Ho letto con
grande interesse l’articolo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere e ho riflettuto come siano, più d’una
e a vari livelli, le visioni che mancano per una “Buona Scuola” in Italia.
Premetto
di essere privo di competenze specifiche , salvo quelle che mi derivano
dall'essere padre di quattro figli che hanno e stanno percorrendo il cammino
scolastico dalle materne all'Università.
Con
mia moglie abbiamo cercato di non essere né spettatori, né attori fuori ruolo
di tale percorso e abbiamo condiviso con ognuno di loro, nel rispetto delle
diverse responsabilità, le scelte che di volta in volta abbiamo
dovuto affrontare. Lo abbiamo fatto senza convinzioni a priori, tra sistema
pubblico o sistema privato, tra cultura classica o scientifica, tra Italia e
estero. In ogni circostanza abbiamo cercato di scegliere in funzione delle
capacità, delle attitudini e delle progettualità dei nostri ragazzi. Il
risultato è stato variegato, alcuni di loro scolasticamente eccellenti, altri
in perenne battaglia, altri con difficoltà.
Una
sola vera differenza però siamo stati in grado di valutare e di apprezzare tra
le diverse scuole che abbiamo frequentato e tra le decine di classi che abbiamo
attraversato.
Esiste una
scuola, un modello di scuola che sta lentamente prendendo il sopravvento.Si
tratta della scuola “ fotografica”.
Che scuola è quella
fotografica? Quella che riceve il bambino, il ragazzo,
l’adolescente e si limita a prendere atto di come è: svogliato o motivato, competente o
ignorante, sociale o solitario, inerte o progettuale. Una volta
“fotografato”, ne dà un giudizio, un voto. In sintesi, lo incasella, lo etichetta e lo cristallizza. Che sconfitta! Per la scuola stessa, per i genitori,
per la società, per il futuro. Che sconfitta nell’abdicare ad ogni
sforzo per fare il proprio ruolo, quello di educare, di formare, di fare
crescere.
Si
tratta di una trappola che trova facilmente e superficialmente copertura in
concetti apparentemente condivisibili, primo fra tutti, il merito. La scuola deve valorizzare e riconoscere il merito,
ma deve contribuire a costruirlo, non a registrarlo. Deve raccogliere la sfida di quei diamanti grezzi che sono i
nostri ragazzi e liberarli dalle scorie delle quali molto spesso sono loro
stessi i produttori e spingerli a brillare; troppo facile prendere i gioielli
e limitarsi a lucidarli.
La richiesta è
quella di farsi carico degli altri, che sono la maggioranza, ascoltarli,
capirli ed aiutarli a venire fuori nel meglio delle loro attitudini,
consapevoli comunque che alla fine i risultati saranno diversi per
ciascuno.
Se
la scuola non insegna ai ragazzi che esiste un cammino possibile di crescita
diverso per ciascuno, non possiamo lamentarci dell’apatia che molto spesso i
grandi attribuiscono ai più giovani.
Una scuola “fotografica” è
una scuola settaria, elitaria, autoreferenziale che lascia ognuno come lo trova.
Una scuola che aiuta a crescere, che è curiosa dei suoi ragazzi, che ha a cuore
il loro futuro, dona ad ogni studente il senso e lo scopo di diventare
adulti.
Infine,
con buona pace della retorica politica, questo parte dalla valorizzazione di quegli insegnanti, che per fortuna
esistono (di ruolo o precari, cambia poco ), capaci di scorgere una fiammella
e di alimentarla, molto
prima che dalle lavagne interattive o dall’ipad in dotazione agli studenti.
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