Quando, il 2
aprile 2015, i soldati israeliani fecero irruzione in casa di Khalida Jarrar, parlamentare e avvocato
palestinese, lei era assorta nella sua ricerca. Da mesi, Jarrar guidava
l’iniziativa palestinese volta a portare Israele davanti alla Corte Penale
Internazionale (ICC). La sua ricerca, proprio quella sera, verteva
su quel genere di condotta secondo cui un gruppo di soldati può ammanettare una
rispettabile intellettuale palestinese e mandarla in galera senza processo, e
non è considerato responsabile di tale azione.
Venne rilasciata
nel giugno del 2016, dopo aver passato oltre un anno in prigione, solo per
essere nuovamente arrestata il 2 luglio 2017. Si trova tutt’ora in un carcere
israeliano.
Il 28 ottobre di quest’anno, la sua
“detenzione amministrativa” è stata rinnovata per la quarta volta.
Ci sono
migliaia di prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, la maggior parte
dei quali detenuti al di fuori dei Territori Palestinesi Occupati, in
violazione della Quarta Convenzione di Ginevra. Peraltro,
circa 500 palestinesi rientrano in una diversa categoria, visto che sono
detenuti senza processo per periodi di sei mesi che vengono rinnovati, a volte
a tempo indeterminato, dai tribunali israeliani senza alcuna motivazione
legale. Jarrar è una di questi detenuti. Non implora la libertà ai
suoi carcerieri. Anzi, è impegnata a istruire le sue compagne prigioniere sulla
legislazione internazionale, dando lezioni e rilasciando al mondo esterno
dichiarazioni che rispecchiano non solo la sua mente raffinata, ma anche la sua
risolutezza e forza di carattere.
Jarrar è inarrestabile. Nonostante le sue precarie
condizioni di salute, – ha avuto più infarti ischemici, soffre di
ipercolesterolemia ed è stata ricoverata a causa di una grave emorragia da
epistassi – la dedizione alla causa della suo popolo non si è in alcun modo
indebolita, né ha mai ha vacillato.
L’avvocato palestinese cinquantacinquenne ha
sostenuto un discorso politico che è sostanzialmente inesistente nella faida in
corso tra la fazione di maggioranza dell’Autorità Palestinese, Fatah, in
Cisgiordania e Hamas nella Striscia di Gaza sotto assedio.
Come membro
del Consiglio Legislativo Palestinese (PLC) e membro attivo all’interno delFronte Popolare per la Liberazione della
Palestina (PFLP), Jarrar sostiene un tipo di politica non disconnessa
dalla gente e, soprattutto, dalle donne, che rappresenta con forza e senza
compromessi.
Secondo lei,
nessun funzionario palestinese dovrebbe impegnarsi in alcuna forma di dialogo
con Israele, perché tale coinvolgimento aiuta la legittimazione di uno Stato
che si fonda sul genocidio e sulla pulizia etnica, e che sta tuttora compiendo
vari tipi di crimini di guerra; proprio quei crimini che lei ha tentato di
denunciare alla Corte Penale Internazionale.
Com’era prevedibile, Jarrar rifiuta il cosiddetto
“processo di pace”, un’operazione inutile, priva di qualsiasi intenzione o meccanismo per
“l’applicazione di risoluzioni internazionali relative alla causa palestinese e
il riconoscimento dei diritti fondamentali dei palestinesi”. Va da sé che una
donna con una posizione così sagace e decisa rifiuti fermamente il
“coordinamento per la sicurezza” tra l’Autorità Palestinese e Israele,
considerando tale iniziativa un tradimento della lotta e dei sacrifici del
popolo palestinese.
Mentre i funzionari dell’Autorità Palestinese
continuano a godere dei vantaggi della “leadership”, tentando
disperatamente di rianimare l’ormai deceduto dibattito politico su
“processo di pace” e “soluzione dei due Stati”, Jarrar, una leader palestinese
donna di autentica lungimiranza, sopravvive nel carcere di HaSharon. Lì, insieme a decine di altre
donne palestinesi, sperimenta ogni giorno l’umiliazione, la negazione dei
diritti e le varie tecniche israeliane volte a piegare la sua volontà.
Ma Jarrar è
un’esperta di resistenza a Israele tanto quanto lo è nella sua conoscenza della
legge e dei diritti umani.
Nell’agosto
2014, mentre Israele portava avanti uno dei suoi più atroci atti di genocidio a
Gaza – uccidendo e ferendo migliaia di persone nell’operazione bellica chiamata “Margine Protettivo” –
Jarrar ricevette una visita indesiderata da parte dei soldati israeliani.
Pienamente consapevole del lavoro di Jarrar e della sua credibilità come
avvocato palestinese di portata internazionale – è la rappresentante
palestinese al Consiglio d’Europa – il governo israeliano scatenò la campagna
di persecuzione contro di lei, finita con l’incarcerazione. I soldati le consegnarono un decreto
militare che le ordinava di lasciare la sua casa ad al-Bireh, vicino a
Ramallah, e trasferirsi a Gerico.
Fallito il
tentativo di metterla a tacere, venne arrestata nell’aprile dell’anno
successivo, dando inizio a un capitolo di sofferenza, ma anche di resistenza,
che non è ancora finito. Quando
l’esercito israeliano andò a prelevare Jarrar, la sua casa venne circondata da
un numero spropositato di soldati, come se l’eloquente attivista palestinese
fosse, per Israele, il più grande “pericolo per la sicurezza”.
La scena era
piuttosto surreale, e rappresentativa della vera paura di Israele: paura di quei
palestinesi, come Khalida Jarrar, capaci di trasmettere un messaggio chiaro,
che smaschera Israele agli occhi del mondo. Ricordava
la frase iniziale del romanzo di Franz Kafka, “Il Processo”: “Qualcuno doveva
aver calunniato Josef K., poiché un mattino, senza che avesse fatto nulla di
male, egli fu arrestato” (“Il Processo”, F. Kafka, trad. Primo Levi, Einaudi
1983, n.d.t.)
La
detenzione amministrativa in Israele è la ricostruzione all’infinito di quella
scena kafkiana. Joseph K. è Khalida
Jarrar con le migliaia di altri palestinesi che stanno pagando per
il semplice fatto di aver rivendicato i diritti e la libertà del loro popolo.
Sotto
pressione internazionale, Israele fu costretta a processare Jarrar, sollevando
contro di lei dodici capi d’accusa, tra cui l’aver visitato un detenuto
liberato e aver partecipato a una fiera del libro. L’altro arresto e le quattro
proroghe della sua detenzione sono dimostrazione non solo della mancanza di
prove concrete contro di lei, ma anche del fallimento morale di Israele.
Ma perché Israele ha paura di Khalida Jarrar?
La verità è
che Jarrar, come molte altre donne palestinesi, rappresenta l’antidoto alla
narrativa israeliana preconfezionata che promuove inesorabilmente Israele come
un’oasi di libertà, democrazia e diritti umani in contrapposizione a una
società palestinese che, presumibilmente, sarebbe l’opposto. Jarrar, avvocato, attivista per i
diritti umani, importante esponente politica e sostenitrice delle donne, con la
sua eloquenza, il coraggio e la conoscenza profonda dei propri diritti e di
quelli del suo popolo, demolisce il castello di bugie israeliano.
È la quintessenza del femminismo: ma il suo “essere femminista”
non è mera identità politica, o un’ideologia di facciata che evoca diritti
“vuoti” ad uso e consumo delle platee occidentali. Al contrario, Khalida Jarrar
lotta per le donne palestinesi, per la loro libertà e il loro diritto a
ricevere una formazione adeguata, a cercare opportunità di lavoro e a
migliorare la propria vita mentre affrontano gli enormi ostacoli
dell’occupazione militare, il carcere e la pressione sociale.
“Khalida” in
arabo vuol dire “Immortale”, definizione
che calza a pennello per un’autentica combattente, incarnazione dell’eredità di
generazioni di grandi donne palestinesi, la cui “sumoud” – determinazione –
sarà sempre d’esempio per un’intera nazione.
(traduzione di Elena Bellini)
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