Ogni ebreo ha il dovere di impegnarsi a porre fine all’occupazione - Emily Hilton
Un mese fa, ho trascorso la mattina del mio Shabbat inseguita giù per una collina da soldati israeliani nella città di Hebron. Facevo parte di un gruppo di 40 ebrei che stavano aiutando un proprietario terriero palestinese a trasformare la sua fattoria per far posto a un cinema, prima che fosse dichiarata “zona militare chiusa”. Ho avuto paura – paura di un esercito che mi era stato insegnato a rispettare e ammirare per la maggior parte della mia vita. Paura di ciò che sarebbe potuto accadere agli attivisti palestinesi che erano con noi, se fossero stati catturati.
Facevo parte di un viaggio di 10 giorni organizzato dal Centre for Jewish Non-Violence (CJNV), che vede gli ebrei di tutto il mondo nei Territori Occupati impegnati a portare pacifica solidarietà alle comunità palestinesi. Durante il viaggio, abbiamo incontrato molti pacifisti israeliani e palestinesi che lavoravano insieme per aiutare a porre fine all’occupazione.
Riconosciamo che, come ebrei, nel contesto di occupazione siamo più potenti dei nostri omologhi palestinesi, tutte le azioni sono state però guidate dai nostri partner palestinesi. Questo si è rivelato particolarmente efficace perché, mentre ci sono numerose discussioni nella comunità ebraica, eventi e viaggi su Israele/Palestina, la mia esperienza è che ben pochi hanno scelto di dare priorità alla collaborazione con attivisti e comunità palestinesi come è stato fatto in questo viaggio.
Le azioni alle quali abbiamo preso parte possono sembrare inefficaci a confronto con il potere del governo israeliano, ma hanno ancora impatto – sia aiutando il villaggio palestinese di Umm al-Khair con il lavoro agricolo sia partecipare ad una festa di strada nel quartiere palestinese di Silwan nella Gerusalemme est . Agendo in solidarietà con quelle che sono chiamate dall’ IDF [ndt. Esercito di Occupazione] e da alcune comunità di coloni “azioni impegnative” che rendono la vita per i palestinesi insostenibile e insopportabile è stato importante partecipare come ebrei.
Abbiamo voluto denunciare attivamente le politiche che continuano a perpetuare l’umiliazione dell’occupazione. Le nostre esperienze, di aiutare la realizzazione di un progetto con l’organizzazione Ta’ayush, per sgombrare terreni di proprietà palestinese e far posto alla costruzione di un cinema a Hebron, ha rinforzato in me la sfida contro la narrazione usurata e i pregiudizi nella nostra comunità che afferma “noi o loro” o che non c’è “nessun partner per la pace”.
I residenti del villaggio palestinese di Susiya nel sud di Hebron sono stati espulsi dal paese nel 1986, ed è ora un sito archeologico israeliano. Da allora, ci sono state numerose demolizioni ogni volta che il villaggio veniva ricostruito in diverse parti della territorio. Susiya è stato il posto dove abbiamo trascorso il nostro Shabbat dopo l’azione a Hebron.
La famiglia di Nasser, un attivista B’Tselem, ha preparato una stanza per coloro che osservano lo Shabbat, ha anche preparato il nostro pasto di Shabbat ed è stata molto gentile e accogliente per noi. Il 15 agosto di quest’anno, è ancora una volta prevista la demolizione di Susiya. L’idea che la demolizione delle case di queste persone potrebbe essere giustificata per la mia sicurezza è francamente assurdo.
La maggior parte delle conversazioni nella nostra comunità ruotano attorno a punti finali. Uno stato o due? Sionista o non sionista? Ebreo o democratico? Queste sono tutte domande importanti, ma, allo stato attuale, sono secondari per l’impatto delle politiche del governo israeliano sui palestinesi che vivono in Cisgiordania. Abbiamo la responsabilità di ascoltare l’esperienza di persone che vivono la loro vita sotto il governo militare. Anche se queste conversazioni ci creano disagio o addirittura vergogna.
Durante uno dei nostri ultimi giorni del viaggio, il direttore del CJNV ci ha detto che non c’è niente di complicato con l’occupazione: O sei di supporto o sei contro di essa. Come ebrei della diaspora, abbiamo una responsabilità fondamentale e l’obbligo di contribuire a realizzare la sua fine. Dobbiamo farlo non solo perché abbiamo a cuore Israele che agisce fuori dai suoi valori democratici.
Essere parte del movimento per porre fine all’occupazione deve provenire da un luogo ebraico, perché è dal giudaismo che ho imparato i miei valori di giustizia sociale, e la fine dell’occupazione dovrebbe essere un problema ebraico di giustizia sociale. Dobbiamo riconoscere che il controllo israeliano in corso sui territori occupati significa che i palestinesi continuano ad essere trattati senza nessun rispetto per la dignità umana. Questo è qualcosa su cui non possiamo rimanere in silenzio.
L’anno prossimo saranno 50 anni di occupazione e la CJNV vuole dare appuntamento a 500 ebrei della diaspora in Israele/Palestina per dire 50 anni sono 50 anni di troppo. Spero che vi unirete a noi.
About Ta’ayush – A proposito di Ta’ayush [Dal loro Sito]
Noi – arabi ed ebrei, israeliani e palestinesi – viviamo circondati da mura e filo spinato: i muri della segregazione, il razzismo e la discriminazione tra ebrei e arabi all’interno di Israele; le mura dell’apartheid, la chiusura e l’assedio che circonda i palestinesi nella Striscia di Gaza e la West Bank occupata; e il muro della guerra che circonda tutti gli abitanti di Israele, fino a quando Israele rimarrà una fortezza armata nel cuore del Medio Oriente.
Nell’autunno del 2000 ci siamo uniti insieme per formare “Ta’ayush” (in arabo “vivere insieme”), un movimento di base di arabi ed ebrei che lavorano per abbattere i muri di razzismo e la segregazione con la costruzione di una vera e propria partnership arabo-ebraico. Insieme ci impegniamo per un futuro di uguaglianza, giustizia e pace con azioni concrete, tutti i giorni, azioni non violente di solidarietà per porre fine all’occupazione israeliana dei territori palestinesi e per raggiungere la piena uguaglianza civile per tutti.
trad. Invictapalestina.org
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