martedì 25 ottobre 2016

Giornalismo nel Tennessee - Mark Twain


Mi fu detto dal medico che un clima mite mi avrebbe fatto bene alla salute; e così me ne andai giù nel Tennessee e trovai un posto come condirettore alla «Gloria del mattino e grido di guerra della contea di Johnson». La prima volta che mi recai al lavoro, trovai il direttore responsabile allungato all'indietro su una sedia a tre gambe e con i piedi su un tavolo di pino. Nella stanza c’era un altro tavolo di pino e un’altra sedia sgangherata, ed entrambe le cose erano mezze seppellite sotto mucchi di giornali, di ritagli e di manoscritti. C’era pure una cassetta di legno con la sabbia piena di cicche spente e bottiglie tristi, e una stufa con lo sportello penzolante dal cardine superiore. Il direttore responsabile indossava una redingote nera con le code lunghe e pantaloni di lino bianco. Portava piccoli stivali ben lucidati, una camicia pieghettata, un grosso anello con sigillo, un rigido colletto vecchio stile e un fazzoletto da collo a scacchi con le punte penzoloni. Data del costume: 1848 circa. Stava fumando un sigaro, e mentre cercava una parola si toccava i capelli arruffati. Era paurosamente accigliato e pensai stesse redigendo un editoriale particolarmente pungente. Mi disse di prendere i giornali inviatici in scambio, di darci un’occhiata e di scrivere lo Spirito della stampa del Tennessee condensando nell’articolo tutte le notizie che mi sembravano interessanti. Ecco quanto scrissi:
LO SPIRITO DELLA STAMPA DEL TENNESSEE

I direttori del «Terremoto bisettimanale» sono evidentemente vittime di un equivoco per quanto riguarda la ferrovia di Ballyhack. Non rientra tra i programmi della compagnia tagliare fuori Buzzardville. Al contrario, la considerano una delle stazioni più importanti della linea e di conseguenza non possono avere interesse a evitarla. I cari colleghi del «Terremoto» saranno certamente lieti di pubblicare una rettifica. L’eccellente John W. Blossom, l’abile direttore del «Tuono e grido di battaglia della libertà di Higginsville» è arrivato ieri in città. Alloggia alla pensione Van Buren. Osserviamo che il nostro collega dell’«Urlo del mattino di Mud Springs» ha commesso un errore supponendo che l’elezione di Van Werter non fosse un fatto compiuto, ma avrà senza dubbio scoperto il suo errore ben prima dell’arrivo di questa nota. È stato indubbiamente tratto in errore dai risultati elettorali incompleti. É un piacere notare che la città di Blathersville è in trattative con dei signori di New York per pavimentare con rivestimenti Nicholson le sue strade ormai quasi impraticabili. L’«Hurrah quotidiano» sostiene lodevolmente l’iniziativa e appare fiducioso del successo finale. Passai il manoscritto al direttore responsabile perché lo approvasse, lo modificasse o lo distruggesse. Gli diede un’occhiata e immediatamente si rabbuiò. Lo sguardo passò sulle pagine e il suo contegno si fece portentoso. Era chiaro che qualcosa non andava bene. Poi saltò su e disse: «Tuoni e fulmini! Credi forse che io abbia intenzione di parlare di quelle vacche da latte in questo modo? Credi che i miei abbonati siano disposti a sorbirsi una pappetta del genere? Dammi la penna!». Non ho mai visto una penna grattare e aprirsi la strada in modo così insinuante, arare tra i verbi e gli aggettivi altrui con tanto accanimento. Ma proprio nel bel mezzo del suo lavoro qualcuno gli sparò attraverso la finestra aperta, rovinando però la simmetria del mio orecchio. «Ah» disse, «è quel mascalzone di Smith del “Vulcano morale”, doveva venire ieri». Allora sfoderò dalla cintura un revolver della Marina e fece fuoco. Smith cadde colpito a una coscia. Il colpo rovinò la mira di Smith che stava proprio per sparare di nuovo e beccò un estraneo. Me. Solo un dito tranciato. Poi il direttore responsabile continuò con le sue cancellature e interpolazioni. Aveva appena finito che una bomba a mano piombò giù dal tubo della stufa e l’esplosione sbriciolò la stufa in mille pezzi. Ma non fece altri danni, a parte il fatto che una scheggia vagante mi fece saltar via un paio di denti. «Quella stufa è completamente andata» disse il direttore responsabile. Gli dissi che era senz’altro vero. «Beh, non importa, con questo clima non è necessaria. So chi è stato. Lo prenderò. Adesso, ecco il modo in cui dovrebbe essere scritta questa roba». Presi il manoscritto. Era talmente rovinato dalle cancellature e dai cambiamenti che non lo avrebbe riconosciuto neanche sua madre, se mai ne avesse avuta una. Ecco come suonava:
LO SPIRITO DELLA STAMPA DEL TENNESSEE

Quei bugiardi incalliti del «Terremoto bisettimanale» stanno facendo ogni sforzo nel tentativo di gettare addosso a gente nobile e cavalleresca un’altra delle loro vili e brutali menzogne a proposito di quell’eccellentissimo risultato del diciannovesimo secolo che è la ferrovia di Ballyhack. L’idea che Buzzardville dovesse essere tagliata fuori ha avuto origine solo nei loro cervelli bacati, o meglio in quella poltiglia che loro si ostinano a considerare cervelli. Faranno meglio a ingoiarsi questa bugia se vogliono evitare alle loro insignificanti carcasse di rettili la fustigazione che così ampiamente meriterebbero. É arrivato in città quel deficiente di Blossom, del «Tuono e grido di battaglia della libertà di Higginsville» e sta a scrocco da Van Buren. Vediamo che quel delinquente rimbambito dell’«Urlo del mattino di Mud Springs» sta spargendo la voce, con la sua abituale propensione per le menzogne, che Van Herter non verrà eletto. La missione celestiale del giornalismo è diffondere la verità, sradicare l’errore, educare, rifinire ed elevare il tono della morale e del costume pubblico e rendere tutti gli uomini più gentili, più virtuosi, più caritatevoli e in ogni caso migliori, più santi, più felici; e tuttavia questo farabutto dal cuore nero degrada i suoi grandi compiti perseverando a disseminare falsità, calunnie, insulti e volgarità. Blathersville vuole una pavimentazione Nicholson, ma ha maggior bisogno di una prigione e di un ospizio. Che balordaggine quella di pavimentare una città di quart’ordine, dove ci sono solo due spacci d’alcolici, un maniscalco e quel giornale buono solo per fare i cartocci dell’«Hurrah quotidiano». Quell’insetto strisciante, Buckner, che dirige l’«Hurrah» raglia su quest’affare con la sua solita imbecillità, credendo di dire cose di buon senso. «Questo sì che è il modo di scrivere, pepato e dritto al sodo. Il giornalismo da mammolette mi fa venire il nervoso». Più o meno in quel momento piombò dalla finestra un mattone in un fracasso di vetri rotti, e mi prese in pieno sulla schiena. Mi misi fuori portata, cominciando a pensare di essere di troppo. Il capo disse: «Deve essere il colonnello. Lo aspetto da due giorni. Sarà qui tra un momento». Aveva ragione. Il colonnello apparve sulla porta un attimo dopo con in mano un revolver da dragone. Disse: «Signore, ho forse l’onore di parlare al disgraziato che dirige questo foglio ributtante?». «Sì, sono io. Si accomodi, signore. Stia attento alla sedia, una delle gambe se n’è andata. Credo di aver l’onore di rivolgermi a quel putrido bugiardo del colonnello Blatherskite Tecumesh.» «Giusto, signore. Ho un piccolo conto in sospeso con lei. Se è pronto, possiamo iniziare.» «Dovrei finire un articolo sull’Incoraggiante progresso dello sviluppo morale e intellettuale in America, ma non c’è fretta. Cominciamo.» Entrambe le pistole esplosero con feroce clamore nel medesimo istante. Il capo perse una ciocca di capelli mentre il proiettile del colonnello terminò la sua carriera nella parte carnosa della mia coscia. La spalla sinistra del colonnello venne appena colpita. Fecero fuoco di nuovo. Questa volta mancarono il bersaglio, ma io ebbi comunque la mia parte, un buco nel braccio. Al terzo colpo entrambi i gentiluomini rimasero leggermente feriti e io ne ebbi un’articolazione scheggiata. A questo punto dissi che preferivo uscire a fare una passeggiata, dato che si trattava di una questione privata e mi pareva indelicato partecipare ulteriormente. Ma entrambi i gentiluomini mi implorarono di rimanere seduto, rassicurandomi che non ero d’impiccio. Poi, mentre ricaricavano, parlarono delle elezioni e del raccolto e io pensai a medicarmi le ferite. Ma ripresero immediatamente a sparare con entusiasmo e ogni colpo andò a segno — ma è giusto far notare che cinque colpi su sei toccarono a me. Il sesto colpì a morte il colonnello il quale, con fine umorismo, osservò che era venuto il momento di congedarsi perché aveva degli affari da sbrigare in città. Chiese dove poteva trovare un becchino e se ne andò. Il capo si rivolse a me, dicendo: «Aspetto degli ospiti per cena, e devo andare a prepararmi. Mi fai un gran favore se mi correggi le bozze e ricevi i clienti». Trasalii un pochino all’idea di ricevere i clienti, ma ero troppo terrorizzato dalla sparatoria che ancora mi echeggiava nelle orecchie per riuscire a pensare a qualcosa da dire. Riprese: «Jones sarà qui alle tre: frustalo. Gillespie arriverà un po’ prima: buttalo fuori dalla finestra. Ferguson passerà verso le quattro: uccidilo. Questo è tutto per oggi, credo. Se trovi il tempo, scrivi un articolo tosto sulla polizia: fai vedere i sorci verdi all’ispettore capo. Le fruste sono sotto il tavolo; le armi nel cassetto, le munizioni là nell’angolo, e garza e bende laggiù nello schedario. Se ti capita qualcosa, vai da Lancet, il chirurgo, al piano di sotto. Si fa pubblicità e ci paga in natura». Se ne andò. Rabbrividii. Di lì a tre ore ero passato attraverso pericoli così terribili che tutta la mia serenità e l’allegria mi avevano abbandonato. Gillespie era venuto e aveva buttato me fuori della finestra. Jones era arrivato subito e, quando stavo per frustarlo, mi aveva subito tolto lo scudiscio di mano. Nell’incontro con uno sconosciuto, del tutto imprevisto, avevo perduto lo scalpo. Un altro sconosciuto, di nome Thompson, mi ridusse a una carcassa di stracci strappati. E alla fine, stretto in un angolo e incalzato da una infuriata massa di direttori, bari, politici e banditi che erano dappertutto, bestemmiavano e brandivano le armi sul mio capo tanto che l’aria sembrava scintillare di quei lampi d’acciaio, stavo per rassegnare le mie dimissioni quando arrivò il capo e con lui un mucchio di amici affezionati ed entusiasti. Ne seguì una sommossa e una carneficina tale che nessuna penna umana o d’acciaio potrebbe descrivere. Si presero a pistolettate, gente infilzata, smembrata, fatta esplodere, gettata fuori della finestra. Ci fu un breve tornado di torbida blasfemia con una confusa e frenetica danza di guerra, e poi tutto finì. In cinque minuti ci fu silenzio; il capo sanguinante e io sedemmo da soli a ispezionare la cruenta rovina che si stendeva sul pavimento intorno a noi. Disse: «Ti piacerà questo posto, quando ci avrai fatto l’abitudine». Dissi: «Devi scusarmi, ma penso che forse, dopo un po’, riuscirei anche a scrivere come piace a te; potrei farcela, una volta fatto un po’ di esercizio ed essermi impadronito della lingua. Ma, a essere sincero, quelle espressioni così energiche hanno i loro inconvenienti e l’uomo è suscettibile alle interruzioni. Lo vedi anche tu. La scrittura vigorosa è senza dubbio adattissima a elevare il pubblico, ma non me la sento di attrarre tutte le attenzioni che richiamano questo modo di fare. Non posso scrivere a mio agio quando vengo interrotto ogni volta, come è successo oggi. L’incarico mi piace, ma non mi va di essere lasciato qui a ricevere i clienti. Sono esperienze fantastiche, devo ammetterlo, e in un certo senso anche divertenti, ma non sono distribuite equamente: un signore ti spara dalla finestra e colpisce me; una bomba a mano viene giù dal tubo della stufa in tuo omaggio e mi schianta in gola lo sportello della suddetta; arriva un amico per fare quattro chiacchiere con te e m’impallina così tanto che i miei princìpi non stanno più nella pelle; te ne vai a cena e Jones arriva con la frusta, Gillespie mi butta fuori della finestra, Thompson mi strappa tutti i vestiti, un perfetto sconosciuto mi prende lo scalpo con la tranquilla confidenza di un vecchio amico; in meno di cinque minuti tutti i fuorilegge del paese arrivano in assetto da guerra e iniziano a terrorizzarmi a morte con i loro tomahawk. Per concludere, in tutta la mia vita non ho mai passato una giornata più movimentata di questa. No; tu mi piaci e mi piace pure la calma imperturbabile con cui spieghi le cose ai clienti, ma vedi da te che non ci sono abituato. Il cuore del Sud è troppo impulsivo; l’ospitalità meridionale è troppo generosa per uno straniero. I paragrafi che ho scritto oggi e nelle cui fredde frasi tu hai infuso il fervente spirito del giornalismo del Tennessee scateneranno un altro vespaio. Verrà un’altra masnada di direttori affamati, e vorranno qualcuno da mangiare a colazione. Sono costretto a dirti addio. Rinuncio a essere presente a quelle celebrazioni. Sono venuto al Sud per la mia salute, e me ne vado subito per la stessa ragione. Il giornalismo del Tennessee è troppo movimentato per me». Poi ci separammo con reciproco rammarico, e presi una camera all’ospedale.

Nessun commento:

Posta un commento