sabato 6 giugno 2015

riscoprire i Giganti

I Giganti sono un gruppo che ha un record, con la censura.
le loro canzone più famose sono probabilmente “Tema”, del 1966, e “Proposta”, del 1967.





ma chi si ricorda “La terra in bocca”, del 1971?
un disco, un concept album, che parla di mafia.

ecco intanto i conti con la censura:

…1966 I Giganti. Uno dei loro pezzi più famosi, “Una ragazza in due“, fu inizialmente censurata perché ritenuta “canzone esagitata”.
Ancora i Giganti con “Io e il presidente“, che doveva prendere parte al Cantagiro 1967, la quale fu “oscurata” perche’ un suo verso diceva più o meno “oggi non sei niente e domani sei Presidente“, cosa che dovrebbe essere l’orgoglio di qualsiasi democrazia moderna ma che nella mente contorta del censore doveva apparire come una terribile offesa per il presidente della Repubblica.
1970 Sorprendentemente, di nuovo i Giganti. Incapparono nella censura totale di un LP, “Terra in bocca“, che parlava di mafia e che conteneva dei pezzi “scomodi” dal titolo “Sul tuo letto di morte” o “Lungo e disteso“. Doveva essere una delle prime opere rock italiane ed aveva ottenuto ottime recensioni, ma il censore pensò bene di bloccarlo sia in radio che in televisione, visto che, come asseriscono i pezzi da novanta, “La mafia non esiste”.

 I Giganti sono già conosciutissimi come gruppo soft-beat che, in sei anni di attività, avevano sfornato almeno 16 singoli e 2 album di un certo successo, inanellando almeno cinque hit e diverse apparizioni a Sanremo.
Il loro groove attraversa con gli anni momenti esistenzialistipacifismo (“Proposta”, “La bomba atomica“), strane diversioni religiose (“Il Paese è in festa“) e diverse covers. Il tutto suonato con grande stile e convinzione, ma posizionandosi sempre molto lontano dall’ala più dura del Beat.
Protagonista di uno storico litigio,il quartetto si scolse nel 1968 per poi ritrovarsi a sorpresa due anni dopo, in compagnia del tastierista Vince Tempera.
Ed è proprio dalla collaborazione col venticinquenne Maestro milanese e con il “giro” di Gianni Sassi, che nacque un progetto veramente innovativo e trasversale per l’epoca: un album-concept su un delitto di mafia(anche se la parola in sé non viene mai pronunciata) che, da un lato, avrebbe descritto con crudezza tutti gli scenari correlati all’omicidio e dall’altro, evocato la storia d’amore della vittima prima sino a poco prima della sua morte.
Ne viene fuori un capolavoro.
Il disco si apre con un introduzione acustica in cui viene spiegata la storia : un ragazzo siciliano, ribellandosi al pizzo sull’acqua imposto dalla mafia, decide di trovarsela da solo e di distribuirla gratuitamente. Di conseguenza, viene ucciso a tradimento e poi vendicato dal padre.
Un canovaccio drammatico la cui spietatezza si incrocia però con la sua storia d’amore, creando uno virtuoso contrasto poetico che non ha eguali nella sognante epopea dell’Underground.
Se in un primo momento il disco sembra partire in sordina tra arpeggi acustici e voci armonizzate, ci si accorge molto in fretta che “Terra in bocca” è molto di più.
L’articolata struttura musicale e vocale si trasforma progressivamente in un vero e proprio gioiello di composizione, i successivi innesti strumentali creano un magnifico crescendo che, a partire da schemi rock blues, arriva a vere e proprie esplosioni Prog che enfatizzano magnificamente le parti più drammatiche.
La sequenza dei vari movimenti è ricorrente – ma mai ripetitiva – ed inchioda l’ascoltatore al giradischi dal primo all’ultimo minuto in un incedere timbrico senza pari nel 1971.
La resa poetica dei testi è talmente verosimile ed attuale da lasciare commossi.
L’interpretazione, gli arrangiamenti e il mixaggio sono perfetti.
Sospeso tra un “musical noir” e il “Pre-progressivo“, “Terra in bocca” non ha momenti di flessione e , al di là di certe trascurabili pietismi, la resa complessiva lo proietta ancora oggi nella categoria degli “imprescindibili”della musica Italiana.
Non vendette molto (vai tu a toccare certi tasti…), i Giganti si sciolsero a breve e per le discografiche fu una delusione.
Ma questo non importa: chi conosce quest’album, sa che un disco così non si dimentica.


Terra in bocca, di Giorgio Zito
Questa è una storia italiana. Una storia di mafia e di rock. Una storia di censura e stupidità. E’ la storia di un ragazzo di sedici anni che si ribella alla mafia e alla “privatizzazione” dell’acqua. E’ la storia di una rock band all’apice del successo, che decide di giocarsi la carriera in un impresa folle: un disco a tema sulla mafia. Una storia che potrebbe essere stata scritta oggi, e invece è di 40 anni fa.
Il tema, quello dell’intreccio tra la lotta alla mafia e la privatizzazione dell’acqua, o il suo monopolio, è quanto mai attuale, così come la censura sempre più strisciante nel mondo della cultura. I Giganti, nel 1970, sono davvero una delle band più famose in Italia, e quando decidono di buttarsi nell’impresa di “Terra in bocca”, forse non si rendono neanche conto di quello a cui stanno andando incontro.
Ma l’idea di questo lavoro riesce a coagulare intorno ai Giganti il meglio della scena musicale di avanguardia del tempo: da Ares Tavolazzi a Vince Tempera, da Ellade Bandini a quel Gianni Sassi dalla cui mente da li a poco nasceranno la Cramps e gli Area, uno dei personaggi in assoluto più importanti per la storia del rock italiano.
Il disco si apre con un ouverture strumentale, tipico dell’epoca, ma già del secondo brano si sentono influenze che derivano dalla canzone d’autore (è innegabile la presenza di De Andrè tra le fonti di ispirazione del disco): è il brano centrale del disco, il racconto di un uccisione per mano mafiosa: lungo e disteso ti hanno trovato / con quattro colpi piantati nel petto. L’uccisione del ragazzo che ribellandosi alla mafia si illudeva di poter scavare un pozzo per avere l’acqua senza pagare il pizzo.
Da lì parte il racconto, tra ballate acustiche e chitarre elettriche, voci arrabbiate e accordi di piano, accenni di prog, canzone francese e sprazzi di avanguardia.
L’apice arriva con la vendetta del padre del ragazzo, lo scontro con la mafia, e l’uccisione del mafioso che gli aveva ucciso il figlio, in un momento epico, un brano che a tratti potrebbe ricordare i momenti migliori di Jesus Christ Superstar, con un grande arrangiamento, la musica in crescendo, fino al grido di dolore del padre per il figlio ucciso.
Toni soul blues per il brano finale, la presa di coscienza civica contro la mafia, che però porta a farsi giustizia da se. E scavando per la tumulazione del figlio, dalla terra esce l’acqua: la vita che vince contro la morte. Chiusura con il tema centrale dell’opera, che riassume tutto il racconto.
Sono evidenti i motivi per cui nel 1971, in un epoca in cui la parola mafia in TV non poteva essere pronunciata, il disco fu boicottato al punto di sparire dal commercio e rimanere così sepolto per 40 anni. Fino a quando Brunetto Salvarani (teologo e giornalista) e Odo Semellini (scrittore) decidono di raccontare questa storia nel libro “Terra in bocca – Quando i Giganti sfidarono la mafia”, raccogliendo testimonianze di chi c’era e interviste agli autori, ed allegando al libro il cd nella sua versione ufficiale, portando così alla luce questo vero e proprio capolavoro del rock italiano.
In più, nel libro troviamo un esauriente elenco di concept album italiani, un elenco di canzoni sul tema della mafia, una prefazione di Don Luigi Ciotti, e l’analisi dei fatti più importanti dell’epoca, per contestualizzare il disco.
Per chi come me è cresciuto a Rolling Stones, blues e punk è dura ammetterlo, ma nel progressive italiano c’erano davvero delle cose pregevoli, e questo disco, che fotografa in maniera precisa il passaggio dal beat al progressive, ne è la dimostrazione lampante. Probabilmente, uno dei dischi più importanti di tutta la storia del rock italiano.
da qui

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