Il mio maestro di giornalismo Gino Melchiorre, reduce da
alcuni scontri on line relativi ad una mostra in corso a Cagliari e
intervenendo sul tema dei migranti accampati in piazza Matteotti, invia al blog
questa interessantissima riflessione sui tempi che stiamo vivendo, sull'impatto
che le tecnologie hanno nella creazione dell’opinione pubblica, sulla politica
tornata in mano a gruppi familiari e sugli ostracismi che subiscono le persone
che si permettono di criticare o dissentire. E la soluzione che propone mi
sembra interessante. Il dibattito è aperto.
***
Caro
Vito,
i
tuoi post sono sempre informati, argomentati e intelligenti. Qualità che, oggi,
vengono guardate con grande sospetto. Perché a un giornalismo del genere uno
non c’è più abituato. Forse è per questo che sei oggetto di campagne
denigratorie che non entrano nel merito di quanto descrivi. Si limitano
all’invettiva.
Vorrei
aggiungere solo una nota (non di dissenso, ma di commento) a ciò che dici.
Tu
parli di sinistra e destra come fossero entità distinte e legate a principi
fondativi, noti e condivisi dagli associati. Non è così. Ormai destra e
sinistra esistono solo come indicazioni stradali. Perché come partiti politici
hanno “esaurito la loro funzione propulsiva”, come diceva quel tale.
Sono
stati chiusi i luoghi associativi (vedi la sezione Lenin a Cagliari) in
religioso silenzio, sono stati abiurati statuti, princìpi, scopi, vincoli
ideali e simboli di appartenenza.
Alcuni
pensano che siamo tornati agli anni ’50. Magari fosse. In realtà – come scrivi
– siamo un po’ più indietro. Siamo alle famiglie. E nemmeno quelle tipo
Guelfi/Ghibellini o Montecchi/Capuleti. che, nel bene e nel male, esprimevano
una cultura civica fatta di conflitti, ma anche di capacità politica e
amministrativa.
Oggi
il conflitto funziona solo la mattina. Perché, al calar del sole, Guelfi e
Ghibellini, bianchi e neri, rossini e verdini, si ritrovano tutti in pizzeria,
alla Loggia, ad Arcore o al Nazareno. Per mettere a punto democratiche
spartizioni di potere tramite alleanze variabili e tradimenti trasversali.
Niente
di nuovo, certo: Dante era Guelfo di parte Bianca e si aspettava coltellate
dalla fazione avversa. Invece è dai suoi colleghi di partito che gli arriva la
condanna a morte. Ma lui, seppure dall’estero, ha avuto la possibilità di
criticare quanto era accaduto e accadeva. Quei giudizi, redatti in forma di
Cantiche (poveraccio, in mancanza di meglio era iscritto alla Corporazione
degli Speziali) hanno prodotto un flusso ininterrotto di chiose e commenti. A
volte non benevoli, ma sempre articolati e pertinenti. Non dei tweet del tipo:
“Bello mio, sei un trombato invidioso. E pure ricchione. Lo sanno tutti che
tutti sanno delle scappatelle in barca con Lapo e Guido. Lo ha detto anche
Striscia la Notizia”.
Noi
siamo andati molto avanti con l’estetica tecnologica. Ma per poterlo fare con
maggiore celerità, siamo tornati indietro con l’etica e l’ecologia politica. È
la società dello spettacolo. Il quale non è un granché, ma è quello che passa
il convento. E ora è con Tweet e Like che si forma la nuova “pubblica
opinione”. È la Società dello Spettacolo e la DPT (Democrazia Partecipativa
Taroccata).
Perché,
dagli incunaboli ai social, non è aumentata, come molti credono, la quantità di
Informazione (intesa come evento talmente inedito e improbabile, da costringere
l’utente a resettare il suo intero sistema di attese, di valori e di idee). È
solo aumentato il numero degli strumenti di Comunicazione (intesi come
formidabili diffusori di stronzate che, nella ripetizione, trovano
autorevolezza, senso e consenso).
È
la stessa democrazia taroccata che chiede al pensionato-elettore di dire se è
favorevole alla scissione o alla fusione dell’atomo.
La
cosa più curiosa è che “la situazione è drammatica ma non seria”. Perché il
taroccamento è evidente e rozzo. E i tuoi post sono un buon contributo per il
loro disvelamento e sputtanamento. Lo mostra il numero di quanti, per ragioni
diverse, condividono il tuo punto di vista.
Ci
sono ancora cospicue sacche di imbecillità? Ma certo: tra idraulici e
intellettuali, tra giornalisti e palombari, tra conservatori di sinistra e
progressisti di destra. Del resto, decenni di pensiero debole, di riduzione di
ogni complessità a semplicità, e di Masanielli e Ciceruacchi, perché avrebbero
dovuto colpire solo la casalinga di Voghera e risparmiare tutti gli altri? Decenni
di Drive-in e di Amici di Maria, di “Capitali coraggiosi” e di “Abbiamo una
banca”, di “Siamo tutti americani” e di “mi hanno pagato la casa a mia
insaputa”, è normale che abbiano lasciato il segno.
Noi
abbiamo fatto l’Italia a colpi di referendum popolari in cui, su cento
cittadini, cinquanta non avevano diritto di voto, trenta non sapevano leggere e
scrivere, e quindici erano pagati dagli agenti di Cavour. Gli altri cinque se
ne fottevano beatamente.
Malgrado
ciò abbiamo scritto una Carta costituzionale ottima e efficace. Perciò va
cambiata. In modo che il 20% del 40% che va a votare, abbia il 100% del potere
decisionale.
Abbiamo
eletto liquidatori di aziende e corruttori di giudici a presidenti del
Consiglio. E i commentatori più saggi e lungimiranti, invece di considerare la
possibilità di spararsi una revolverata, spiegavano a Porta a Porta e a Ballarò
che “non c’erano alternative”.
Allora
siamo tutti vittime e insieme carnefici? Tutti innocenti perché ugualmente
colpevoli? Siamo tutti nella stessa barca? Non proprio. Perché alcuni si sono
rifiutati di andare a Porta a Porta a sparare cazzate: non sono stati sbarcati,
ma solo messi a pane e acqua. Altri invece sono scesi a Saint Tropez e,
aperitivo in mano, sollecitano a gran voce i galeotti in attesa di capire se la
barca affonda o no.
Che
fare? Non lo so. Credo che per il momento sia necessario resistere. E
continuare a parlare e ascoltare chi è interessato a fare altrettanto. Ma credo
che sia anche il momento di mandare educatamente affanculo chi pronuncia
sintetici ostracismi e anatemi contro ogni critica o dissenso.
Perché
– com’è noto – la Resistenza ha un limite.
Nessun commento:
Posta un commento