giovedì 17 aprile 2014

Vedi alla voce Barriera - Paola Caridi

La Barriera non massacra. Non insanguina. È come la pena di morte comminata ancora nelle carceri statunitensi: così igienizzata, una iniezione di veleno con tanto di disinfettante. Stanza asettica, pareti chiare, magari appena tinteggiate, lettino, persino i camici. Una morte meno crudele, all’apparenza, di una impiccagione a Teheran o di una decapitazione a Ryadh. Salvo che, a guardar bene, la crudeltà ha ben altri metri di misura. Nascondere a se stessi chi sta dall’altra parte della Barriera può essere più crudele e umiliante che bagnarsi le mani del sangue altrui. Perché di là del Muro, che sia il Muro di Berlino, quello costruito dagli israeliani per separare Betlemme e Ramallah da Gerusalemme, oppure i muri dei Centri di Identificazione ed Espulsione costruiti sul territorio italiano, si muovono persone a cui è stata tolta la carta di identità con la quale si qualifica un Uomo. Uomo, donna, adulto, bambino, ragazza, bella, brutta, vecchio col bastone, quella signora grassa che mangia voracemente, e quell’altro lì, sempre con la stessa puzza di sudore che lo pervade. Coloro che camminano, che si muovono, che vivono sono invisibili a noi, dietro la Barriera. Non sentiamo i loro respiri, i loro gemiti. Ed è in questo modo, nascondendoli ai nostri occhi e alla nostra dimensione etica, che cancelliamo il loro dolore, la loro quotidiana umiliazione. Le nostre responsabilità.

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