La cooptazione del giudice Sergio Moro nel governo di
Jair Bolsonaro in Brasile era decisa da tempo e getta nuove ombre sulla
condanna di Lula. Facciamo luce sull’arte del lawfare in America latina.
1) Oggi i
media mondiali raccontano come un successo di Jair Bolsonaro l’accettazione da
parte del giudice Sergio Moro (rappresentato come un eroe senza macchia e senza
paura, che condannò Lula nell’ambito dell’inchiesta Lava Jato), di diventare
ministro della giustizia nel nuovo governo. Superministro dicono, accorpando
giustizia e sicurezza, un potere immenso. Giova ricordare che Sergio Moro
condannò Lula essendo lui stesso candidato in pectore alla presidenza della
Repubblica, partecipando sistematicamente a manifestazioni politiche contro il
governo. Oggi sappiamo da una fonte al di sopra di ogni sospetto, niente
meno che il vicepresidente di Bolsonaro eletto in Brasile, il generale Hamilton
Mourão, apertamente nostalgico del regime civico-militare, che lo dichiara
senza pudori o politicismi al quotidiano “Valor Económico”, che l’accordo
Moro/Bolsonaro (che evidentemente comportava la desistenza del primo in cambio
di un ministero) fosse ben anteriore. Dobbiamo credere alla
terzietà di Moro al momento di condannare Lula?
2) Facendo
un passo indietro, giova ricordare che l’impeachment a Dilma Rousseff fu
generato non da accuse di alcunché contro la presidente, che non è mai stata
accusata di nulla, né prima né dopo, ma da un voto del tutto politico, nel
quale Bolsonaro votò l’impeachement “in onore dei torturatori che avevano
torturato Dilma Rousseff”. Nino Strano, il parlamentare di AN che mangiò la
mortadella a Montecitorio alla caduta di Romano Prodi, fu un gentleman in
confronto. Ove sia stato dimenticato Dilma (rieletta con largo consenso
presidente appena due anni prima) non cadde per sue responsabilità politiche o
per accuse penali, ma perché perse la maggioranza in parlamento. Ciò fu
prodromico all’avanzare del processo e della condanna di Lula.
3) La
condanna per corruzione a Lula da Silva, condanna tutt’oggi non ancora
definitiva (quindi in uno stato di diritto Lula sarebbe ancora innocente), ma
sufficiente a escluderlo da elezioni nelle quali era in testa nei sondaggi,
avvenne quindi solo dopo l’impeachment a Dilma Rousseff. Quando Moro condannava
Lula governava dunque – in maniera solo formalmente legittima ma in realtà con
un golpe bianco – il conservatore Michel Temer. Questo, parallelamente, fu
compensato salvandosi da un processo per corruzione per una tangente da 190
milioni di Euro nell’ambito dello stesso Lava Jato, solo per mancanza di
autorizzazione a procedere, quindi con un voto politico di segno identico (ma
risultato opposto) a quello che aveva estromesso Dilma.
4) Dilma
fuori, Temer salvo, Lula a processo, ma sono tutti passaggi politici, non
giudiziari. Fu un momento torbido nel quale autorizzazioni a procedere,
condanne e assoluzioni passarono da rapporti di forza politici. In quel momento
la forza delle élite tradizionali e dei media monopolisti che non hanno mai
smesso di fare a questi riferimento, prevalse anche nel costruire una
narrazione totalmente immaginaria per la quale il Partito dei lavoratori, la
sinistra socialdemocratica che aveva osato farsi governo, avesse inventato la
corruzione in un fino allora immacolato Brasile. Ma in quel momento il Brasile
di Temer era ancora una democrazia funzionante? Parlare di equo processo per il
giudizio col quale Moro condannò Lula o di separazione dei poteri è perlomeno
dubbio.
5) A
Bolsonaro eletto, con Moro suo ministro e Lula seppellito in carcere, non
possiamo non vedere l’impeachment contro Dilma Rousseff e la conseguente
condanna di Lula come il più impressionante caso di scuola di lawfare (guerra o
golpe giudiziario, utilizzando notizie false o non confermate sulla presunta
corruzione per delegittimare un politico) della storia. Ciò avveniva non già in
una democrazia, pur imperfetta, ma in un contesto dove la separazione dei
poteri non era affatto garantita e con giudici che tentavano la scalata al
potere politico giudicando e condannando i loro possibili avversari elettorali.
Nonostante in Brasile e in America latina la corruzione sia un problema
severissimo, che ha indubbiamente riguardato anche i governi progressisti, il
finanziamento della politica attraverso tangenti private o pescando da
conglomerati pubblici come Petrobrás, è sicuramente anteriore a Lula e anche a
Cardoso e rimonta a quella corrottissima dittatura militare alla quale aspira a
tornare Bolsonaro. La memoria dell’opinione pubblica però è maledettamente
corta e ogni tempo passato è stato migliore del presente.
6) È
possibile che da Lula a Dilma, da Cristina Fernández a Rafael Correa, da Hugo
Chávez a Manuel Zelaya non vi sia un solo governo progressista che non sia
stato assalito da sistematiche accuse di corruzione come forma principale di
delegittimazione? Anche se non tutti i governanti di sinistra sono immacolati e
tutti quelli di destra sono corrotti, e che determinati processi redistributivi
comportino per loro natura sprechi e ruberie, e che anche la sinistra tenda a considerare
i propri avversari politici come tutti corrotti, c’è un fattore che ha
sparigliato i conti a favore delle destre. Durante gli anni del ciclo
progressista in nessun paese, neanche in Venezuela, è stato rotto il pieno
controllo mediatico da parte delle élite conservatrici. Al massimo vi sono
stati affiancati media pubblici, a volte molto dignitosi, ma che mai hanno
conteso a quelli tradizionali la costruzione di senso che attribuisce sempre al
nero la devianza, al povero l’oziosità e al politico progressista la
corruzione.
7) La
calunnia è un venticello e i monopoli mediatici, come la giustizia di una parte
della magistratura, non hanno bisogno di essere politicizzati per sapere dove
spira il vento, col lawfare contro i governi progressisti con l’America latina
restituita al suo destino subalterno. Solo le cronache di ieri raccontano di
leader e militanti popolari e sociali uccisi in Perù, in Colombia, in Venezuela
(eh sì…) e in Messico, mentre la “Carovana migrante” dall’Honduras verso gli
Stati Uniti, sta rimarcando il segno delle vene aperte del continente. Che
nessuno mette più in discussione.
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