Nel paese dove vivo (circa cinquemila anime) diverse minorenni si
prostituiscono. Non lo
fanno per necessità – il che non sarebbe comunque una scusante -, almeno non
tutte. C’è chi ammette di farlo “così
per fare”, perché è esperienza nuova. Una ha confidato piangendo di
essere stata violentata per anni in famiglia, da un padre che ora è in galera
per furto: si sente “una cosa vuota” quindi si vende, i servizi sociali non si
sono mai interessati al suo caso nonostante, dice, “sono a conoscenza della
situazione”.
Una cugina
le ha urlato di “vergogna buttata su
tutta la famiglia“, ma pare non sia servito. Sanno anche tanti vicini
che l’hanno vista col cliente di turno che potrebbe essere suo nonno; la guardano
male, sanno che ha quattordici anni, “ne parlano alle spalle” e lei li sente
parlare (dice che la fanno ridere, per come si scandalizzano), ma mai hanno
voluto affrontare con lei il discorso come potrebbe fare una vera amica, o la
madre di un’amica preoccupata per questa
adolescente che ha imboccato una strada che la segnerà, suo malgrado, per
l’intera esistenza.
Un’altra
piccola prostituta mi ha confidato di aver abortito, volutamente, già un paio
di volte: alcuni medici e le infermiere sanno – la struttura è piccola –, anche
altre puerpere che ne hanno incrociato il cammino in ospedale, sanno. La
madre sa, ma continua a fare finta di non sapere. È molto religiosa però:
la ragazzina confida che “è sempre in chiesa”.
Qualcun altra, bella e brava ragazzina di liceo, classica “figlia di
papà”, ha ammesso di farlo perché la sua cantante preferita dice che è “da
donne indipendenti e libere” ubriacarsi, drogarsi e fare sesso con chi le piace, quindi si regala per cinque euro a
prestazione agli amici di suo fratello, nel piano più basso del garage del
paese. Soli o in gruppo non importa, questi continuano a procurarle i clienti;
mi dice che tra i clienti abituali c’è un professore, sposato e padre. Molto
generoso pare, come quel “gioielliere” che ha l’abitudine di regalare, a lei e
le sue amiche, profumi di marca e
schede per il cellulare. Prima
di farlo lui le dice “che la ama”, e che continua a stare con la moglie
solo perché “… le farebbe molto male a lasciarla, e poi che direbbe chi mi
conosce?”.
Per quanto
può importare il dettaglio, parliamo di Lanusei (Provincia dell’Ogliastra),
paese almeno all’apparenza “timorato di Dio” con le sue numerose architetture religiose, luogo di sede vescovile.
Persone semplici e accoglienti legate, almeno apparentemente, alle tradizioni.
Paese abbastanza tranquillo dove un “vero” problema, per qualcuno, è il
parcheggiare fuori dalle strisce pedonali. Sappiamo che una minorenne che si prostituisce è,
comunque, vittima: di esempi sbagliati, di un sistema che formatta, di un contesto
indifferente, di una educazione mancante: comunque di violenza fisica e o
psicologica perpetrata. Lanusei specchio d’Italia.
Una società
che compra le minorenni è società malata, “uomini” che comprano bambine sono
immaturi non in grado di rapportarsi a personalità consapevoli, non in grado di
affrontare una relazione stabile. Sono
uomini che sanno perfettamente ciò che fanno e perché lo fanno;
sanno ciò a cui andrebbero incontro, legalmente parlando, se scoperti.
Una società che permette in silenzio che tutto questo accada, è società
malata.
Per decenni la figura imposta dagli stilisti di fama mondiale è stata una
donna non-donna: manichino asessuato, promosso dai media come esempio di
perfezione, successo, ricchezza. Un modello che ha fatto ammalare e morire di bulimia e anoressia intere generazioni fragili e depresse.
Gli esempi
regalati da un sistema pericolosamente fuorviante continuano tramite i nuovi
idoli della musica, con quei libri lanciati sul mercato come “best seller“,
tramite tutto ciò che rappresenta commercio:
che lucra direttamente o indirettamente sulle fasce più deboli della società,
quei ragazzi insicuri per antonomasia, facilmente plagiabili, manovrabili.
Ragazzini di oggi e genitori di domani: decadenza etica che va fisiologicamente a
perpetrarsi di generazione in generazione. Comprensibile dunque il fiorire
strabico di quattordicenni già
rifatte, inneggianti sesso libero e droga, gadgets ad
hoc e ancora musica settaria, riviste per adolescenti che devono essere “più donne delle donne” e donne che devono
sembrare adolescenti, narrativa da banco frigo sulla perdita di una
verginità vista come intralcio, o su un imene da ricostruire chirurgicamente
per le quarantenni che rimpiangono il passato.
Di norma non
guardo televisione, ho l’abitudine d’informarmi presso agenzie di stampa
internazionali nonché tramite professionisti di fiducia che vivono e operano
nella nazione interessata dal caso. Ho letto articoli e commenti sull’esternazione infelice della giovane
Miss Italia, ovviamente ne ho riso con malinconia ché, dopotutto, sempre di una
ragazzina vittima del sistema parliamo, allattata con Manga e Miley
Cyrus, manovrata da ambizione/frustrazione personale o materna. Ne ho scritto a
più riprese e anche in tempi non sospetti: nello specifico di Miss Italia
parliamo di un concorso che, a mio parere, non ha motivo di esistere e forse
non l’ha avuto mai, seppure è possibile perdonarlo a quell’Italietta pittoresca
e godereccia d’immediato dopoguerra, ma che tale è rimasta.
Esposizione gratuita e sterile della donna, presentata “a pezzi” come
elemento da mattatoio mediatico: seno, cosce, bocca…; l’idea che fama e soldo si
ottengono “regalando” corpo e non mente a quanti gestiscono un seppur minimo
potere, quindi a telecamere e società. È un esempio felliniano, grottesco per
le nuove generazioni alle quali dobbiamo un vero cambio di rotta, di valori.
Esempio non diverso dalle Veline mute
e i volgari cinepanettoni,
dalle fiction apparentemente
innocenti nei cui dialoghi vengono infilati quei messaggi destinati
al popolino.
La civiltà
di un paese si vede anche da come le donne vengono trattate: in Italia
evidentemente la donna continua ad essere sinonimo di soldo, di manichino vuoto a perdere. Sempre nodale un lavoro incessante di
cultura, di coscienza sui ruoli assunti e da assumere
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