venerdì 20 marzo 2015

La “scuola fotografica” che non valorizza talenti e merito - Alessandro Solidoro

Ho letto con grande interesse l’articolo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere e ho riflettuto come siano, più d’una e a vari livelli, le visioni che mancano per una “Buona Scuola” in Italia.
Premetto di essere privo di competenze specifiche , salvo quelle che mi derivano dall'essere padre di quattro figli che hanno e stanno percorrendo il cammino scolastico dalle materne all'Università.
Con mia moglie abbiamo cercato di non essere né spettatori, né attori fuori ruolo di tale percorso e abbiamo condiviso con ognuno di loro, nel rispetto delle diverse responsabilità,  le scelte  che di volta in volta abbiamo dovuto affrontare. Lo abbiamo  fatto senza convinzioni a priori, tra sistema pubblico o sistema privato, tra cultura classica o scientifica, tra Italia e estero. In ogni circostanza abbiamo cercato di scegliere in funzione delle capacità, delle attitudini e delle progettualità dei nostri ragazzi. Il risultato è stato variegato, alcuni di loro scolasticamente eccellenti, altri in perenne battaglia, altri con difficoltà.
Una sola vera differenza però siamo stati in grado di valutare e di apprezzare tra le diverse scuole che abbiamo frequentato e tra le decine di classi che abbiamo attraversato.
Esiste una scuola, un modello di scuola che sta lentamente prendendo il sopravvento.Si tratta della scuola “ fotografica”.
Che scuola è quella fotografica? Quella che riceve il bambino, il ragazzo, l’adolescente e si limita a prendere atto di come è: svogliato o motivato, competente o ignorante, sociale o solitario, inerte o progettuale. Una volta “fotografato”, ne dà un giudizio, un voto. In sintesi, lo incasella, lo etichetta e lo cristallizza. Che sconfitta! Per la scuola stessa, per i genitori, per la società, per il futuro. Che sconfitta nell’abdicare ad ogni sforzo per fare il proprio ruolo, quello di educare, di formare, di fare crescere.
Si tratta di una trappola che trova facilmente e superficialmente copertura in concetti apparentemente condivisibili, primo fra tutti, il merito. La scuola deve valorizzare e riconoscere il merito, ma deve contribuire a costruirlo, non a registrarlo. Deve raccogliere la sfida di quei diamanti grezzi che sono i nostri ragazzi e liberarli dalle scorie delle quali molto spesso sono loro stessi i produttori e spingerli a brillare; troppo facile prendere i gioielli  e limitarsi a lucidarli.
La richiesta è quella di farsi carico degli altri, che sono la maggioranza, ascoltarli, capirli ed aiutarli a venire fuori  nel meglio delle loro attitudini, consapevoli comunque che alla fine i risultati  saranno diversi per ciascuno.
Se la scuola non insegna ai ragazzi che esiste un cammino possibile di crescita diverso per ciascuno, non possiamo lamentarci dell’apatia che molto spesso i grandi attribuiscono ai più giovani.
Una scuola “fotografica” è una scuola settaria, elitaria, autoreferenziale che lascia ognuno come lo trova. Una scuola che aiuta a crescere, che è curiosa dei suoi ragazzi, che ha a cuore il loro futuro, dona ad ogni studente il senso e lo scopo di  diventare adulti.


Infine, con buona pace della retorica politica, questo parte dalla valorizzazione di quegli insegnanti, che per fortuna esistono (di ruolo o precari, cambia poco ), capaci di scorgere una fiammella e di alimentarla, molto prima che dalle lavagne interattive o dall’ipad in dotazione agli studenti.

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