Il riformista è ben consapevole d'essere
costantemente deriso da chi prospetta future palingenesi, soprattutto per il
fatto che queste sono vaghe, dai contorni indefiniti e si riassumono,
generalmente, in una formula che non si sa bene cosa voglia dire, ma che ha il
pregio di un magico effetto di richiamo.
La derisione è giustificata, in quanto
il riformista, in fondo, non fa che ritessere una tela che altri
sistematicamente distrugge. E' agevole contrapporgli che, sin quando non cambi
«il sistema», le sue innovazioni miglioratrici non fanno che tappare buchi e
puntellare un edificio che non cessa per questo di essere vetusto e pieno di
crepe (o «contraddizioni»). Egli è tuttavia convinto di operare nella storia,
ossia nell'ambito di un «sistema», di cui non intende essere né l'apologeta, né
il becchino; ma, nei limiti delle sue possibilità, un componente sollecito ad
apportare tutti quei miglioramenti che siano concretabili nell'immediato e non
desiderabili in vacuo. Egli preferisce il poco al tutto, il realizzabile
all'utopico, il gradualismo delle trasformazioni a una sempre rinviata
trasformazione radicale del «sistema».
Il riformista è anche consapevole che
alla derisione di chi lo considera un impenitente tappabuchi (o, per cambiare
immagine, uno che pesta l'acqua nel mortaio), si aggiunge lo scherno di chi
pensa che ci sia ben poco da riformare, né ora né mai, in quanto a tutto
provvede l'operare spontaneo del mercato, posto che lo si lasci agire senza
inutili intralci: anche di preteso intento riformistico. Essendo generalmente
uomo di buone letture, il riformista conosce perfettamente quali lontane radici
abbia l'ostilità a ogni intervento mirante a creare istituzioni che possano
migliorare le cose.
Persino Quintino Sella, allorché propose
al Parlamento italiano l'istituzione delle Casse di risparmio postali, incontrò
l'opposizione di chi ritenne il provvedimento come pregiudizievole alla libera
iniziativa di consapevoli cittadini che, per capacità proprie, avrebbero continuato
a dar vita a un movimento associazionistico nel campo del credito. Venne
obiettato al Sella che
«vi sono due modi di amare la libertà;
(...) Vi è il modo nostro; amarla di vero affetto, per sé, per il bene che
genera e permette ai nostri concittadini, considerarla, studiarla, renderla
quanto più si possa benefica; (...) Vi è poi un altro modo; e consiste nel
professare a parole un amore sviscerato verso la libertà, e domandarle un
abbraccio per poterla comodamente strozzare».(1)
Più che essere colpito dagli strali del
retoricume neoliberista (sempre dello stesso stampo), il riformista avverte con
maggiore malinconia le reprimende di chi gli rimprovera l'incapacità di
fuoriuscire dal «sistema». Egli è tuttavia, troppo abituato alla
incomprensione, quali che ne siano le matrici, per poter rinunciare a quella
che è la sua vocazione intellettuale. In questa non rientra, per naturale
contraddizione, il fatto di dover occuparsi di palingenesi immaginarie.
Sollecitato in vari modi a farlo, il riformista ha finito col rendersi conto
che si pretendeva da lui qualcosa di simile a quello che si chiede a un
pappagallo tenuto in gabbia, dal quale, con la guida di una bacchetta, si cerca
di ottenere che scelga, con il suo becco, uno dei variopinti manifestini che si
trovano in un apposito ripiano della gabbia.
Spaventato da questa implicita
trasformazione in intellettuale pappagallesco, il riformista si rincuora
prendendo un libro che gli è caro e rileggendone alcune righe famose:
«Sono sicuro che il potere degli interessi
costituiti è assai esagerato in confronto con la progressiva estensione delle
idee. Non però immediatamente. (...) giacché nel campo della filosofia
economica e politica non vi sono molti sui quali le nuove teorie fanno presa
prima che abbiano venticinque o trent'anni di età, cosicché le idee che
funzionari di Stato e uomini politici e perfino gli agitatori applicano agli
avvenimenti correnti non è probabile che siano le più recenti. Ma presto o
tardi sono le idee, non gli interessi costituiti, che sono pericolose sia in
bene che in male».(2)
1) F.Ferrara, Discorsi e documenti
parlamentari (1867-1875), in Opere complete, vol. 9 (a cura di F.Caffè,
Istituto grafico tiberino, Roma, 1972, pp. 307 sg).
2)
J.M. Keynes, The General Theory of Employment, Interest, and Money Macmillan,
London 1936; trad. it. Occupazione, interesse e moneta. Teoria
generale, Utet
(da il manifesto 29 gennaio 1982)
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