Ci sono pochi luoghi
in Israele dove il suo carattere di apartheid è più evidente che l’imponente
aeroporto internazionale appena fuori Tel Aviv, che prende il nome dal padre
fondatore del paese, David Ben Gurion.
La maggior parte degli
aerei che atterrano in Israele devono girare al di sopra della Cisgiordania
prima di effettuare la discesa. Sotto, a più di due milioni di Palestinesi che
vivono sotto la crudele occupazione israeliana è vietato di usare l’aeroporto.
Dipende, invece, dalle decisioni capricciose degli ufficiali militari se sarà
loro permesso di attraversare un confine di terra per entrare in Giordania.
Sono relativamente più
agiati rispetto ai due milioni di Palestinesi a Gaza occupata, cui è negata
anche la minima libertà.
Nel frattempo, un
numero analogo di Palestinesi che vivevano chiaramente come cittadini dentro
Israele, devono passare sotto le forche caudine del controllo del profilo
razziale prima che possano imbarcarsi su un volo.
Inoltre, guardie
armate nel perimetro di ingresso, ascoltano l’ebraico parlato con un accento
arabo. I passaporti vengono bollati con codici a barre che possono comportare interrogatori
umilianti, ritardi, perquisizioni e scorta armata per salire sugli aerei.
La sola sicurezza non
avrebbe mai potuto giustificare il genere arbitrario e indiscriminato di queste
pratiche vecchie di decenni contro la minoranza di Israele in gran parte
quiescente.
La schedatura razziale
all’aeroporto è stata eseguita sempre allo scopo di controllare e di intimidire
i Palestinesi, raccogliendo informazioni su di loro e ghettizzandoli. I
Palestinesi hanno lottato per uscire, mentre gli Arabi e i Musulmani hanno
lottato per entrare.
Però, questi tentatici
di “rinchiudere” i Palestinesi non son diventati di certo inutili in anni
recenti in cui la globalizzazione ha ristretto il mondo. Impedite a un
Palestinese di partecipare a un congresso a New York o a Parigi e loro
trasmetteranno il loro intervento per mezzo di Skype.
Però, i controlli a
lungo sopportati dai Palestinesi e dagli Arabi, vengono ora rivolti in maniera
più aggressiva contro altri tipi di sostenitori. Mentre le critiche aumentano
in tutto il mondo e con la rapida crescita di un movimento internazionale di
boicottaggio, la cerchia di persone che Israele vuole “chiudere fuori”, sta
aumentando rapidamente.
Per gli stranieri,
l’aeroporto Ben Gurion è la porta non soltanto a Israele, ma ai territori
occupati. E’ il primo modo in cui possono essere testimoni diretti delle
condizioni spaventose imposte a molti milioni di Palestinesi.
C’è una lista sempre
crescente di accademici, avvocati, gruppi per i diritti umani, oppositori
dell’occupazione e sostenitori del boicottaggio che vengono arrestati da
Israele al loro arrivo e sottoposti a interrogatorio sulle loro idee politiche.
Dopo viene loro negato l’ingresso o viene richiesto loro di stare fuori dai
territori occupati.
In un mondo sempre più
interconnesso, Israele può identificare coloro che vuole escludere,
semplicemente cercando su Twitter o su Facebook.
Il problema per
Israele è che sempre di più coloro che sono più critici nei suoi confronti,
comprendono gli Ebrei.
Questo non dovrebbe
essere una sorpresa. Se Israele sostiene che rappresenta gli ebrei in qualsiasi
luogo, alcuni possono pensare che abbiano il diritto di parlare chiaramente per
protestare. Sondaggi recenti indicano che si sta aprendo un golfo ideologico
tra Israele e molti degli Ebrei all’estero a nome dei quali Israele sostiene di
parlare.
La vittima più recente
della schedatura politica che fa Israele, è Peter Beinart, un preminente
commentatore politico ebreo-americano. Appare regolarmente alla CNN
La settimana scorsa
Beinart ha rivelato di essere stato arrestato al suo atterraggio all’aeroporto
Ben Gurion, separato da sua moglie e di suoi figli e “interrogato circa le mie
attività politiche”, per un’ora. Dopo ripetute assicurazioni da pare sua che
doveva semplicemente partecipare a un bat mitzvah (il momento in cui un bambino
ebreo raggiunge l’età della maturità, n.d.t.), di famiglia, i funzionari
lo hanno fatto entrare.
Beinart non è Noam
Chomsky o Norman Finkelstein, cioè pensatori ebrei dissidenti che hanno
aspramente criticato le politiche di Israele e a cui, come conseguenza, è stato
negato l’ingresso.
Le sue opinioni
riecheggiano quelle di molti ebrei americani liberali che non vogliono più
chiudere un occhio sui sistematici abusi di Israele nei confronti dei
Palestinesi. Arrestando Beinart, Israele ha effettivamente dichiarato di non
rappresentare più milioni di ebrei d’oltremare. Ha chiarito che il messaggio
centrale del Sionismo, cioè che Israele era stato creato come rifugio per
tutti gli ebrei, non è più vero.
Il governo di destra
del primo ministro Bemjamin Netanyahu vuole la lealtà da parte degli ebrei
d’oltremare – appoggio pubblico, donazioni, pressione sui governi
nazionali, ma non le loro opinioni.
Inoltre l’Israele di
Netanyahu vuole la comunità ebraica divisa, con Israele che decida quali Ebrei
sono considerati buoni e quali cattivi. La misura della loro virtù non è
più l’appoggio a uno stato ebraico, ma la cieca lealtà all’occupazione e a una
Grande Israele che spadroneggi sui Palestinesi.
Questo divario è
sempre più evidente anche all’interno di Israele con un numero crescente di
Ebrei israeliani dissidenti che riferiscono di essere stati presi da parte per
essere interrogati, al momento dell’atterraggio all’aeroporto Ben Gurion.
Vengono esplicitamente dissuasi dal fare attivismo politico, in un ambito
inteso a implicare che la loro cittadinanza continuata non dovrebbe essere data
per scontata.
Dopo una protesta per
la detenzione di Beinart, Netanyahu ha espresso delle scuse stereotipate,
definendo il suo trattamento un “errore amministrativo”.
Pochi gli credono. Il
quotidiano liberale di Israele, Haaretz, lo ha chiamato “errore sistematico”.
Il giornale ha sostenuto che nella “migliore tradizione dei regimi retrivi”,
Israele ha redatto “le liste nere per zittire le critiche e per minacciare
coloro che non rispettano le regole”.
Certamente gli attuali
interrogatori e la prepotenza – non quando i passeggeri si preparano a
imbarcarsi su un volo, ma quando a Israele – hanno poco a che vedere con la
sicurezza, non più di quanto ne abbia quando i Palestinesi e altri arabi
vengono maltrattati all’aeroporto.
Netanyahu, invece,
vuole mandare un forte messaggio agli Ebrei progressisti di Israele e
all’estero: “Non siete più automaticamente considerati parte del progetto
sionista. Giudicheremo se siete amici o nemici.”
Si vuole che questo
abbia un effetto agghiacciante sugli Ebrei progressisti e che mandi il
messaggio che, se vogliono visitare una famigli a Israele o partecipare a un
matrimonio, a un funerale o a un bar mitzwah, dovrebbero essere leali o stare
tranquilli. Da ora in poi, devono comprendere che vengono monitorati sui media
sociali.
Queste sono soltanto
le salve iniziali della guerra della destra israeliana contro il dissenso
ebraico. E’ un pendio che gli Ebrei liberali scopriranno che diventa sempre più
scivoloso.
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