Il 15 giugno 2016, il
tribunale di Torino ha condannato Roberta, ex studentessa di antropologia di
Ca’ Foscari, a 2 mesi di carcere con la condizionale per i contenuti della sua
tesi di laurea, conseguita nel 2014. Per scrivere la tesi «Ora e sempre No Tav:
identità e pratiche del movimento valsusino contro l’alta velocità», Roberta ha
trascorso due mesi sul campo durante l’estate del 2013, ha partecipato a varie
dimostrazioni in Valsusa, intervistando attivisti e cittadini. Coinvolta
insieme a lei in questo procedimento giudiziario era Franca, dottoranda
dell’Università della Calabria, che come Roberta era in Valle per ragioni di
ricerca, che compare con Roberta nei video e nelle foto analizzati dalla
procura ma che a differenza di Roberta è stata assolta da tutti i capi
d’imputazione.
A
differenza di Franca, Roberta è stata condannata a 2 mesi di reclusione con la
condizionale. Nonostante le motivazioni della sentenza saranno rese pubbliche
tra 30 giorni, la ragione della sua condanna è stata attribuita all’utilizzo,
nella sua tesi di laurea, del “noi partecipativo” interpretato dall’accusa come
“concorso morale” ai reati contestati. Di fatto, i video e le foto scattate
durante le manifestazioni parlano chiaro: le due donne sono lì, presenti, anche
se in disparte. È stato dimostrato in tribunale che nessuna delle due imputate
ha preso parte a momenti di tensione. Né bisogna dire che tutti i momenti di
tensione contestati dall’accusa hanno trovato riscontro nel materiale video
fotografico acquisito dalla procura. Durante l’azione dimostrativa tenutasi
davanti alla ditta Itinera di Salbertrand che fornisce il cemento al cantiere
di Chiomonte le due ragazze partecipano ma rimangono ai margini. Di sicuro il
pm Antonio Rinaudo ha chiesto 9 mesi per entrambe, ma mentre Franca è stata
assolta da tutti i capi d’imputazione, Roberta è stata condannata.
Roberta,
infatti, avrebbe dimostrato un “concorso morale” con le condotte contestate
dall’accusa, non a caso in alcuni passaggi della sua tesi raccontò l’accaduto
in prima persona plurale. Quello che per la difesa era un “espediente
narrativo” – nella ricerca etnografica il posizionamento del ricercatore
rispetto all’oggetto della ricerca è una scelta soggettiva che fa parte di ciò
che si chiama storytelling – diventa, per l’accusa, la prova di
collusione rispetto ai reati contestati.
Siamo
indignati: che ci risulti, è la prima volta dal 25 aprile 1945 che una tesi di
laurea viene considerata oggetto di reato e subisce una condanna. Ci
domandiamo, increduli, quale perversione attraversi un paese che porta nelle
aule di un tribunale le parole di una tesi di laurea. Ci sconvolge che tutte le
tesi di laurea siano potenzialmente oggetto delle letture inquisitorie dei
magistrati e che la Procura di Torino si senta legittimata a sanzionare
penalmente l’uso di un pronome personale a tutti gli effetti fondante della
grammatica italiana quando usato in riferimento a un tema politico ad essa non
gradito. L’accusa di “concorso morale” in riferimento all’analisi situata di un
problema politico va intesa come sintomo dell’accanimento contro chiunque osi
raccontare quanto avviene in Val di Susa senza criminalizzare la determinazione
di una comunità a lottare contro la devastazione del suolo, della salute
dell’ambiente e del territorio. Ricordiamo che all’interno dello stesso
procedimento altre 45 persone, tra cui 15 minorenni, sono state rinviate a
giudizio.
Questa
storia va intesa inoltre per ciò che è: un inaccettabile atto intimidatorio
contro la libertà di pensiero e la libertà di ricerca, ancor più grave in
quanto portato avanti contro giovani studenti accusati di mettere troppa
passione in ciò che fanno e minacciati di essere pesantemente sanzionati se
prendono posizione, “partecipano” o osano fare politica.
Rivolgiamo
questo appello in modo particolare al mondo universitario italiano per rompere
il silenzio e denunciare la violazione della libertà di ricerca e di opinione.
Nessuno dei classici difensori delle libertà democratiche si è fatto, fino a
ora, sentire. Nessun esponente di rilievo del mondo accademico né del ministero
dell’Università e della Ricerca ha ritenuto necessario dover rilasciare una
dichiarazione. Vogliamo rivolgerci in particolare al mondo accademico per
chiedere quanto a lungo intenda accettare esplicite intimidazioni e minacce di
ritorsioni. Se il fine di questo processo è sigillare la colpevolezza di chi
racconta le ragioni di chi lotta contro la violenza e i soprusi, siamo tutti
colpevoli. “Per uno scrittore il reato di opinione è un onore” ha scritto Erri
De Luca, il primo assolto per un crimine che non esiste ma che l’Italia odierna
punta pericolosamente a restaurare: il reato d’opinione. Sentiamo l’esigenza di
prendere parola in difesa della libertà di ricerca e di pensiero in Italia e
chiediamo a tutti di moltiplicare le iniziative in questa direzione. Ribadiamo
che nessuna intimidazione o minaccia di ritorsioni potrà distoglierci dalla
nostra narrazione, dal nostro storytelling, dal nostro impegno di ricerca perché il
nostro mestiere lo conosciamo e lo amiamo, nonostante tutto.
Per
adesioni all’appello, inviare una mail all’indirizzo: appelloricerca@gmail.com
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