Un altro
pseudo-spauracchio anti-Brexit agitati dai commentatori a libro paga della Nato
e dagli incompetenti veri, come il premier inglese David Cameron (“Putin
potrebbe rallegrarsi se la Gran Bretagna lasciasse la Ue”) e il suo ministro
degli Esteri John Hammond (“A dire la verità, l’unico Paese a cui piacerebbe
che noi lasciassimo l’Unione Europea è la Russia”), è stato che il Cremlino di Vladimir Putin avrebbe potuto
sghignazzare di soddisfazione all’uscita via Brexit di Londra dalla Ue. Quando
tutto, semmai, farebbe pensare il contrario.
Proviamo a ricordare qualche fatto. Da quando è
nell’Unione Europea, il Regno Unito ha sempre fatto parte a sé. Ci sono solo
quattro Paesi nella Ue (Danimarca, Regno Unito, Irlanda e Polonia) che godono
di opt-outs, cioè della
facoltà di non partecipare alle regole comuni in questo o quel campo. E Londra è l’unica che abbia chiesto quattro opt-outs.Quelli
che ha scelto riguardano il Trattato di Schengen (quello che abolisce i confini
interni all’Unione e garantisce la libera circolazione di merci e persone), la
Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione (diritti civili e affini), l’area
detta Libertà, Sicurezza e Giustizia (in pratica Londra può chiamarsi fuori da
questa o quella legge adottata dal Parlamento europeo) e, naturalmente,
l’unione monetaria (il Regno Unito ha conservato la sterlina).
In
più, dal 1985 il Regno Unito gode del cosiddetto rebate, ovvero uno sconto su
quanto il Paese deve versare come contributo economico al funzionamento della
Ue. Nel 2014, quando
l’economia inglese era la più dinamica dell’Unione, il rebate le consentì di tenersi in saccoccia
6,2 miliardi e di contribuire con soli 12,6 miliardi. Questo
mentre il contributo italiano, per fare un esempio, superava i 14 miliardi.
Nel febbraio scorso, per
finire, i vertici della Ue avevano accordato al Regno Unito ulteriori benefici,
raccolti sotto la dizione Special status che
David Cameron aveva molto magnificato. In quell’occasione Londra aveva
ottenuto: uno speciale “freno” (per sette anni, rispetto ai quattro di tutti
gli altri Paesi) alle spese per l’integrazione e l’avviamento al lavoro degli
immigrati in casi di ondate migratorie particolarmente intense; i sussidi per i
figli residenti all’estero degli immigrati in Gran Bretagna dal 2020 avrebbero
potuto essere pagati non al costo della vita del Regno Unito ma in quello di
residenza del minore; l’esclusione dall’impegno di stringere in futuro un
legame più stretto con la Ue; per finire, la possibilità di sfruttare speciali
“clausole di salvaguardia” per proteggere gli affari della City, per impedire
il trasferimento in altri Paesi Ue di aziende inglesi e per proteggere le
aziende inglesi da eventuali “discriminazioni” dovute al fatto di non essere
nell’area euro.
Quindi,
cominciamo col dire questo: l’idea che la Brexit
spacca l’Europa è ridicola. Londra non è mai stata davvero in Europa (alla faccia di tutte le leggende
inglesi sull’invadenza regolatoria di Bruxelles), semmai è stata un compagno di
viaggio dell’Europa, protagonista di un patto basato sul reciproco interesse e
nulla più. Ora il Regno Unito ha deciso che l’interesse non c’era più. Bene,
saluti e baci. L’Europa potrebbe spaccarsi solo se altri Paesi decidessero di
fare la stessa cosa. Al momento è poco probabile. E tra qualche tempo, chissà,
la sorte inglese potrebbe dissuadere quelli oggi apparentemente più ribelli.
Allo
stesso tempo, Londra ha sempre coltivato la relazione con Washington e gli Usa assai più
di quanto coltivasse quella con la Ue. Non c’è impresa militare, per quanto
fallimentare, dall’Iraq di Tony Blair e George Bush alla Libia di David Cameron
e Barack Obama, che non li abbia visti insieme. Non parliamo della Nato. Non
parliamo del programma nucleare Trident, in partnership con gli Usa, che la
Gran Bretagna ha appena rinnovato al modico costo di quasi 39 miliardi di euro. Non parliamo di
Echelon (Five Eyes), il programma di sorveglianza
elettronica cui il Regno Unito partecipa appunto con Usa, Australia, Nuova
Zelanda e Canada.
Non
parliamo del fatto che Usa e Regno Unito hanno
stretto tra loro la più grande partnership del mondo per investimenti esteri
diretti. Come ha
detto di recente il segretario di Stato Usa Kerry: “Ogni giorno, quasi un
milione di americani va a lavorare in aziende inglesi negli Usa e ogni giorno
più di un milione di inglesi va a lavorare in aziende americane in Gran
Bretagna. Siamo strettamente legati, è ovvio. E abbiamo intenzione di
rafforzare i nostri legami per aumentare la nostra prosperità”.
Che
cosa c’entra tutto questo con Putin e con la Russia? È abbastanza semplice. Se Londra non è mai stato davvero in Europa, ma è
sempre stata un fedele alleato degli Usa, quale differenza può fare la Brexit
agli occhi della Russia? Forse
che il Regno Unito uscirà anche dalla Nato? Forse che abbandonerà i programmi
di spionaggio elettronico allestiti con gli Usa? Se domani gli Usa chiamassero
gli amici per bombardare la Siria, il Regno Unito si tirerebbe indietro? E non
c’è solo l’hard power. È Londra, se non ci avete fatto, a far da
spalla agli Usa in tutte le iniziative di soft
power.
L’Osservatorio
siriano sui diritti umani, che è riuscito a entrare in tutti i titoli di
giornale sulla Siria pur essendo gestito da un oppositore dichiarato di Assad
non certo super partes,
è coperto e mantenuto dagli inglesi. Inglese (Sebastian Coe) è
il presidente della Iaafche ha squalificato tutti gli atleti
russi, colpevoli o no che fossero di doping (verdetto poi corretto dal Cio).
Inglese (e scelto dal Governo Cameron) il giudice che sul caso
Litvinenko ha
sentenziato che “Putin non poteva non sapere”. Di Londra i giornali che
sostengono (tesi poi disciplinatamente ripresa anche dai nostri giornali) che
gli hooligan russi hanno un addestramento paramilitare e collegamenti con i
servizi segreti (cioè Putin).
Con
il Regno Unito fuori dalla Ue crediamo davvero che questo cambierà? E
se non cambierà che differenza farà mai alla dirigenza russa? Anzi, potrà semmai peggiorare. Perché è chiaro che Londra cercherà di far leva sui buoni
rapporti con gli Usa per compensare le prebende perse in Europa. È quindi possibile che diventi ancor
più “americaneggiante” di prima, non meno.
Infine.
Chi sostiene che Putin cerca di dividere l’Europa, di mandarla in pezzi,
rifletta su questo. Se tale fosse il fine del
Cremlino, allora Putin avrebbe tifato contro la Brexit, per far restare nella
Ue un Paese privilegiato, rompiscatole e diviso come appunto il Regno Unito. Senza Londra, e se nessuno seguirà il
suo esempio, l’Europa può solo compattarsi, consolidarsi. Cosa che conviene a
tutti, anche alla Russia, che ha sempre avuto nell’Europa il proprio miglior
partner commerciale. Chi è che vorrebbe mandare in malora il proprio miglior
cliente?
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