C’è una classica poesia di Langston Hughes, il grande
poeta afroamericano, che domanda: che succede a un sogno differito?
Avvizzisce come un acino d’uva al sole, si affloscia, marcisce –
o esplode? A Ferguson, il sogno americano accarezzato da Martin
Luther e ventilato dall’elezione di Barack Obama sta infine esplodendo.
Un altro omicidio di polizia, nel giro di 24 ore, si è aggiunto ad
Atlanta alla definitiva impunità di chi ha ucciso Michael Brown: come
a Los Angeles nel 19992, l’esplosione non avviene dopo l’atto di violenza,
ma dopo che le istituzioni l’hanno sancito e cancellato.
La rivolta di Los Angeles nel
1992 non esplose dopo la bastonatura di Rodney King ma dopo l’assoluzione
dei poliziotti responsabili. Non c’è stata risposta violenta a Ferguson
dopo la morte di Brown, ma il verdetto ufficiale che ha ne negato la matrice
razzista è stato quello che fatto traboccare il vaso: perché qui non
è più questione solo del razzismo endemico nelle forze di polizia ma
della complicità di tutte le istituzioni: i tribunali, il governo,
l’America intera sono incapaci di garantire non dico la parità ma almeno la
sicurezza elementare della popolazione afroamericana.
Possiamo aspettarci adesso le
solite reazioni scontate: no alla violenza, gesti del genere sono controproducenti…
È probabile che ancora una volta Barack Obama si troverà messo
nell’angolo: inevitabilmente, dovrà stigmatizzare la violenza, esprimere
solidarietà ai due poliziotti feriti (componenti di una struttura ufficialmente
riconosciuta, questa sì, come razzista). e non riuscirà a fare
niente per assicurare i diritti della stesa gente che lo ha fatto eleggere
– se no, rischia che qualcuno ritiri fuori ancora una volta nei suoi confronti
la litania del “razzismo all’incontrario”.
Ma la storia qui è diversa
dal gesto individuale che ha ucciso due poliziotti a New York qualche
tempo fa. Qui sono membri di una comunità che ha provato finché ha potuto
a mantenere la calma, e che adesso non ne possono più; quelli che
hanno sparato possono non essere i più lucidi e responsabili ma
incarnano uno stato d’animo che va ben oltre loro stessi. Come disse Malcolm
X a Selma: l’America si deve rendere conto che se non dà ascolto alla
lotta non violenta di Martin Luther King, avrà a che fare con me. Sessant’anni
di movimento dei diritti civili, le rivolte urbane di Watts di Harlem
e di innumerevoli altri ghetti, la crescita di un ceto medio
e professionale afroamericano, l’elezione di un presidente nero –
dopo tutto questo, sembra che la storia si ripeta ancora come se non fosse
successo niente, come se solo l’esplosione violenta della rabbia potesse far
capire all’America in che stato si trova. Perché l’America è in guerra
e rifiuta di accorgersene: a guardare quello che dicono gli opinionisti
in TV, si tratta solo di problemi locali e incidenti isolati.
Una catena infinita di «incidenti
isolati». Un conteggio probabilmente sottostimato dà la cifra di 3300
persone uccise dalla polizia fra maggio 2013 e febbraio 2015. La
pagina facebook Killed by Police elenca con nomi e foto 33 morti (quasi
tutti neri, latini o nativi americani) nei primi 15 giorni di questo
mese di marzo 2015, più di due al giorno. In 15 anni di guerra in Iraq
e Afghanistan i caduti americani sono stati 5281: circa 350
l’anno, contro i 400 l’anno che secondo i dati ufficiali governativi,
sicuramente sottostimati, sono gli americani uccisi dalla polizia. Avevano
ragione quelli che dicevano che un giovane nero ha più possibilità di
essere ucciso nel suo quartiere che in Afghanistan.
Nel frattempo, tutta l’America
dei partiti, dei media e delle istituzioni è sconvolta da un
nuovo «scandalo»: pare che Hillary Clinton abbia mandato email ufficiali
con il suo account personale. Sono queste le cose importanti davvero.
E l’acino d’uva continua a marcire.
Son sempre più dell'idea che la questione razziale in america sia stata nascosta negli ultimi 20-30 anni, dietro altri problemi o dietro altre (supposte) soluzioni: prima la crescita economica, poi la crisi.
RispondiEliminaCosì, di fatto, ai neri si son fatte alcune concessioni, piuttosto minimali, ma il sistema (fatto di cultura, di educazione e di un raddicato senso di "differenza") non è stato poi scalfito.
Ricordi "ogni maledetta domenica", quando il quarterback chiede quanti allenatori o proprietari di squadre di coloro esistano? Ecco, in fondo siamo sempre lì: i neri come comunità esistono solo "nei bassifondi" e persino Obama non resta altro che un puntino isolato, mentre i problemi sono difusi ovunque...
Ma può l'America affrontare veramente il problema come negli anni '60? La mia impressione è che col reaganismo e la regressione delle politiche pubbliche, questa possibilità sia andata perduta: chi, oggi, invierebbe la Guardia Nazionale in Alabama?
ps: ti ho citato in questo post....
http://discutibili.com/2015/03/16/16-marzo/
grazie per il bravo, intanto...
Eliminadei neri molti si ricordano quando portano medaglie, e a qualcuno gli fanno fare il presidente, ma ogni bel gioco dura poco, e sopratutto deve restare ingabbiato, il discorso di Obama a Selma è davvero bello.