domenica 19 giugno 2016

Quei fiori nel fango. E il nostro silenzio - Giovanna Mulas


Nel paese dove vivo (circa cinquemila anime) diverse minorenni si prostituiscono. Non lo fanno per necessità – il che non sarebbe comunque una scusante -, almeno non tutte. C’è chi ammette di farlo “così per fare”, perché è esperienza nuova. Una ha confidato piangendo di essere stata violentata per anni in famiglia, da un padre che ora è in galera per furto: si sente “una cosa vuota” quindi si vende, i servizi sociali non si sono mai interessati al suo caso nonostante, dice, “sono a conoscenza della situazione”.
Una cugina le ha urlato di “vergogna buttata su tutta la famiglia“, ma pare non sia servito. Sanno anche tanti vicini che l’hanno vista col cliente di turno che potrebbe essere suo nonno; la guardano male, sanno che ha quattordici anni, “ne parlano alle spalle” e lei li sente parlare (dice che la fanno ridere, per come si scandalizzano), ma mai hanno voluto affrontare con lei il discorso come potrebbe fare una vera amica, o la madre di un’amica preoccupata per questa adolescente che ha imboccato una strada che la segnerà, suo malgrado, per l’intera esistenza.
Un’altra piccola prostituta mi ha confidato di aver abortito, volutamente, già un paio di volte: alcuni medici e le infermiere sanno – la struttura è piccola –, anche altre puerpere che ne hanno incrociato il cammino in ospedale, sanno. La madre sa, ma continua a fare finta di non sapere. È molto religiosa però: la ragazzina confida che “è sempre in chiesa”.
Qualcun altra, bella e brava ragazzina di liceo, classica “figlia di papà”, ha ammesso di farlo perché la sua cantante preferita dice che è “da donne indipendenti e libere” ubriacarsi, drogarsi e fare sesso con chi le piace, quindi si regala per cinque euro a prestazione agli amici di suo fratello, nel piano più basso del garage del paese. Soli o in gruppo non importa, questi continuano a procurarle i clienti; mi dice che tra i clienti abituali c’è un professore, sposato e padre. Molto generoso pare, come quel “gioielliere” che ha l’abitudine di regalare, a lei e le sue amiche, profumi di marca e schede per il cellulare. Prima di farlo lui le dice “che la ama”, e che continua a stare con la moglie solo perché “… le farebbe molto male a lasciarla, e poi che direbbe chi mi conosce?”.
Per quanto può importare il dettaglio, parliamo di Lanusei (Provincia dell’Ogliastra), paese almeno all’apparenza “timorato di Dio” con le sue numerose architetture religiose, luogo di sede vescovile. Persone semplici e accoglienti legate, almeno apparentemente, alle tradizioni. Paese abbastanza tranquillo dove un “vero” problema, per qualcuno, è il parcheggiare fuori dalle strisce pedonali. Sappiamo che una minorenne che si prostituisce è, comunque, vittima: di esempi sbagliati, di un sistema che formatta, di un contesto indifferente, di una educazione mancante: comunque di violenza fisica e o psicologica perpetrata. Lanusei specchio d’Italia.
Una società che compra le minorenni è società malata, “uomini” che comprano bambine sono immaturi non in grado di rapportarsi a personalità consapevoli, non in grado di affrontare una relazione stabile. Sono uomini che sanno perfettamente ciò che fanno e perché lo fanno; sanno ciò a cui andrebbero incontro, legalmente parlando, se scoperti.
Una società che permette in silenzio che tutto questo accada, è società malata.
Per decenni la figura imposta dagli stilisti di fama mondiale è stata una donna non-donna: manichino asessuato, promosso dai media come esempio di perfezione, successo, ricchezza. Un modello che ha fatto ammalare e morire di bulimia e anoressia intere generazioni fragili e depresse.
Gli esempi regalati da un sistema pericolosamente fuorviante continuano tramite i nuovi idoli della musica, con quei libri lanciati sul mercato come “best seller“, tramite tutto ciò che rappresenta commercio: che lucra direttamente o indirettamente sulle fasce più deboli della società, quei ragazzi insicuri per antonomasia, facilmente plagiabili, manovrabili.
Ragazzini di oggi e genitori di domani: decadenza etica che va fisiologicamente a perpetrarsi di generazione in generazione. Comprensibile dunque il fiorire strabico di quattordicenni già rifatte, inneggianti sesso libero e droga, gadgets ad hoc e ancora musica settaria, riviste per adolescenti che devono essere “più donne delle donne” e donne che devono sembrare adolescenti, narrativa da banco frigo sulla perdita di una verginità vista come intralcio, o su un imene da ricostruire chirurgicamente per le quarantenni che rimpiangono il passato.
Di norma non guardo televisione, ho l’abitudine d’informarmi presso agenzie di stampa internazionali nonché tramite professionisti di fiducia che vivono e operano nella nazione interessata dal caso. Ho letto articoli e commenti sull’esternazione infelice della giovane Miss Italia, ovviamente ne ho riso con malinconia ché, dopotutto, sempre di una ragazzina vittima del sistema parliamo, allattata con Manga e Miley Cyrus, manovrata da ambizione/frustrazione personale o materna. Ne ho scritto a più riprese e anche in tempi non sospetti: nello specifico di Miss Italia parliamo di un concorso che, a mio parere, non ha motivo di esistere e forse non l’ha avuto mai, seppure è possibile perdonarlo a quell’Italietta pittoresca e godereccia d’immediato dopoguerra, ma che tale è rimasta.
Esposizione gratuita e sterile della donna, presentata “a pezzi” come elemento da mattatoio mediatico: seno, cosce, bocca…; l’idea che fama e soldo si ottengono “regalando” corpo e non mente a quanti gestiscono un seppur minimo potere, quindi a telecamere e società. È un esempio felliniano, grottesco per le nuove generazioni alle quali dobbiamo un vero cambio di rotta, di valori. Esempio non diverso dalle Veline mute e i volgari cinepanettoni, dalle fiction apparentemente innocenti nei cui dialoghi vengono infilati quei messaggi destinati al popolino.
La civiltà di un paese si vede anche da come le donne vengono trattate: in Italia evidentemente la donna continua ad essere sinonimo di soldo, di manichino vuoto a perdere. Sempre nodale un lavoro incessante di cultura, di coscienza sui ruoli assunti e da assumere
da qui

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