giovedì 10 aprile 2014

13 aprile1943: scoperta del massacro di Katyn

Per tanti anni si è fatto credere che l’eccidio di Katyn fosse stato compiuto dai tedeschi, ora sappiamo che non è così, anche grazie al film di Andrzej Wajda.
In quel luogo era stato costruito dai sovietici un mausoleo in memoria della strage degli ufficiali polacchi da parte dei nazisti, e da Gorbaciov in poi si sa che non è andata così, anche se alcuni continuano a credere alla versione di Stalin - franz

 
Il primo a “riconoscere” o a fornire alcune ammissioni fu Gorbaciov nel 1988 (o 87 ma non era capo di stato) che continuava però a sostenere che i documenti originali riguardanti Katyn erano andati perduti, pur sapendo che non era vero. Il 13 ottobre 1990 Gorbaciov porse le scuse ufficiali al popolo polacco per il massacro di cui s'era macchiato il regime staliniano. Qualche anno dopo, nel 1992, Eltsin, chiedendo a sua volta perdono alla Polonia, autorizzò l’apertura e la libera consultazione di alcuni fondi riservati degli archivi ex-sovietici, compresi quelli relativi alla strage di Katyn, e molta della verità venne a galla tanto che sul luogo oggi sorge un mausoleo. Nel 2004, per diretta decisione di Putin, la procura militare della Federazione russa deliberò di porre per sempre il Segreto di Stato su Katyn. A questo si ispira anche la recente proposta di legge sulla Storia scritta e insegnata.

Dopo averci riflettuto sono certo che un film su Katyn non possa avere come obiettivo la scoperta della verità perché adesso quell’evento è diventato un fatto storico e politico. Gli avvenimenti, agli occhi dello spettatore di oggi, sembrerebbero solo uno sfondo ad alcuni eventi storici. Quindi vedo il mio film su Katyn come la storia di una famiglia separata per sempre, ma anche come una storia di grandi illusioni e un racconto della brutale verità sulla strage di Katyn: in breve, un film di sofferenze individuali che evoca immagini di grande emozione, rispetto ai crudi fatti storici. Al centro del film non ci sono gli ufficiali assassinati, ma le donne che aspettano il loro ritorno ogni giorno, ogni ora, soffrendo di un’incertezza disumana. Donne fedeli e risolute che non aspettavano altro che aprire la porta di casa per rivedere l’uomo a lungo atteso.
Dopo anni dalla tragedia di Katyn e dalla riesumazione dei cadaveri da parte dei Tedeschi, seguita poi dal lavoro di ricerca polacco negli anni ’90, conosciamo ancora troppo poco di quello che è stato il massacro, commesso su ordine di Stalin e dei suoi compagni del Politburo del Partito Comunista.
Non c'è da stupirsi che per anni siamo stati convinti che mio padre potesse essere ancora vivo dato che il cognome Wajda compariva sulla lista di Katyn, ma associato al nome Karol. Mia madre, quasi fino alla fine dei suoi giorni, ha creduto nel ritorno del marito, mio padre, Jakub Wajda, un combattente della Grande Guerra, di quella sovietico-polacca, della Rivolta della Slesia, della campagna del settembre del 1939, che ha ricevuto la Croce D’Argento, l’Ordine dei Virtuti Militari, riconoscimenti postumi.
Non vorrei, tuttavia, che il film Katyn fosse interpretato come la mia personale ricerca della verità o come una luce che veglia sulla tomba del Capitano Jakub Wajda.
Ma vorrei che fosse visto come un racconto sulla sofferenza e il dramma di molte famiglie. La menzogna su Katyn trionfa sulla tomba di Joseph Stalin, che per circa mezzo secolo ha costretto i suoi alleati di allora al silenzio sull’agghiacciante eccidio.
So che la nuova generazione, cosciente ed entusiasta, si sta allontanando dal nostro passato. Impegnati in questioni banali, dimenticano nomi e date che – non conta se lo vogliamo o no – ci portano ad essere un Paese con dubbi e perplessità che emergono ad ogni occasione politica.
Non molto tempo fa, in un programma televisivo, è stato chiesto allo studente di una scuola superiore che cosa associava alla data del 17 settembre. La sua risposta: una festività religiosa. Forse grazie al nostro film quel giovane potrà dire di Katyn qualcosa in più che “una cittadina non lontana da Smolensk”.
Andrzej Wajda

…Andrzej Wajda che gira il suo film “Katyn”, dedicato alla memoria del padre ammazzato e della madre ingannata. Un elemento toccante è rappresentato dal dialogo fra gli artisti/poeti, narratori, registi, scultori…decisi a tener fede. Come se si riconoscessero nel buio, conversano senza troppe parole, nella speranza che il mondo prenda conoscenza di quanto loro stessi sanno da anni. Un segnale toccante è la conversazione fra Wajda e Herbert sui bottoni, i più fedeli testimoni della tragedia di Katyn, anch’essi da scopriresottoterra.
Nel film di Andrzej Wajda succede di più. Accanto alla testimonianza dello stesso regista e dello sceneggiatore, traspare il modo estremamente vissuto di recitare, fino all’immedesimazione, da parte degli attori. Il loro darsi con ubbidienza al racconto di Wajda è di una tale identificazione che equivale ad una dichiarazione di “fedeltà” a chi era sparito senza voce. Nell’interpretazione degli attori, pur non avendo loro stessi vissuto in maniera diretta gli eventi della Seconda guerra mondiale, si sente un’apertura al dialogo con chi ha delle voci da liberare nell’arte, la loro prontezza a servire la memoria salvata.
Jaroslaw Mikolajewski  Direttore dell’Istituto Polacco di Roma

Gentile professore Losurdo la disturbo per un chiarimento sulla questione in oggetto. Essendo comunista, da tempo sono interessato allo studio della leggenda nera e dei suoi misfatti ( presunti) con l'obiettivo principale di chiarirmi le idee io stesso innanzitutto e, nel caso sia possibile ovviamente, difendere la figura e l'opera di Stalin e più in generale del regime politico instauratosi in URSS negli anni 30-50. Approfondendo l'argomento in oggetto, ho scoperto un articolo pubblicato sulla rivista Teoria & Prassi che ho trovato molto soddisfacente. Poi però ho scoperto, leggendo il suo libro " Stalin, critica di una leggenda nera"che lei dà per assodata la responsabilità dei sovietici arrivando a dire addirittura che Stalin stesso ammise la sua responsabilità dicendo di essersi pentito ecc.ecc. Io non conosco le sue fonti ma la fonte citata da Teoria & Prassi e le sue argomentazioni non le considera importanti? gradirei un suo commento.
Ringraziandola anticipatamente per il tempo che potrà dedicare alla mia questione la saluto
Umberto Ruggiero

Caro Ruggiero,
pur di notevole interesse, il saggio riportato in «Teoria e prassi» non mi sembra in grado di mettere in crisi la tesi oggi sottoscritta anche da Putin. Sì, il saggio rinvia a un brano del diario di Goebbels che in effetti può suggerire l’ipotesi della messa in scena nazista. Letto però per intero, senza il salto segnalato nel saggio di Ella Rule con tre puntini, il brano suona in modo sensibilmente diverso: «Sfortunatamente, munizioni tedesche sono state trovate nelle fosse di Katyn. Dev’essere ancora chiarito in che modo vi sono giunte. O si tratta di munizioni vendute ai sovietici ai tempi della buona intesa [russo-sovietica], oppure sono stati gli stessi sovietici a gettare lì le munizioni. In ogni caso, è essenziale che questa circostanza rimanga segretissima. Se essa dovesse venire a conoscenza del nemico, l’intero affare di Katyn verrebbe a cadere».
Anche in altri brani del diario (9 e 14 aprile 1943) Goebbels convalida, e in modo ancora più netto, la tesi oggi corrente. In teoria, il diario dovrebbe essere di uso privato…
Con un cordiale saluto
Domenico Losurdo

Negli scantinati del palazzo del NKVD fece approntare una stanza dipinta di rosso nella quale i prigonieri venivano condotti, identificati e ammanettati. Da lì passavano alla stanza delle esecuzioni vera e propria. Era una camera insonorizzata, con sacchi di sabbia sulle pareti, il pavimento di cemento percorso da canalette di scolo. Blokhin attendeva i prigonieri dietro la porta della camera delle esecuzioni, indossando una tenuta speciale: un lungo grembiule di cuoio, cappello e guanti lunghi fino alle spalle sempre di cuoio.
I prigionieri ammanettati veniva condotti nella stanza, fatti inginocchiare al centro dove Blokhin si avvicinava alle loro spalle e gli sparava un colpo alla nuca. I suoi sottoposti quindi portavano via il cadavere, facevano defluire il sangue nelle canalette e portavano dentro un nuovo prigioniero. Con questo sistema Blokhin uccise i prigionieri con la media di uno ogni 3 minuti.
L’arma utilizzata da Blokhin non era quella di ordinanza, ma un’arma di sua proprietà: una piccola pistola Walther tedesca. Blokhin preferiva la Walther alla Tokarev e al revolver Nagant dell’esercito russo perché era un’arma che sparava cartucce di calibro più piccolo e aveva quindi un rinculo minore. Le pistole più grosse, con un rinculo più forte, dopo una dozzina di esecuzioni, causavano un dolore al braccio. Nonostante Blokhin sia stato aiutato dal suo vice in alcune esecuzioni, si ritiene che abbia portato a termine personalmente circa 7.000 esecuzioni nel corso di 28 notti.
Le esecuzioni vennero portate avanti in diversi campi fino ai primi di maggio. In tutto a Katyn e in altri luoghi, vennero sepolti 22 mila polacchi (è la stima più bassa). Tra i morti ci furono 14 generali, centinaia di avvocati, 20 professori universitari, 200 fisici e centinaia di giornalisti e scrittori.

…È di questa epoca tragica '43-'44 infatti, la redazione da parte di un medico napoletano, l'anatomo-patologo Vincenzo Mario Palmieri, di un «veridico rapporto» sui reperimenti di resti umani nelle fosse comuni di Katyn, subito identificati come quelli di ufficiali polacchi in imprecisate migliaia. La responsabilità dello sterminio fu da colui, ed altri colleghi, con assoluta sicurezza attribuita a responsabilità sovietica, poiché risultò, da inoppugnabili esami sulle spoglie, operato nel settembre 1941, all'epoca dell'occupazione di quella località da parte delle truppe dalla Stella Rossa. Esso resta tuttora inedito, a sessant'anni dai fatti: è reperibile negli archivi dell' Istituto di Medicina Legale dell'Università di Napoli, per decenni noto solo al professore Pietro Zangani, suo allievo ed erede in cattedra. Palmieri era stato incaricato dalla Croce Rossa Internazionale di presidiere una Commissione d'indagine su quei macabri reperimenti, composta dai più rinomati luminari d'Europa nel campo della Medicina legale, su richiesta del governo tedesco occupante, e di quello polacco in esilio a Londra. Le conclusioni, sconvolgenti la verità precostituita, furono inibite alla pubblicazione da parte della stessa Croce Rossa di Ginevra, su preciso «nyet» dell'Unione Sovietica. Come previsto dal suo statuto, che richiede infatti l'unanimità sulle decisioni, la Cri subì il veto, e consegnò all'archivista il rapporto stesso, senza renderlo noto. I medici componenti la Commissione provenivano quasi tutti da paesi dell'Europa Orientale, presto occupata dalle truppe sovietiche. Costretti dai nuovi padroni a rinnegare quanto scritto, sparirono poi dalla circolazione. Palmieri, invece, si trovò nell'Italia liberata: ma la sua voce, e la scottante relazione, furono ugualmente oggetto di censura…

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