venerdì 19 agosto 2016

Nostra Signora del Nilo - Scholastique Mukasonga (traduzione di Stefania Ricciardi)

una scuola d'elite, per ragazze di ottima famiglia, lontano dalla città, vicino alle sorgenti del Nilo, all'inizio degli anni '70, gestita da suore e preti, europei di lingua francese, belgi, i professori.
le regole ci sono, ma davanti ai potenti e prepotenti si cede facilmente.
le ragazze sono hutu, un paio di tutsi per mostrare di essere tolleranti verso gli esseri inferiori.
il genocidio che avverrà anni dopo è nell'aria (non si capiva la portata), si teme sempre, arriverà anche una regina belga, in visita, per far capire quanto è importante la scuola per il potere.
quando poi è avvenuto il genocidio nessuno capiva, nessuno sapeva, Scholastique Mukasonga ci racconta che tutto era scritto, e prevedibile.
da quel microcosmo di montagna, in quel collegio particolare, si poteva capire tutto, e se si fosse ascoltato chi capiva le cose sarebbero state diverse.
e il Belgio, milioni di morti in Congo, quando era una proprietà privata del re serial killer Leopoldo, e dopo l'indipendenza mai hanno lasciato il Ruanda, muovendo le pedine assassine, o almeno non fermandole quando potevano ancora.
un'altra storia di banalità del male, che si traveste con regole burocratiche, non è il MALE, è solo il male.
un libro interessante - franz








Inizia così:
Non c’è liceo migliore del Nostra Signora del Nilo. Non ce ne sono neanche di più alti. 2500 metri, annunciano fieri i professori bianchi. 2493, corregge suor Lydwine, la professoressa di geografia. «Siamo così vicini al cielo» sussurra la madre superiora giungendo le mani.
Poiché l’anno scolastico coincide con la stagione delle piogge, il liceo si trova spesso tra le nuvole. Qualche volta, ma assai di rado, c’è una schiarita. Allora, giù in fondo, si intravede il grande lago come una pozzanghera di luce livida.
Il liceo è per le femmine. Loro, i maschi, restano giù nella capitale. È per le ragazze che il liceo l’hanno costruito così in alto, così distante, per tenerle lontane, per proteggerle dal male, dalle tentazioni della grande città. Perché le signorine del liceo sono destinate a un bel matrimonio. Ci devono arrivare vergini, se non rimangono incinte prima. Vergini è meglio. Il matrimonio è una cosa seria. Le convittrici del liceo sono figlie di ministri, di militari d’alto rango, di uomini d’affari, di ricchi commercianti. Il matrimonio delle loro figlie è un fatto politico. Le ragazze ne vanno fiere, sanno perfettamente quanto valgono. Sono lontani i tempi in cui contava solo la bellezza. In dote, le famiglie non avranno solo mucche o boccali di birra tradizionali, ma anche valigie traboccanti di banconote, un cospicuo conto in banca alla Belgolaise di Nairobi o di Bruxelles. Grazie a loro, la famiglia si arricchirà, il clan consoliderà la sua potenza, la dinastia espanderà il suo dominio. Sanno perfettamente quanto valgono, le ragazze del liceo Nostra Signora del Nilo…

S'immagina un'ispirazione autobiografica per questo romanzo, dato che la scrittrice è nata nel 1956, ha frequentato una scuola superiore che accoglieva le alunne a pensione e l'ha dovuta abbandonare nel 1973 per esiliarsi in Burundi al fine di sfuggire alle stragi e ai pestaggi di Tutsi da parte degli Hutu. Tuttavia il romanzo riesce a raccontare una storia terribile e, s'immagina, particolarmente dolorosa per chi l'ha concepita, da una prospettiva più ampia, non priva di alcune pagine umoristiche o sarcastiche, ad esempio quelle che riguardano i laboriosi preparativi che coinvolgono tutto l'istituto per accogliere la regina Fabiola del Belgio. In un'intervista riguardante i diversi premi letterari ottenuti da Nostra Signora del Nilo, Mukasonga ha specificato che lo humour è un tratto tipico della cultura ruandese. Nonostante viva in Francia dal 1992 e sebbene proprio in Francia, nel 1994, abbia appreso dell'uccisione di ventisette membri della sua famiglia, inclusa la madre, questa scrittrice riesce a manifestare un sufficiente distacco dalla storia narrata nel romanzo, tanto da riuscire a strappare qualche amaro sorriso ai suoi lettori. Persino uno dei momenti chiave della vicenda, quando una studentessa vuole sfregiare la statua della Madonna per applicarle un "naso hutu", è raccontato in modo da mettere in rilievo la goffaggine, l'incoscienza, l'ignoranza che animano la giovane. Certo, proprio il distacco e a tratti lo humour con i quali il romanzo è narrato rendono ancora più raccapricciante il quadro generale. Le violenze sempre più efferate vengono vissute dalle protagoniste con la crudeltà dell'esaltazione cieca. Anche le vittime degli eventi, che pure sanno di essere destinate a una brutta fine, non sanno salvarsi. Solo il caso o un passeggero umore adolescenziale potranno sottrarre i personaggi a un fato avverso. Questo romanzo contribuisce ad indagare su un passato vicino e per nulla superato e ci suggerisce che ignoranza, crudeltà e superficialità non sono mai troppo lontane nello spazio e nel tempo. Infatti, le adolescenti di Nostra Signora del Nilo, con i loro sentimenti esacerbati anche perché lungamente frustrati e contenuti, ci sono davvero familiari. Anche le figure degli adulti, tutti in diversa misura meschini, hanno tratti universalmente riconoscibili, così come lo squallore delle relazioni umane evocate con tanta precisione. Non resta che sperare che la storia (e questa storia) ci insegnino qualcosa.  
Paola Ghinelli

Scholastique Mukasonga è una ruandese di etnia tutsi che le persecuzioni hutu del 1973 hanno costretto alla fuga – prima in Burundi e poi in Francia, dove vive tuttora. Le vicissitudini di Virginia, giovane tutsi del Nostra Signora del Nilo, sono quindi un po’ anche le sue vicissitudini, rivissute e raccontate a vent’anni dal genocidio del 1994 che le ha strappato ben ventisette familiari (madre inclusa!) per indagarne ancora una volta le cause e ridare voce a chi non ne ha più da tempo. Encomiabile ed innegabile, quindi, l’intento educativo e di sensibilizzazione del romanzo – pubblicato, tra l’altro, con il sostegno dei Programmi di aiuto alla pubblicazione dell’Institut francais. Nonostante questo e l’uso di un linguaggio tutto sommato piuttosto scorrevole e piano, il volume risulta comunque una lettura non troppo avvincente a causa soprattutto dell’eccessiva frammentarietà della narrazione e della superficialità degli avvenimenti narrati, che rendono difficile al lettore l’immedesimazione e la partecipazione. I personaggi, piuttosto abbozzati, risultano infatti quasi privi di spessore psicologico e sembrano agire più per casualità e necessità che per vera intenzione.

Il messaggio che Scholastique Mukasonga trasmette attraverso questo suo riuscitissimo romanzo sta proprio nel rimarcare che il seme di un odio tanto feroce non è germinato né per caso né troppo in fretta. Il genocidio ruandese ha origini profonde e lontane nel tempo. E' un mostro che è stato nutrito poco alla volta e per decenni fino a quando non ha trovato il suo disumano sfogo in quel tragico periodo di venti anni fa. Scholastique Mukasonga ha perso, in tutto, 37 familiari durante il genocidio dei tutsi. La sua arte, il suo raccontare non è altro che un modo per mantenere viva la memoria. Lei non era accanto alla sua gente, sente la colpa di chi sopravvive e non può che piangere i propri cari. In un suo articolo la Mukasonga spiega che è stato proprio il genocidio a fare di lei una scrittrice: i morti possono sopravvivere in lei proprio grazie a ciò racconta nei suoi libri. Un compito estremamente impegnativo che la scrittrice africana ha affrontato in "Nostra Signora del Nilo" in maniera intelligente e penetrante. Il liceo di cui racconta non è altro che il microcosmo-specchio di un Paese intero. La bellezza di questo romanzo, oltre che nell'elaborazione di una storia emblematica, sta anche in una scrittura agile, leggera ma possente. Elementi utili a rendere la Mukasonga una delle voci più stimolanti e valide del panorama letterario attuale.

“La scrittura per me è stata il solo mezzo terapeutico per sopravvivere. Il passato non deve essere oblio e la scrittura serve per depositare la verità. Io avevo un veleno dentro di cui non riuscivo a liberarmi. Sono riuscita a farlo solo con i primi tre romanzi autobiografici”.
 Così si esprime in un’intervista in Italia la scrittrice ruandese al momento di un giro di presentazioni del suo primo testo tradotto in italiano “Nostra Signora del Nilo”.
Di etnia tutsi è stata costretta a fuggire prima in Burundi, poi in Francia per sfuggire alla persecuzione degli hutu, scampando così, nel ’94, ai massacri che hanno visto la morte di quasi un milione di persone. Dal ’92 risiede in Normandia e solo con la scrittura è riuscita forse  a superare il terribile fatto che 27 membri della sua famiglia sono stati barbaramente trucidati, il suo villaggio interamente distrutto, non senza aver sviluppato, come spesso succede in questi casi, la sindrome del sopravvissuto.
Ma se “Inyenzi ou Les Cafards” , “L’ignifou” e “ La femme aux pieds nus”narrano eventi dichiaratamente autobiografici, in modo particolare del suo villaggio e della madre, il romanzo che vi presentiamo ricorre alla fiction: finalmente, cessata l’urgenza personale di ricordare tutti i suoi morti, la trama si allarga a narrare eventi di un microcosmo femminile, situato in un liceo ruandese, ai tempi degli anni’70, quando il genocidio era ancora di là da venire, ma già scoppiavano pogrom e crescevano pregiudizi e intolleranze: ora la Mukasonga si sente finalmente una scrittrice e ha vinto un premio letterario francese nel 2012.
Sente l’autrice che sono le donne le protagoniste del riscatto e della rinascita lenta e complicata del suo paese, dove è riuscita a tornare dopo molti anni dal massacro del ’94. Le donne hanno pagato più degli altri, con gli stupri sui loro corpi, oltre che con la sofferenza e la fame e si sono adoperate per prime per il ristabilimento della legalità e di una sia pur difficile riconciliazione .
Per questo forse la lente d’ingrandimento offerta dalle storie di  vita delle studentesse liceali di Nostra Signora del Nilo, innocenti eppure già carnefici in pectore, apre uno squarcio sulla società in generale. Queste non sono liceali qualunque, ma le figlie della crema del partito hutu al potere, degli alti papaveri militari,dei banchieri e uomini di affari, merce di scambio, attraverso buoni matrimoni, tra famiglie potenti e clan  per acquisire ancora più lustro. I tempi sono cambiati, si sa, e la dote in bestiame e soldi è meglio se accompagnata da un diploma prestigioso, da un’ottima conoscenza del francese e delle buone maniere all’europea…

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