Temo e sospetto che in occasione del 4 novembre come e
più che nel passato anche quest’anno – in cui ricorre il Centenario – si
scateneranno le fanfare della retorica, patriottarda e militarista, con eventi,
manifestazioni, raduni d’arma, conferenze e cerimonie solenni in molte città
italiane. Senza alcun pudore. Infatti non c’è proprio niente da celebrare
e tanto meno festeggiare alcuna vittoria. Infatti: vittoria di che e di
chi? Quella guerra fu semplicemente una inutile strage, una
gigantesca carneficina come la definì il Papa Benedetto XV in una
enciclica del 1914 (Ad Beatissimi Apostolorum Principis),.
Una guerra contro il volere della larga maggioranza
dello stesso Parlamento, imposta dal re Vittorio Emanuele III (più noto come
Sciaboletta, che firmò l’Atto di ingresso), con la complicità del primo
ministro (Salandra) e il responsabile degli Esteri (Sonnino). Voluta dai grandi
Gruppi industriali (in primis dalla FIAT e dall’Ansaldo di Genova, guidata dai
fratelli Pio e Mario Perrone) che non a caso finanziarono i giornali
nazionalisti e guerrafondai, ad iniziare dal Popolo d’Italia,fondato
da Benito Mussolini. Essa rappresenterà – è il grande storico
Enzo Gentile, a scriverlo – “oltre che il tramonto della Bella Epoque,
il naufragio della civiltà moderna. Una guerra nuova, completamente diversa da
quelle fino ad allora combattute: per l’enormità delle masse mobilitate, per la
potenza bellica e industriale impiegata, per l’esasperazione parossistica
dell’odio ideologico” 1. Una guerra – scrive Freud – “che
ha rivelato, in modo del tutto inaspettato, che i popoli civili si conoscono e
si capiscono tanto poco da riguardarsi l’un l’altro con odio e con orrore” 2.
Una vera e propria catastrofe annientatrice d’ogni
forma di vita e civiltà, trasformate in cumuli di rovine: riducendo l’Europa a
“un’oasi estinta e sterile” scrive il tedesco Ernst Jünger, “dove non c’è segno
di vita per quanto lontano possa spingersi lo sguardo e sembra che la morte
stessa sia andata a dormire”3. Con centinaia di città
sistematicamente distrutte, completamente cancellate dalla faccia della
terra. Ma soprattutto con un ingentissimo numero di soldati sacrificati
inutilmente: la sola la Italia ebbe 650 mila morti e 2 milioni tra
feriti e mutilati. E insieme alla carneficina di vite umane, la
devastazione e distruzione della natura. A descriverla in modo suggestivo è il
romanziere francese Henri Barbusse, combattente sul fronte occidentale, che
parla del Nuovo mondo costruito dalla guerra nel Continente europeo: “un mondo
di cadaveri e di rovine ”terrificante, pieno di marciumi, terremotato” 4.
Ma c’è di più: nuove e ancor più drammatiche
conseguenze si profileranno all’orizzonte con la fine dei combattimenti
e il Trattato di Versailles. Con il ridisegno dell’intera geografia europea
secondo la volontà dei vincitori, si ponevano infatti le premesse per altre
tragedie: la corsa al riarmo e la militarizzazione di massa della società che
saranno alla base dei regimi totalitari come il fascismo e il nazismo. I
650 mila morti e i più di 2 milioni di feriti e di mutilati erano costituiti
soprattutto da contadini, operai e giovani mandati al macello nelle trincee del
Carso, sul Piave, a Caporetto e nelle decimazioni in massa ordinate dagli
stessi generali italiani. Carne da macello fornita soprattutto dai meridionali
siciliani, calabresi, campani, lucani e sardi, mentre i settentrionali per lo
più erano produttivamente impegnati nelle fabbriche di armi e di cannoni.
Sardi soprattutto, almeno in proporzione agli
abitanti: alla fine del conflitto la Sardegna avrebbe infatti contato ben
13.602 morti (più i dispersi nelle giornate di Caporetto, mai tornati nelle
loro case). Una media di 138,6 caduti ogni mille chiamati alle armi, contro una
media “nazionale” di 104,9. E a “crepare” saranno migliaia di pastori,
contadini, braccianti chiamati alle armi: i figli dei borghesi, proprio quelli
che la guerra la propagandavano come “gesto esemplare” alla D’Annunzio o,
cinicamente, come “igiene del mondo” alla futurista, alla guerra non ci sono
andati. La retorica patriottarda e nazionalista sulla guerra come
avventura e atto eroico, va a pezzi. Abbasso la guerra, “Basta con le
menzogne” gridavano, ammutinandosi con Lussu, migliaia di soldati della
Brigata Sassari il 17 Gennaio 1916 nelle retrovie carsiche, tanto da far
scrivere in Un anno sull’altopiano allo stesso Lussu: Il
piacere che io sentii in quel momento, lo ricordo come uno dei grandi piaceri
della mia vita. In cambio delle migliaia di morti, – per non parlare
delle migliaia di mutilati e feriti – ci sarà il retoricume delle medaglie, dei
ciondoli, delle patacche. Ma la gloria delle trincee – sosterrà lo storico
sardo Carta-Raspi – non sfamava la Sardegna.
Sempre Carta Raspi scrive: ”Neppure in seguito fu
capito il dramma che in quegli anni aveva vissuto la Sardegna, che aveva dato
all’Italia le sue balde generazioni, mentre le popolazioni languivano fra gli
stenti e le privazioni. La gloria delle trincee non sfamava la Sardegna, anzi
la impoveriva sempre di più, senza valide braccia, senza aiuti, con risorse
sempre più ridotte. L’entusiasmo dei suoi fanti non trovava perciò che scarsa
eco nell’isola, fiera dei suoi figli ma troppo afflitta per esaltarsi, sempre
più conscia per antica esperienza dello sfruttamento e dell’ingratitudine dei
governi, quasi presaga dell’inutile sacrificio. Al ritorno della guerra i Sardi
non avevano da seminare che le decorazioni: le medaglie d’oro. d’argento e di
bronzo e le migliaia di croci di guerra; ma esse non germogliavano, non davano
frutto” 5. C’è da festeggiare per questo dramma
immane? Magari spendendo soldi in parate militaresche?
O non ha forse ragione il sindaco indipendentista di
Bauladu, Davide Corriga, che per la ricorrenza del 4 novembre organizzerà –
come negli anni passati – una contro celebrazione, senza il tricolore, con il
gonfalone del paese oristanese, a significare il rifiuto della retorica
patriottarda? Certo – ha dichiarato – “È un giorno di commemorazione anche
per noi indipendentisti.
Ma non dobbiamo dimenticare che i nostri caduti non persero la vita per l’unità d’Italia, la persero lasciando la nazione sarda orfana di figli, padri e fratelli in nome di un riscatto, in nome della libertà per la nostra terra.”
Ma non dobbiamo dimenticare che i nostri caduti non persero la vita per l’unità d’Italia, la persero lasciando la nazione sarda orfana di figli, padri e fratelli in nome di un riscatto, in nome della libertà per la nostra terra.”
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