La Barriera non massacra. Non insanguina. È
come la pena di morte comminata ancora nelle carceri statunitensi: così
igienizzata, una iniezione di veleno con tanto di disinfettante. Stanza
asettica, pareti chiare, magari appena tinteggiate, lettino, persino i camici.
Una morte meno crudele, all’apparenza, di una impiccagione a Teheran o di una
decapitazione a Ryadh. Salvo che, a guardar bene, la crudeltà ha ben altri
metri di misura. Nascondere a se stessi chi sta dall’altra parte della Barriera
può essere più crudele e umiliante che bagnarsi le mani del sangue altrui.
Perché di là del Muro, che sia il Muro di Berlino, quello costruito dagli
israeliani per separare Betlemme e Ramallah da Gerusalemme, oppure i muri dei
Centri di Identificazione ed Espulsione costruiti sul territorio italiano, si
muovono persone a cui è stata tolta la carta di identità con la quale si
qualifica un Uomo. Uomo, donna, adulto, bambino, ragazza, bella, brutta,
vecchio col bastone, quella signora grassa che mangia voracemente, e quell’altro
lì, sempre con la stessa puzza di sudore che lo pervade. Coloro che camminano,
che si muovono, che vivono sono invisibili a noi, dietro la Barriera. Non
sentiamo i loro respiri, i loro gemiti. Ed è in questo modo, nascondendoli ai
nostri occhi e alla nostra dimensione etica, che cancelliamo il loro dolore, la
loro quotidiana umiliazione. Le nostre responsabilità.
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