un
libro di racconti, alcuni molto belli, gli altri perfetti.
tutto quello che ho letto finora merita molto, iniziate a
leggere da qualsiasi suo libro, non ve ne pentirete - franz
“Il linguaggio è potere, vita e strumento di cultura, lo strumento del dominio e della
liberazione.” – Angela Carter
otto deliri magici
ma e questa donna, da dove esce?? datemene ancoraaaaaaa!!!
Angela Carter conosce alla perfezione il mestiere
dello scrivere e questo libro lo dimostra. Alla sua bravura unisce anche
un'inventiva veramente straordinaria (soprattutto nel racconto che vede
protagonisti Baudelaire e la sua Jeanne e in quello che racconta cosa sarebbe
accaduto se Moll Flanders fosse stata rapita dagli indiani d'America).
da: “il melo magico”
Angela Carter
Nell’Occidente,
sotto cieli azzurri
crescono i meli.
Affondano
le ginocchia nell’erba
vacillando sotto il peso dei frutti.
Tonda è la mela come tondo è il mondo, rossa
come sangue del cuore, grossa
come due pugni uniti. Questa,
la prima al mondo tra le mele,
bagnata, ancora
dalla prima rugiada.
Fu il serpente a fare la prima mela,
deposto che ebbe l’uovo rosso disse:
“Mangiami”.
così Salman Rushdie parla di
Angela Carter:
La prima volta che incontrai
Angela Carter fu in occasione di una cena in onore dello scrittore cileno Jose
Donoso, a casa di Liz Calder, che all’epoca era l’editrice di noi tutti. Il mio
primo romanzo sarebbe uscito di lì a poco, mentre Angela aveva appena
pubblicato il suo libro più oscuro La passione della nuova Eva. Io ero un suo grande fan.
Donoso arrivò agghindato come un Buffalo Bill ispanico, con tanto di pizzetto
brizzolato, giubbetto con le frange e stivali da cowboy, e continuava, come
potei osservare, a trattare Angela in modo terribilmente condiscendente.
Stupito dalla sua apparente ignoranza dell’opera della scrittrice, gli feci una
lunga ramanzina informandolo che la donna con cui stava parlando era la più
brillante autrice inglese. Angela rimase positivamente impressionata. Alla fine
della serata ci piacevamo a vicenda. Fu la prima grande scrittrice che
incontrai in vita mia, e un’amica fedele, sincera, una fonte continua
d’ispirazione.
Quando venni a sapere che
aveva un cancro, la chiamai al telefono e ne parlammo. «Angela», le dissi, «c’è
solo una cosa da fare. Devi sconfiggerlo, tutto qui». «Sì» – parlava
strascicando le parole in modo lento e cupo – «ma come la mettiamo con la mia
fascinazione per il fatalismo orientale?». «Stammi a sentire», le dissi,
«l’orientale della famiglia sono io. Potresti cortesemente lasciare a me il
fatalismo e occuparti della tua dannata vittoria?». «Oh», disse come sorpresa
da quello che le appariva un buon suggerimento, «ok». Poi combatté come un
demonio, lottò contro la morte con tutte le sue forze e tutto il suo coraggio,
ma anche con la sua sagacia, il suo umorismo, il suo senso del ridicolo, la sua
rabbia. La morte ringhiava e lei le mostrava il dito medio. La morte la
lacerava e lei le faceva la linguaccia. Alla fine perse. Ma vinse, anche,
perché nel suo furioso ridere, nella sua infuocata satira sulla propria morte,
nel suo sgonfiare ciò che Henry James aveva pomposamente definito la «cosa
distinta», ridimensionò la morte: nessuna cosa distinta, piuttosto un piccolo,
sporco clown assassino. Dopo averci mostrato come scrivere, dopo averci aiutato
a capire come vivere, Angela ci insegnò come morire.
Lo voglio dire ancora una
volta: Angela Carter è stata una grande scrittrice. Lo ripeto perché a dispetto
della sua fama mondiale, per qualche ragione qui in Inghilterra non ha mai
avuto il riconoscimento che meritava. Certo, molti scrittori sapevano che era
una rarità, una mosca bianca senza pari in tutto il pianeta; e, allo stesso
modo, lo sapevano tanti lettori da lei ispirati, stregati. Ma chissà perché non
le fu dato il posto che le apparteneva – al centro, al cuore stesso della
letteratura della sua epoca. Ora che è morta non dubito che in breve tempo
apparirà chiara la portata dei suoi successi. È triste che gli scrittori
debbano morire per poter trovare il proprio posto nel pantheon. Di sicuro
Angela Carter sapeva quanto valeva. Ma avremmo potuto dirle più spesso, e con
più convinzione, che anche noi lo sapevamo.
L’ultimo romanzo di Angela, Figlie Sagge, è anche
il più bello. Lì sentiamo dispiegarsi in tutta la sua ricchezza la sua voce
autentica, quella che impiegava anche fuori dalla pagina. Il romanzo è scritto
con il suo inconfondibile marchio di fabbrica, uno spietato umorismo. Ride
spensierato mentre fa a pezzi il secolo con i suoi motti di spirito. Come tutte
le sue opere, è una celebrazione della sensualità della vita. Soprattutto
celebra chi si trova dalla parte sbagliata, e anche chi è nato nel letto
sbagliato. È una pernacchia rivolta da South London all’altra sponda del
Tamigi, un inno alla bastardaggine (e il romanzo è una forma bastarda, non va
dimenticato, per cui i romanzieri dovrebbero sempre stare dalla parte dei
bastardi). Carter era una che prendeva per i fondelli, una profanatrice di mucche
sacre. Nulla le era più caro di un ostinato – ma anche allegro –
anticonformismo. I suoi libri ci liberano dalle catene, rovesciano le statue
dei boriosi, demoliscono i templi e i commissariati della rettitudine. Traggono
forza e vitalità da tutto ciò che è iniquo, illegittimo, basso. Sono senza
eguali, e senza rivali.
Con la morte di Angela
Carter la letteratura inglese ha perso la sua maga, la sua benevola
strega-regina, un’artista geniale dotata di una buffa grazia. Noi che abbiamo
perso un amica non vogliamo credere che non ci saranno più interminabili
conversazioni al telefono con quella voce che poteva alzarsi ai vertici di
passioni scatologiche o sprofondare, nei momenti più bui, in una sorta di
bambinesco sussurro. Ormai privi della Regina delle Fate, non siamo più capaci
di riprodurre la magia che può salvarci. Né desideriamo essere salvati, non
ancora. Fissiamo l’enorme vuoto con cui la sua morte ci ha lasciato e, senza
staccare lo sguardo dal cratere della nostra perdita, la ricordiamo.
È morta il 16 febbraio del
1992. Tre settimane prima le avevo dato una copia di un lungo saggio che avevo
scritto su uno dei suoi film preferiti, Il mago di Oz. Le
avevo chiesto se potevo dedicarglielo, lei aveva acconsentito. Tristemente, non
ho mai saputo se fosse riuscita a leggerlo. Ma almeno in quella dedica potei
dire in parte quello che provavo. Quando Dorothy chiede alla Strega Buona
Glinda se il Mago di Oz è buono o cattivo, Glinda risponde dicendo che «è un
buon Mago… ma molto misterioso». Il Mago di Oz è un impostore, si scopre alla
fine. Angela Carter era una maga buona, forse la migliore.
Traduzione di Nicola Vincenzoni
per chi sa l’inglese:
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