Giuseppe Catozzella, per nostra fortuna, strappa Samia all'oblio, e ci racconta la storia di Samia, che è morta cercando di raggiungere l'Italia, affogata a pochi metri dalla salvezza, a Dorando Pietri era andata meglio.
una vita d'inferno, e non solo gli ultimi mesi, correndo per evitare gli ostacoli, con una forza di volontà senza pari, con una famiglia bellissima.
dopo la gara di Pechino disse “Mi sarebbe piaciuto essere applaudita per aver vinto, e non perché avevo bisogno di incoraggiamento. Farò del mio meglio per non essere ultima, la prossima volta” .
un libro da non perdere, anche se non sarà una passeggiata - franz
Inizia così:
La mattina che io e Alì siamo diventati fratelli faceva un caldo da
morire e stavamo riparati sotto l’ombra stretta di un’acacia.
Era venerdì, il giorno della festa.
La corsa era stata lunga e stancante, eravamo tutti e due sudati
fradici: da Bondere, dove abitavamo, siamo arrivati dritti fino allo stadio
Cons, senza fermarci mai. Sette chilometri, passando per tutte le stradine
interne che Alì conosceva come le sue tasche, sotto un sole talmente cocente da
sciogliere le pietre.
Sedici anni in due avevamo, otto a testa, nati a tre giorni di
distanza l’uno dall’altra. Non potevamo che essere fratelli, aveva ragione Alì,
anche se eravamo figli di due famiglie che non si sarebbero neanche dovute
rivolgere la parola e invece vivevano nella stessa casa, due famiglie che
avevano sempre condiviso tutto…
…è arrivato questo libro pieno di grazia. Catozzella è stato bravissimo a ricostruire e a raccontarci la
storia di Samia, estasiante e drammatica, leggera come un sogno e pesante come
l’orrore. Mai retorica, mai prevedibilmente scontata questa narrazione in prima
persona che si nutre solo di verità, visto che a raccontare all’autore la vita
familiare di Samia a Mogadiscio è stata l’amatissima sorella Hodan che, dopo
aver superato il temibilissimo Viaggio prima di lei, ora vive a Helsinki. Così,
si crede ad ogni parola, ad ogni virgola di questa storia, e ci si dimentica
totalmente dello scrittore. Ma è lui il primo a desiderarlo, a non voler
mostrare virtuosismi narrativi per dar modo a Samia di correre libera su ogni
riga.
Un libro che andrebbe letto nelle scuole, andrebbe fatto leggere ai nostri figli e
nipoti come se fosse un bagaglio importante per affrontare la vita.
E se figli o nipoti non leggono o non hanno voglia di farlo, andrebbe letto
loro, pagina dopo pagina, a voce alta, come fosse una favola senza lieto fine
ma con molto da insegnare…
…Scrivere è qualcosa che ha a che fare non
tanto con il romantico «succhiare il midollo della vita» di waldeniana memoria,
quanto con l’estrarlo, l’analizzarlo e il comprenderlo. Ecco cosa fa
Catozzella. Con scrittura attenta e partecipe dipinge un affresco storico e
umano che non lascia indifferenti, che provoca rabbia, umiliazione e una
continua evanescente speranza nel lettore che, con lo scorrere delle pagine,
s’immerge in un’esistenza che avrebbe dovuto e potuto essere diversa.
Un’esistenza che avrebbe dovuto essere diversa per lo stesso motivo che ha
fatto esclamare a Vittorio Arrigoni: restiamo umani; che ha fatto dire a George
Carlin nel suo famoso monologo sulla salute del pianeta: come possiamo pensare
di prenderci cura della Terra se non sappiamo prenderci cura di noi stessi?
Un’esistenza che avrebbe potuto essere diversa, quella di Samia, se uomini e
donne (tutti e tutte) fossero liberi di muoversi senza impedimenti attraverso i
confini dell’unica nazione che condividiamo: la Terra; se fosse loro concesso di
scegliere il luogo da chiamare casa, il posto in cui realizzare il proprio
progetto di vita.
…Fin da giovanissima, dopo la morte del padre, dovette
occuparsi dei suoi cinque fratelli, dal momento che sua madre fu obbligata a
trovarsi un lavoro. Samia iniziò ad appassionarsi all’atletica e alla corsa
proprio in quel periodo, ma purtroppo viveva in un paese che non offriva aiuto
e sostegno ai giovani atleti. I luoghi dove allenarsi erano infatti distrutti
dalla guerra. Così iniziò a correre per la strada. Ma questo fatto
non era ben visto dalla società in cui viveva. In un intervista alla BBC
dichiarò: “Tradizionalmente i
somali considerano “rovinate” le ragazze che praticano sport, musica, che
indossano abiti trasparenti o pantaloncini. Quindi sono stata messa sotto
pressione”.
Era il maggio 2008 quando si riesce ad aggiudicare un posto
nella squadra di atletica somala alle Olimpiadi cinesi.
“Non mi importa se vinco. Ma sono felice di rappresentare il mio paese in
questo grande evento” dichiarò.
Terminate le Olimpiadi tornò a casa. Nessuno sembrava essersi
accorto di lei. I media somali non toccarono nemmeno la notizia. Magari fosse
passata così inosservata: il gruppo islamista Shabaab la minacciò nuovamente,
come già aveva fatto in passato. La fecero vergognare di essere un’ atleta e
lei tornò a “nascondersi”…
da
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Bellissima storia, bellissimo libro, importante
RispondiEliminafinora chi l'ha letto, fra chi conosco, ne parla solo bene, purtroppo la realtà è troppo spesso terribile e assassina.
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