giovedì 6 aprile 2017

Come si muore legato a un letto - Piero Cipriano



Per spiegarlo, un noto psichiatra, da qualche mese collaboratore di “A”, invita a pensare alle matrioske o alle scatole cinesi. E dalle vicende ospedaliere, terminate con la morte dell'insegnante anarchico Francesco Mastrogiovanni, ripercorre la sua intera vicenda, da quello scontro con i fascisti a Salerno nel lontano 1973...

La vita e la morte di Franco Mastrogiovanni, se la vuoi provare a capire, devi immaginarla come un incastro di matrioske, o di scatole cinesi, conficcate l'una dentro l'altra, e dunque se vuoi arrivare a comprendere quella più grossa (quella di fuori, sarebbe a dire la sua morte), devi spingerti come uno speleologo fin dentro quella più piccola (quella di dentro).
La matrioska più grande è la sua morte, più grande perché è quella che tutti hanno visto, perché è stata una morte davvero grande, e purtroppo spettacolare, da società dello spettacolo, direbbe Guy Debord, nel senso che se non ci fossero state le telecamere a filmare questa morte, di Mastrogiovanni non sarebbe rimasto niente, una delle migliaia di morti anonime negli ospedali, o nei luoghi della psichiatria.
Invece se la sua morte è stata una morte spettacolare, e lo spettacolo è servito per condannare chi di questa morte è stato responsabile, può darsi non sia stata una morte vana, ma che da questa morte derivi una legge (ovviamente legge Mastrogiovanni) che impedisca a chi ha un ruolo di cura di sequestrare, torturare, e uccidere chi di cure ha bisogno. Ma torniamo da capo.
La prima scatola. La morte. Per causa di un ricovero. C'era una ragione per ricoverare quest'uomo in un reparto di psichiatria? Obbligarlo perfino? Sembra di no. Era in vacanza, da un mese alloggiava in un bungalow di uno stabilimento balneare cilentano. La sera del 30 luglio 2009 sarebbe entrato contromano nell'isola pedonale del comune di Acciaroli, anzi, avrebbe tamponato ben quattro macchine. Ma nessuno sporge denuncia. La sua macchina è illesa. Eppure un tenente dei vigili di Pollica assicura che, dallo sguardo, si capiva che “non era in sé”, perché era “perso nel vuoto”. Cioè, invece di multarlo, il vigile improvvisa una diagnosi psichiatrica.
Il giorno dopo, il 31 luglio, inizia una caccia all'uomo. Caccia all'uomo che prende la forma giuridica del Trattamento Sanitario Obbligatorio. Per cui lo vanno a cercare nel bungalow dello stabilimento balneare di San Mauro Cilento, e dove non ha mai dato segno di squilibrio, riferisce la titolare (“gli lasciavo i miei nipoti”, precisa).
Qui, alla vista di uno spiegamento di vigili e carabinieri, si allontana in mare, cantando, pare (è un noto anarchico, si dice) una canzone anarchica (Addio Lugano bella). Questa cosa in realtà non è vera. Pare venga ripetuta un po' per giustificare il ricovero (uno che canta canzoni anarchiche in mare è come minimo eccitato, euforico), un po' perché, narrativamente, è perfetta (è tutta un'altra cosa impostare un pezzo giornalistico scrivendo della persecuzione di un anarchico braccato dallo stato, piuttosto che dover spiegare che un trattamento simile può capitare a chiunque). Questo suo ripararsi in mare costituisce un ulteriore motivo, per lo psichiatra che lo valuta a settanta metri di distanza e propone il TSO, per far diagnosi di agitazione psicomotoria (che poi non è una diagnosi).
C'è anche una motovedetta in azione, che impedisce a Mastrogiovanni di inoltrarsi in mare, e che allerta i bagnanti, e li avverte di non interferire, perché è in atto una caccia all'uomo. A quel punto Mastrogiovanni, obtorto collo, si consegna alle forze dell'ordine.
Era un noto anarchico
Ma perché è così riluttante a collaborare con le forze dell'ordine, perché è un anarchico, forse, e gli anarchici, si sa, sono per natura idiosincratici con le forze di polizia? No, non per questo.
Bisogna aprire un'altra matrioska. Giusto dieci anni prima, 1999 (ne aveva quarantotto), era stato arrestato, per oltraggio a pubblico ufficiale, dopo essere stato duramente picchiato (motivo: protestava per una multa), sconta alcuni mesi agli arresti domiciliari, fino a essere assolto e perfino risarcito. Ma le botte prese lasciano il segno, disturbo post traumatico da stress potrebbero definirlo gli psichiatri, appassionati di nosografia, per cui da allora ogni volta (così viene scritto, non sono sicuro che sia vero, tuttavia non è certo inverosimile) che vede vigili o altri tutori dell'ordine si allarma, gli viene il panico, insomma: non è proprio tranquillo. Forse per questi sintomi, che assumono la forma della ciclotimia (l'alternarsi tra depressione ed euforia) tra il 2002 e il 2005 subisce tre ricoveri, sempre nello stesso SPDC di Vallo della Lucania.
Apro un'altra matrioska, per provare a capire perché questa attenzione, lievemente esasperante, da parte delle forze dell'ordine nei confronti di Mastrogiovanni.
Era un noto anarchico segnalato nelle questure, si dice. Da quando, nel 1972, ha ventun anni e studia all'università, si trovava sul lungomare di Salerno con un compagno d'anarchia, Giovanni Marini, vengono aggrediti da un gruppo di militanti fascisti, uno dei quali armato di coltello, e Mastrogiovanni si ferisce, uno dei fascisti, il possessore del coltello, Carlo Falvella, segretario del FUAN, viene invece ucciso da Marini. Nel processo che ne segue Mastrogiovanni viene assolto, Marini condannato a nove anni. Anche se assolto, però, il suo nome non verrà dimenticato. Apriamo un'altra matrioska?
Di cosa si occupavano, Mastrogiovanni e Marini, quando vengono aggrediti dai militanti fascisti? Stanno indagando su uno dei misteri d'Italia. L'omicidio, camuffato da incidente stradale, di cinque anarchici calabresi, avvenuto due anni prima. Questi stavano recandosi a Roma, in auto, con documenti comprovanti che l'incidente ferroviario di Gioia Tauro, dove erano morte alcune persone, era di matrice fascista. Ebbene i due, Marini e Mastrogiovanni erano in qualche modo venuti a conoscenza del fatto che l'autista del tir, responsabile dell'incidente, era un salernitano, di simpatie fasciste. Di qui, l'agguato.
Torniamo di nuovo agli anni recenti. Tra il 2002 e il 2005 Mastrogiovanni inizia a conoscere la psichiatria locale. Tre TSO subiti. In almeno uno di questi ricoveri viene legato. Possiamo comprendere, dunque, perché dirà, nel momento in cui sale per l'ultima volta in ambulanza: non mi portate in quel reparto, che lì mi ammazzano.
Adesso facciamo ritorno all'ultima matrioska, ai suoi ultimi giorni. Una serie di eventi sono necessari per ucciderlo, per fare di lui il perfetto paradigma dell'homo sacer, di colui che, avendo trasgredito (è un anarchico, ed è uno psichiatrizzato) può essere ucciso senza troppi scrupoli etici.
Colpevole è una psichiatria troppo legata a pratiche manicomiali. Sono stati necessari tre eventi, paradigmatici di una pratica psichiatrica pre-basagliana: il ricovero in TSO, il luogo in cui viene ricoverato, la contenzione meccanica.
Una politica di Forza Italia, in una trasmissione televisiva, poco dopo la sentenza, ha sostenuto che questa morte è colpa della maledetta legge 180. Che ignorante! È il contrario. Questa morte è dovuta al fatto che in molti luoghi, in Italia, non hanno saputo o voluto applicare la più democratica al mondo delle leggi in tema di salute mentale. La legge 180 prevede il TSO come extrema ratio, e non è stato questo il caso, prevede che i SPDC siano aperti, e non era il caso di quel reparto, non prevede la possibilità di legare le persone, e lui è stato legato.
Dunque andiamo a vedere perché, questo ricovero, e questa morte, sono stati determinati da un totale misconoscimento e disapplicazione della legge 180.
Un vero e proprio bunker impenetrabile
Cominciamo dal TSO. Una serie di enigmi su questo provvedimento. Non sappiamo il perché di questo accanimento. Un vigile, ho già detto, lo trova strano, occhi persi, sguardo vuoto, dice che andava contromano, urtava fioriere, nell'isola pedonale, tamponava quattro macchine, tutte intonse, peraltro nessuno sporge denuncia, la macchina di Mastrogiovanni pure è intatta, che strani tamponamenti, fatto sta che invece di dar luogo a una eventuale multa, o a sospensione della patente, si programma per il giorno dopo nientemeno che un TSO.
E dire che si poteva fare, tutta al più, un ASO, un Accertamento Sanitario Obbligatorio, e dopo inviare, se era il caso, Mastrogiovanni a curarsi presso il Centro di Salute Mentale del luogo. Invece no. I vigili, e dopo il sindaco, inviano un medico con vigili e carabinieri al camping dove Mastrogiovanni fa le vacanze, tranquillo, e lo braccano, al punto che lui prima si rifugia in acqua, poi esce, si arrende, si consegna, ma gli permettono di fare una doccia e bere un caffè (ottima terapia per uno che si suppone agitato). A quel punto, la sua arrendevolezza avrebbe potuto consigliare, a degli operatori di salute mentale coerenti con la legge 180, di trasformare il TSO in ricovero volontario, o meglio, perfino, se ci fossero stati in loco dei CSM efficienti, di proseguire le cure lì, senza per forza ospedalizzarlo.
D'altra parte, la legge 180 prevede che il ricovero sia, di norma, volontario, e solo eccezionalmente obbligatorio, in sussistenza di tre elementi: alterazioni psichiche richiedenti urgenti interventi terapeutici, urgenti interventi terapeutici non accettati dalla persona, non vi sono le condizioni extra ospedaliere per attuare gli urgenti interventi terapeutici.
Inutile dire che in questo caso mancavano sia le alterazioni psichiche tali, sia la non accettazione delle misure terapeutiche, sia la terza condizione: non ci hanno neppure provato a proporre una terapia alternativa, a domicilio. Dunque era illecito il TSO. Oltretutto si incarica, di emettere l'ordinanza, il sindaco di Pollica, mentre Mastrogiovanni viene fermato nel comune di San Mauro del Cilento. Insomma, sembra, come in epoca manicomiale, che il ricovero venga disposto dalle autorità, non dai medici, che assumono il ruolo di meri esecutori.
Illecito era anche il reparto, straordinariamente restraint, ovvero chiuso, un vero e proprio bunker impenetrabile: non uscivano in permesso i pazienti, non vi entravano i famigliari (la nipote verrà tenuta fuori). Un reparto dove i ricoverati erano tutti allettati, chi per i farmaci chi perché legato. Perfino il compagno di stanza di Mastrogiovanni lo era, eppure era un depresso entrato in ricovero volontario. Un reparto che, dalle immagini registrate, ci viene restituito come un luogo di prigionia, un luogo mortificante, il luogo in grado di modellare gli operatori in senso maligno, ovvero trasformare anche brave persone in carnefici. Ciò che lo psicologo Philip Zimbardo ha definito Effetto Lucifero.
Illecita (nonché anti terapeutica, nonché letale) è stata la contenzione meccanica, ovvero il legarlo al letto, mezz'ora dopo il suo ingresso, fino a cinque ore dopo la sua morte. Perché illecita? Innanzitutto perché la contenzione meccanica non è soggetta a nessuna norma. Si fa, ma non si sa per quale legge. Non la prevede la legge 180, non la Costituzione. Solo un articolo del Codice Penale la rende possibile, o meglio, rende non perseguibile chi l'ha decisa e attuata: l'articolo 54, stato di necessità. Ma dov'era lo stato di necessità, nella decisione di legare al letto Mastrogiovanni? Viene legato, dirà uno dei medici, per essersi rifiutato di consegnare le urine. Urine peraltro richieste dai carabinieri per verificare se avesse fatto uso di droghe. È dunque uno stato di necessità, questo? No. Non c'era nessuno stato di necessità. Mastrogiovanni viene legato mentre dorme. Ecco perché oltre ogni misura illecita.
Ma poniamo pure il caso che fosse stata lecita, giusta, necessaria, e perfino terapeutica (tutte cose che non credo). Dopo che l'hai cateterizzato, hai ottenuto le urine, hai fatto il drug test urinario, hai visto che aveva fumato cannabis, hai ottenuto la tua informazione: viene meno il presunto stato di necessità. Eppure lui non viene slegato. Perché? Ma perché un uomo che si sveglia, e si scopre legato, per forza di cose si agita. E dunque non appare sufficientemente calmo per decidere di slegarlo.
Non lo hanno trattato più da essere umano
A questo punto c'è, nelle valutazioni dei dottori, un diverso motivo per lo stato di necessità: la sua agitazione. E questo deve aver innescato un circolo perverso: hanno iniziato a somministrargli sempre più farmaci per calmarlo. Ma i farmaci non solo non lo calmavano, ma lo confondevano, lo stordivano, al punto che a un certo punto non era più l'uomo tranquillo, gentile, lucido che le immagini ci mostrano appena entrato in reparto, ma un uomo sempre più confuso, che gli operatori stessi (medici e infermieri) stentavano a riconoscere come essere umano, eppure erano loro stessi che l'avevano disumanizzato, nel giro di poche ore, e però non sono riusciti a porre riparo.
Dunque non lo hanno trattato più da essere umano. Infatti, con un uomo legato al letto, dopo un po' ci parli, ci provi a scioglierlo (mi riferisco ai medici, soprattutto). Invece, e le immagini ce ne danno la prova, non l'hanno più fatto. Non ci arrivo proprio a capirli, gli psichiatri di quel reparto, cosa avessero in testa, quali fossero loro i pensieri, quanto tempo volessero tenerlo legato. Una settimana, forse? Qual era il tempo giusto? All'inizio ho pensato che potesse essere perfino una contenzione punitiva. Che qualcosa avesse detto o fatto, magari nei precedenti ricoveri, per meritarla. Invece adesso penso che semplicemente siano stati degli inetti, sia sul piano professionale che umano. Non hanno saputo prendersi la responsabilità di relazionarsi a questa persona, hanno voluto trattarlo da non persona, da oggetto, probabilmente per delle loro limitate capacità relazionali. Io non li conosco. Posso fare delle ipotesi, inferenze.
Ma l'atteggiamento sfuggente, schizoide oserei dire, per usare il gergo degli psichiatri, che ha avuto uno degli psichiatri mentre il giornalista de Le iene lo incalzava e gli chiedeva: ma lei non si sente responsabile?, mi fa pensare che costoro non si siano davvero resi conto di averlo ucciso. Non abbiano imparato proprio niente da questa vicenda, e dalla condanna che hanno avuto. Ma spostiamoci sugli infermieri. Se non viene decisa la decontenzione, da parte dei medici, siccome è agosto e fa caldo, tu che sei infermiere, fallo bere, dagli da mangiare, lavalo, monitorizza costantemente i suoi parametri vitali. Questo farebbe, un essere umano decente. Invece no.
Questi infermieri non solo si credevano burattini obbedienti al volere dei medici, esseri incapaci di pensare con la propria testa, ma non hanno avuto neppure un briciolo di buon senso per provvedere a nutrirlo. Talmente passivi che uno dice al giudice che non c'era bisogno di andare di persona a controllarlo, perché lo si vedeva bene dalla telecamera, un altro sostiene che se era per lui lo avrebbe slegato ma... non dipendeva da lui. Che è la stessa giustificazione adoperata da Adolf Eichmann: eravamo in guerra, e io obbedivo al Führer. Questo è il male banale. Talmente sciatti e distratti che si accorgeranno solo cinque ore dopo che l'uomo legato, che loro avrebbero dovuto curare, è morto.
Diciassette operatori: 6 medici e 11 infermieri
La condanna, anche degli infermieri, è importante perché dimostra che gli infermieri bravi non sono quelli obbedienti, ottusamente obbedienti, ma quelli che sanno dissentire, che obiettano (è previsto pure nel loro codice deontologico, se l'avessero letto): ho conosciuto infermieri che prima sciolgono il paziente e poi vanno a chiedere il permesso al medico. Gli infermieri, se vogliono, sono in grado anche di determinarla, la contenzione, ma se non vogliono, sono capaci di non far legare un paziente, e ne ho visti di infermieri così, per fortuna.
Ora questi diciassette operatori (sei medici più undici infermieri) hanno avuto una condanna, misera, quasi simbolica per questa morte che hanno sulla coscienza. Partiamo da questa per ribadire che ciò che è successo a Mastrogiovanni non deve succedere ancora. E perché non accada i TSO devono essere regolamentati meglio. Magari istituendo la figura di un garante. E i SPDC non devono essere chiusi come bunker. E la contenzione meccanica deve essere abolita.
Auspico che il martirio di Mastrogiovanni determini una legge, che porta il suo nome, in virtù della quale le fasce vengono eliminate dai luoghi di cura e i TSO diventano provvedimenti rari, davvero a tutela delle persone.

2 commenti:

  1. io il tso l'ho sfiorato tre volte volte anni fa.
    mi vengono i brividi al solo pensiero.

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    1. sembra un film dell'orrore, quello di Franco Mastrogiovanni

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