Caro
economista, il compito
che ci attende è immane, serve il contributo di tutti, compreso il tuo. Per
questo mi rivolgo a te con un appello scusandomi se le mie parole potranno sembrarti irriverenti,
ma il momento è grave, non c’è più spazio per le etichette. Le macerie sociali e ambientali affiorano
ovunque. Disoccupazione e povertà non accennano a diminuire, le disuguaglianze hanno raggiunto picchi mai visti nella storia
dell’umanità, i
processi naturali sono talmente sovvertiti da mettere a rischio la nostra
stessa sopravvivenza. Ma tu
continui a dirci che ci troviamo nel migliore dei mondi possibili.
Addirittura che non esiste altro
sistema all’infuori di questo.
Perciò mi
rivolgo a te con una preghiera, addirittura una supplica. Ti chiedo di smettere di ingannarci. A partire dalla tua funzione. A te piace presentarti come un
ricercatore, uno scienziato asettico del sistema economico. Ti piace
paragonarti al naturalista che studia i formicai. Ma mentre il naturalista si
limita a osservare, tu
pretendi di costruire leggi. Perciò ti sei trasformato da
scienziato in ideologo. La
tua presunzione più grave è stata quella di aver voluto equiparare
l’economia alla natura.
Ovviamente
non mi riferisco a te come persona, ma come categoria. So che certi
passaggi sono stati realizzati secoli or sono dai tuoi predecessori, ma
tu conservi la responsabilità di perpetrarli. Constatato che in natura vigono
leggi predeterminate, hai stabilito che ogni altro aspetto del vivere umano,
economia compresa, è regolato da leggi incontrovertibili. E ti sei messo a definirle con pretesa di
scientificità.
L’economia è come il galateo: è un’invenzione umana (su questo tema leggi anche La buona economia
non esiste di Serge Latouche, già autore del libro
L’invenzione dell’economia per Bollati Boringhieri; in Il luogo del dominio inveceAlessandro
Pertosa spiega in modo brillante come il termine oikonomia alluda
a una società organizzata gerarchicamente che giustifica il dominio e la
violenza, e per questo non esistono economie buone, ndr). Per alcuni
ruttare è mancanza di rispetto, per altri è indice di gradimento del pasto
consumato. Questione opinabile. Ma se scrivi tomi su tomi per descrivere il
punto di espansione ideale dello stomaco per sparare un bel rutto, più che
un’operazione scientifica fai un’operazione culturale. Non solo dichiari da che
parte stai, ma induci la collettività a pensare che ruttare sia bello.
Risultato garantito soprattutto se nessun altro scrive il contrario e anzi
l’inno al rutto è propagandato in tutti i modi possibili.
Fuor di
metafora, di economie possibili ne esistono tante, ma tu ti sei
concentrato solo su una. E non quella che ti convinceva di più, ma
quella che ti conveniva di più. Ti sei soffermato sull’economia
del vincitore perché non è arruolandoti nelle fila degli oppositori che puoi
riempire la borsa, ma suonando alla corte dei dominatori. I
vincitori del nostro tempo sono i mercanti. Non per conquista improvvisa,
ma per ascesa lenta a partire dal Duecento. All’inizio quasi clandestini,
negozianti di stoffe e denaro fuoriusciti dal castello feudale.
Poi sempre
più potenti e più ricchi, fino ad avere la meglio sulla vecchia classe
nobiliare. E raggiunto il pieno controllo dei tre poteri capitali, l’economico,
il politico e il militare, il loro problema è diventato il consenso. Come tutti
i prìncipi, anche i mercanti sanno
che l’obbedienza si ottiene per coercizione o per convinzione e
come tutti i prìncipi anche i mercanti hanno usato entrambe le vie.
La storia del capitalismo è lastricata di morti, principalmente
lavoratori, caduti per
mano di polizie col mandato di reprimere senza pietà ogni forma di opposizione. Ma la sudditanza basata sulla violenza è insostenibile. Nessun
potere può reggersi sulla repressione permanente. Dopo un po’ o fa scattare il
consenso o è finito. Per questo tutti i poteri si organizzano per attuare la peggiore delle violenze: il dominio delle
menti. E il sistema dei mercanti non ha fatto eccezione, anzi è
diventato un caso di scuola
Le tecniche di plagio collettivo sono ormai consolidate e ruotano
attorno a tre fondamenti: il sovvertimento dei valori, il rimodellamento degli
stili di vita, la manipolazione dell’informazione. Il sovvertimento dei valori
per modificare le convinzioni profonde che stanno alla base del modo di concepire
i rapporti umani e sociali. Il rimodellamento degli stili di vita per far
assorbire un’altra mentalità in forza dell’abitudine. La manipolazione
dell’informazione per far passare una percezione della realtà utile ai disegni
del potere. Il sistema (il padrone avremmo detto in altri tempi) ti ha chiesto di metterti a disposizione per ognuno di questi
passaggi.
E tu
prontamente lo hai fatto, perché a ben guardare il primo plagiato sei tu. A
forza di studiare le stesse teorie, di guardare la realtà sempre dalla stessa
angolatura, sei diventato un
fanatico privo di ogni capacità critica. Le sole parole che capisci sono quelle del mercante: denaro, mercato,
concorrenza, costi, ricavi, profitti. Le persone viste solo come costi da comprimere. La natura solo come merci
da vendere.
Un mondo a
senso unico dal quale sono stati estromessi serenità, soddisfazione,
affettività, salute. In una parola, tutti gli aspetti che fanno la
felicità delle persone. E a chi cerca di farti notare l’assurdità di una simile
impostazione, contrapponi il muro. Tu, unico depositario della verità; tutti
gli altri, pericolosi sovversivi da annientare in ogni modo possibile. Così da preteso
scienziato ti sei trasformato in
custode, addirittura gendarme, dell’ordine mercantile.
Basta
guardare le posizioni difese dagli organismi internazionali posti a fondamento
del sistema economico mondiale: Fondo
monetario internazionale, Banca mondiale, Organizzazione mondiale del commercio.
Istituzioni alloggiate in palazzi immensi affollati da migliaia di funzionari, apparentemente economisti, in realtà gelidi kapò, che in nome del mercato non si fanno scrupolo di
imporre regole che derubano lavoratori, cittadini e comunità a vantaggio di multinazionali, banche e fondi
speculativi.
È sempre più
evidente che all’interno di questo sistema, dichiaratamente contro le persone e
l’ambiente, non troveremo più le risposte ai nostri problemi. La socialdemocrazia se n’è andata per sempre,
e anche senza rimpianto, visto che era costruita sullo sfruttamento del Sud del
mondo. Per permettere a tutti di vivere
dignitosamente, nel rispetto dei limiti del pianeta e della piena inclusione
lavorativa, bisogna ripensare totalmente il sistema economico. Prima che negli aspetti
organizzativi, nei princìpi fondanti, perché le economie sono il risultato dell’interesse dominante. Nel mondo
dei marinai tutto è impostato attorno alle navi, ai remi, alle reti. In quello
degli agricoltori è impostato attorno ai carri, agli aratri, ai magazzini. Nel
contesto marino gli agricoltori sono in difficoltà e viceversa perché perfino
le narrazioni seguono tracce diverse. Se la savana è organizzata per
il leone, sarà ben difficile che le gazzelle possano trovare soluzione ai
propri problemi. Gli unici spazi possibili saranno quelli stabiliti
dai leoni, che però non li definiranno per il bene delle gazzelle, ma di loro
stessi. Per le gazzelle si aprirà una prospettiva solo se si ridurrà il potere
dei leoni e se la savana sarà riorganizzata per la
sopravvivenza di tutti gli animali. Fuori di metafora, noi, comuni cittadini nullatenenti, troveremo
la soluzione ai nostri problemi, quello dell’abitare, dello studiare, del
curarci, del provvedere a noi stessi, solo se usciremo dal sistema dei mercanti
e ne costruiremo un altro al servizio delle persone.
Una
prospettiva possibile, ma che ha bisogno del contributo di tutti. Anche del
tuo. Se non come sostenitore, almeno come non belligerante. Non solo smettendo di ingannarci sulla scientificità e la
neutralità di questo sistema. Ma smettendo di difenderlo a tutti i
costi e cominciando, al contrario, a denunciarne i limiti e le storture
nell’ottica del bene comune. In
altre parole ti chiedo di smettere di difendere l’indifendibile. E
te lo chiedo non solo per agevolare l’avvento di un’altra forma di economia,
finalmente al servizio di tutti.
Lo chiedo
anche per te. Affinché tu salti giù dal treno prima che precipiti
definitivamente nel baratro. Perché è certo che questo sistema si
distruggerà con le sue stesse mani. E non sarà certo un onore per
te passare alla storia come chi non ha saputo aprire gli occhi neanche quando
le crepe stavano diventando crepacci. Ti conviene rifletterci prima che
sia troppo tardi.
.
Questo testo è tratto dal nuovo libro di Francesco
Gesualdi: “Risorsa Umana” (Edizioni San
Paolo)
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