' il brano "La madre", recitato da Giulio Stocchi, mentre in sottofondo Concetta Busacca, figlia del grande cantastorie siculo Ciccio Busacca, canta antiche nenie siciliane. Insomma Sidun di Fabrizio De Andre' vola su altre dimensioni per raccontare una storia simile, ma "La madre" e' stata scritta quasi in presa diretta.
Non e' un lavoro facile "La cantata". Ha sulle spalle tutto il peso di quasi un quarto di secolo di storia e viene da quell'alveo di jazz italiano politicamente virato a sinistra che non ha prodotto rami forti e sani, ma stenti e gracili cespugli. Il tono retorico di Stocchi in alcuni momenti e' insopportabile e l'epica sfuma in una serie di vuote e roboanti frasi da "andate e alzate le palizzate (voi)" Il brano finale "La cantata rossa" e' da far saltare dal lettore, ma il resto e' valido e tutta l'opera e' importante come documento e come monito di una vicenda che oramai tende a diventare infinita. Da una strage all'altra. Fino alla prossima. Domani? O dopodomani? Strage infinita …
E la voce di Stratos lasciata libera di vagare e dar corpo alla storia della dodicenne Amna che, sopravvissuta al massacro, e' destinata a divertire i falangisti in un bordello si impenna, si esalta, si sdoppia, si squarta, ci coinvolge. La scena si stacca con violenza dalla mono-dimensione del cd; i fantasmi evocati sono in mezzo a noi. Film polveroso in bianco e nero. Straziante.
Cosi', come altrimenti straziante e' il brano "La madre", recitato da Giulio Stocchi, mentre in sottofondo Concetta Busacca, figlia del grande cantastorie siculo Ciccio Busacca, canta antiche nenie siciliane. Insomma Sidun di Fabrizio De Andre' vola su altre dimensioni per raccontare una storia simile, ma "La madre" e' stata scritta quasi in presa diretta.
Non e' un lavoro facile "La cantata". Ha sulle spalle tutto il peso di quasi un quarto di secolo di storia e viene da quell'alveo di jazz italiano politicamente virato a sinistra che non ha prodotto rami forti e sani, ma stenti e gracili cespugli. Il tono retorico di Stocchi in alcuni momenti e' insopportabile e l'epica sfuma in una serie di vuote e roboanti frasi da "andate e alzate le palizzate (voi)" Il brano finale "La cantata rossa" e' da far saltare dal lettore, ma il resto e' valido e tutta l'opera e' importante come documento e come monito di una vicenda che oramai tende a diventare infinita. Da una strage all'altra. Fino alla prossima. Domani? O dopodomani? Strage infinita …
È sempre difficile attestare come spesso le
grandi tragedie della storia non facciano che ripetersi: magari cambiano i
protagonisti, magari cambiano le condizioni, ma il succo dei fatti non cambia,
le cose più terribili ritornano, per quanto si speri sempre che ciò non
avvenga. La cantata rossa per Tall El Zaatar ci racconta una di queste tragedie:
era il 12 agosto del 1976 quando il campo palestinese di Tall El Zaatar (la
collina del Timo), già duramente provato nel corso della guerra civile
libanese, iniziata nel 1974, cadde dopo un assedio di cinquantatre giorni, e
cadde con l’inganno di una tregua non rispettata per mano dei falangisti,
appoggiati dai siriani, che con il pretesto di evacuare donne e bambini
compirono l’immane strage di migliaia di persone. La cantata rossa per Tall El Zaatar nasce così, dall’unione del
genio creativo di Giulio Stocchi, poeta- operaio che declamava la sua opera in
strada come Majakovskij, e di Gaetano Liguori, pianista jazz da sempre
impegnato in ambito politico, e principale esponente di tutta una corrente del
jazz italiano di tipo dichiaratamente politico che si sarebbe spenta
sostanzialmente con gli anni ’70; nasce dalla fusione di parola e suono, poesia
e musica; nasce per condannare il massacro di donne, bambini, innocenti
perpetrato, come sempre è stato e sempre sarà, consapevolmente, dietro la
spinta del desiderio di potere, della violenza cieca, della paura irrazionale. La cantata rossa per Tall El Zaatar è un’opera di pace, e come tale
deve essere letta e ascoltata ed accolta oggi, quando più che mai c’è bisogno
di tornare alle nostre radici umane: tutti gli artisti che parteciparono alle
registrazioni ed all’esecuzione lo fecero a titolo completamente gratuito, con
l’intenzione di devolvere quanto ricavato alla causa dei profughi, degli
sfollati e dei disperati palestinesi. Ovviamente, a causa degli impegni di
tutti i partecipanti, nella sola occasione della sua presentazione al pubblico
la partitura fu eseguita con l’organico completo: seguirono una serie di date
in tutta Italia col trio (P. Liguori, batteria; G. Liguori, piano; R. Del
Piano, basso) e Stocchi, che registrarono una importante risposta di pubblico,
e alcune puntate all’estero, come a Colonia, in Germania, dove agli spettatori
fu consegnato un libretto contenente traduzione dei testi di Stocchi, e si
registrò una reale commossa partecipazione del pubblico alla tragedia narrata
nell’opera(fonte: Roberto Del Piano). L’opera si apre con Fedayn, una splendida progressione che vede l’ingresso delle
percussioni, seguite in sequenza dal basso, dal piano, e dalla voce di Stocchi,
carica di un enfatico tono declamatorio che sarà la cifra stilistica
dell’intero lavoro, ricca di richiami armonici di stampo mediorientale, per
sfociare in I 53 Giorni, brano
dove il peso delle liriche dolenti di Stocchi e della sua voce si fa
predominante. Libertà subito è una lunga tirata strumentale carica
ancora di echi mediterranei, dominata nella prima parte dal piano di Liguori
che a poco a poco stempera la melodia iniziale assumendo toni sempre più aspri
e aritmici in un accalcarsi di note, un andirivieni tra momenti calmi e
sincopati, nei quali il piano scorre nervoso, sostenuto poi dalla sezione
ritmica in una lunga serie di note percussive, che pian piano tornano a far
emergere una più chiara frase melodica per poi esplodere di nuovo vorticose,
come una pioggia inesorabile e violenta, un diluvio. La tensione cresce fino a
divenire massima, insostenibile, per spegnersi quasi di colpo sul giro
iniziale, per poi tornare a salire, per poi spegnersi ancora, e ancora, e
ancora.Amna segna l’ingresso, nell’opera, della
voce di Demetrio Stratos, che si avvolge, si raddoppia, si erge sopra il
pianismo inquieto e lunare di Liguori: storia dello stupro di Amna, dodicenne
fatta prigioniera dai falangisti, resa con quello che altrove è stato definito
“un espressionismo pop agghiacciante”. La voce parte lenta come una marcia,
come la marcia dei prigionieri, incarna di volta in volta i vari personaggi, le
varie voci, ha picchi improvvisi, e accelera e diventa incalzante, e forte,
quasi insostenibile nel culmine della violenza narrata nel testo, gela il
sangue in un crescendo di grande intensità, un gioco di voci che si sdoppiano,
nel quale la voce stessa, anche quando sembra voler cullare l’infanzia spezzata
di Amna, stride, si contorce, si trasforma in una lama, incide e precipita
altro freddo sulla tragedia ormai compiuta. Piccolo Fadh, pochi
versi di Stocchi e un solo del basso di Del Piano, in bilico tra melodia e
ritmiche serrate, su un tappeto di percussioni, segue quindi uno dei momenti
emotivamente più difficili da sostenere dell’intero lavoro, e ne precede un
altro, La Madre, sul quale
Stocchi declama un testo in bilico tra un orrore ed un dolore indicibili ed una
rabbia che grida vendetta, sul sottofondo di nenie popolari siciliane cantate
da Concetta Busacca: anche qui l’impatto e la tensione emotiva non possono che
lasciare realmente stremati, senza forze e senza parole. Sulle Macerie è
un brano lento e riflessivo, desolato, nel quale l’iniziale melodia disegnata
da basso, batteria e piano ben presto si spezza, per tornare a salire
nuovamente, accelerando e rallentando. La rabbia e la voglia di giustizia
giungono solo con La Cantata Rossa, una
ritmica eccezionale ad accompagnare il testo in un crescendo emotivo
sottolineato dallo sciabordare dei piatti e dalle rullate della batteria fin
quasi a giungere al rumore, assordante come la violenza cieca di questo nostra
realtà, di fronte alla quale siamo tutti chiamati a restare “in piedi con la
nostra statura ed abitare il mondo”. Fedayn è la ripresa del primo pezzo, nella
quale il testo declamato da Stocchi assume valore universale e si colora di
nuove tinte (“..questo popolo ha sette anime ogni volta che muore rinasce più
giovane e bello”), chiosa ideale di un discorso circolare come unicamente può
essere un discorso fatto attorno alla violenza folle e che si autoalimenta e
cresce in se stessa come una spirale di odio lunga e profonda, che avvolge e
dalla quale sembra non esistere via d’uscita. Cosa può la poesia, cosa le
parole di fronte ad una tragedia muta e senza volto, infinita e profonda come
il tempo? La cantata rossa per Tall El Zaatar è la risposta a questa domanda, ed è
una risposta carica di rabbia e di desiderio di giustizia, una risposta di
pace. A chi oggi si tappa occhi ed orecchie si chiede il coraggio di guardare
ed ascoltare, e prendersi la propria responsabilità.
Si ringrazia di cuore Roberto Del Piano per le
informazioni e i ricordi che ha accettato di condividere con me, e che mi sono
stati di grande aiuto nella stesura di questo post, e soprattutto per la
disponibilità e l’amicizia.
qui i testi
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