martedì 21 giugno 2016

Lo scrivano – Tahar Ben Jelloun

un po' libro di ricordi, ma anche di ossessioni, di viaggi e ritorni, di amori e disamori, di (poche) amicizie e di rancori, di chi guarda la vita, e la vive e la scrive in prima persona.
scrittura fatta di frasi martellanti, scandite, con un ritmo implacabile.
non sarà perfetto, ma è un libro vivo, Tahar Ben Jelloun sa come si scrive e, sopratutto, come farsi leggere - franz





Due sole frasi tratte dal libro per indicare cosa non si trova nello stesso. Non è un testo che parla di scrittura. É però un libro che vaga nella vita di un bambino malato che si rifugerà nell'immaginazione. Un bambino malato che sognava la vita, ma da adulto nostalgico non potendo viverla, la scriverà.
«Dunque scrivo invece di vivere. Seduto al tavolo stendo sulle pagine tutta la violenza accumulata, tutti i conflitti che ho sfiorato.»
«Il potere della scrittura mi affascina. Mi ci rifugio ogni qualvolta dovrei agire. L'esorcismo attraverso le parole costituisce il mio scudo, il mio velo, il mio rifugio e la mia passione.»

Scriba di se stesso, e reveur della propria vita, Ben Jelloun si divide in questo libro - soglia di un nuovo errare - che si perpetuerà nei romanzi successivi, "Creatura di sabbia" (1985, e Einaudi 1987), e "Notte fatale" (1987, e Einaudi 1988) - tra lo "scrittore pubblico" che raccoglie il racconto, e l'uomo privato, scrittore anch'egli, che, con la complicità ambigua del "doppio" che lo abita (I'"immensa" presenza che permette ai ricordi, confusi anch'essi, di rivivere), offre allo scrivano la propria esistenza.
All'abolizione di sé era promesso sin dall'infanzia il bambino malato, confinato in una camera dalla quale si faceva "spia" dei corpi degli altri; la sua guarigione - il recupero del corpo - è però condizione della perdita dello spazio dei sogni nel buio delle notti attraversate "danzando sul filo, sempre lo stesso, teso tra il crepuscolo e l'alba". Bambino malato, sognava la vita, adulto nostalgico della cesta che gli serviva da letto e da dimora e che non gli impediva di vivere, scriverà "invece di vivere".
Se, nella "Creatura di sabbia", Ahmed, nato donna "per errore" e obbligato dal padre, che non può sopportare il disonore di un'ottava figlia, a ricevere l'educazione di un ragazzo e a essere trattato come tale, era costretto a un'erranza continua alla ricerca di un patto tra il suo corpo e la sua immagine; se tutti gli scritti di Ben Jelloun sono attraversati dalla ferita inflitta dalla estraneità e dalla solitudine di un'esistenza segnata dall'esilio perpetuo, in questo romanzo l'autore si fa interprete di una scelta: quella di chi, diviso tra due lingue e due culture - francese e araba - ha fatto della lingua francese il luogo stesso del suo esilio, e della scrittura il luogo della separazione.
Scrivere, per "Lo scrivano", è ripercorrere la genealogia di una fatalità che vota l'essere alla scrittura: "Non smetto di rientrare a casa per non morire. Sento la mancanza del mio paese ovunque io vada, poi, quando ci torno non faccio che ripercorrere grandi passi il cammino dell'inverno, cercando un'uscita dal labirinto, una porta che si dia su uno spazio nudo, bianco, al riparo dal pensiero e dalla memoria".

Libro senza una vera storia, una sorta di mille e una notte oscura e densa d'inquetudine. Jelloun opera incursioni nelle illusioni, nei desideri, nelle paure e nelle angoscie che lo hanno accompagnato durante la sua vita, affrontandoli con il potere esorcizzante della scrittura.
Certo è disturbante, eccessivo ma anche poetico e affascinante.
da qui

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