Gli ultimi sviluppi del caso Cucchi dovrebbero
spingerci a mettere a fuoco due fenomeni emersi dal 2001 in poi: da una parte
l’attitudine delle nostre forze dell’ordine, in determinate circostanze, a
mentire e falsificare gli atti.
Dall’altra la sistematica tendenza a fare muro contro
le richieste di trasparenza. Il G8 di Genova in questo senso è all’origine di
tutte le più recenti degenerazioni. Spiace doverlo ricordare, ma le giornate
del 20, 21 e 22 luglio 2001 sono state una fiera del falso in atto pubblico e
della calunnia, una caporetto dell’etica pubblica. Innumerevoli persone furono
arrestate per strada ricorrendo a verbali fotocopia, con false accuse di
violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Nell’immediato la maggior parte di
quegli strani arresti non fu convalidata dai Gip genovesi e negli anni seguenti
la magistratura civile ha inflitto numerose condanne al ministero degli Interni
per gli abusi compiuti: non abbiamo mai saputo se qualcuno avesse dato
un’imbeccata dall’alto o se la pratica dei verbali fasulli sia sgorgata
spontaneamente in seno alla truppa…
Il caso Diaz andrebbe poi fatto studiare nelle scuole
di polizia, se davvero si volesse introdurre un antidoto al veleno immesso a
piene mani nel 2001 nel cuore degli apparati. Basti dire che il comunicato con
il quale si tentò di giustificare agli occhi del mondo la singolare operazione,
mentre decine di persone erano in ospedale e le altre nella caserma delle
torture a Bolzaneto, è risultato falso dalla prima all’ultima parola: dalle
molotov piazzate ad arte e attribuite agli arrestati, alla tesi delle ferite
pregresse, fino al finto accoltellamento d’un agente. Potremmo continuare, ma
basti dire che nei processi Diaz e Bolzaneto i principali reati che hanno
portato alle condanne di decine di agenti (in gran parte coperte dalla
prescrizione) sono stati falso e calunnia.
Nel caso Cucchi, secondo le cronache, abbiamo avuto
ben 7 interventi di manipolazione di carte ufficiali. Il secondo punto – il
rifiuto di agire per accertare subito e senza sconti le responsabilità – non è
meno grave del primo. Anche questa è una storia che viene da lontano. I pm nel
processo Diaz, Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini, parlarono con molte
ragioni di omertà, condotta che ritorna nel processo Cucchi. Di fronte a ogni
vicenda estrema – dal G8 di Genova alla morte di persone sottoposte a custodia
di polizia, come Aldrovandi, Magherini e altri – abbiamo assistito
all’applicazione del medesimo schema, ossia la chiusura degli apparati a
qualsiasi sguardo esterno, come se si trattasse di panni sporchi da lavare in
casa e non di fatti gravi, potenzialmente criminosi, sui quali è necessario
fare subito e bene chiarezza, nell’interesse dei cittadini e degli stessi corpi
di sicurezza. Proviamo a pensare alle storie appena citate e a quel che
sarebbero state se polizia e carabinieri avessero agito con trasparenza e
collaborando con chi cercava solo verità, ossia le famiglie e i magistrati.
Quante sofferenze risparmiate, quanta credibilità recuperata.
Nel caso Diaz c’è un dettaglio che dice tutto: il
verbale d’arresto, poi risultato falso e calunnioso, fu sottoscritto da 14
funzionari e dirigenti, tutti indagati e condannati tranne uno, mai
identificato perché la grafia era illeggibile e perché gli altri tredici non
hanno mai fatto il suo nome. Ecco in che modo è stata concepita la
collaborazione con la magistratura inquirente ed ecco spiegate le durissime
critiche allo Stato italiano scritte nelle sentenze di condanna subite dal
nostro paese alla Corte per i diritti umani di Strasburgo – già dimenticate e
pochissimo lette. Nel caso Cucchi la denuncia-confessione di uno dei
carabinieri imputati ha spezzato la consegna (o forse imposizione) del silenzio
che ha caratterizzato tutti i procedimenti simili avviati in questi anni, a
cominciare da Genova G8. Se vogliamo dare un senso a quanto sta accadendo sotto
i nostri occhi e nell’intento di frenare la rovinosa caduta di credibilità
degli apparati, è lecito chiedere qualcosa al legislatore e a chi riveste ruoli
di responsabilità: si collabori lealmente con la magistratura in tutti i
procedimenti penali in corso e si sospendano gli indagati lungo l’intera catena
di comando, fino ai massimi livelli; si trasferiscano ad altri ministeri i
funzionari di polizia condannati nei processi per reati attinenti l’abuso di
potere e la tortura; si introduca l’obbligo di indossare codici di
riconoscimento sulle divise; si istituisca un organismo indipendente di
controllo sull’operato delle forze dell’ordine, avviando contestualmente
un’indagine conoscitiva a vasto raggio: l’Italia non può più farne a meno.
Infine, non meno importante, si chieda scusa, ma
davvero, accompagnando le scuse con atti concreti, per quanto hanno dovuto sopportare
in questi anni le vittime degli abusi, i loro familiari, i cittadini tutti.
Lorenzo Guadagnucci – Comitato Verità e Giustizia
per Genova
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