mercoledì 1 luglio 2020

Il caso 'Venezuela-photoshop': non si ferma la macchina del fango - Pino Cabras



Sono ormai numerosi e incontrovertibili i riscontri che dimostrano che il presunto documento venezuelano del 2010 - tanto strombazzato per accusare una persona deceduta di aver preso soldi da un altro morto (vecchia tecnica mafiosa per screditare e depistare) - è un clamoroso e grossolano falso, fabbricato in modo pedestre: timbri che nel 2010 non potevano esistere, ministeri che nella loro carta intestata mettono un nome che non avevano e altri anacronismi che gettano un immenso discredito sul quotidiano spagnolo ABC e su chi lo riprende acriticamente.
Già questo basterebbe e avanzerebbe a una redazione onesta per titolare più o meno così: "Giornale spagnolo pubblica una bufala per accusare il M5S". Un giornalista scrupoloso ci mette due minuti: se il ministero venezuelano ha un nome ufficiale diverso, quel documento non ha nemmeno il grado zero dell'attendibilità. Fine della discussione. E se un documento è un evidente falso, chi lo ha confezionato ha commesso un reato, mentre chi lo ha diffuso sui media (senza fare il semplice mestiere del cronista che verifica le fonti) è un falsario di un livello più ipocrita e più cinico, è un vice-maggiordomo più attento a compiacere i propri padroni che a cercare la semplice verità.
Alla locomotiva dei giornali che titolano "ombre sul M5S" si attaccano i vagoni dei politici che ripetono a pappagallo: "vorrei credere che sia una fake news ma il M5S deve fare chiarezza".
Sarebbe fantastico confezionare con Photoshop (e vi assicuro che lo so fare) un documento in russo che descrive una consegna di 3,83 miliardi di rubli in banconote di piccolo taglio da consegnare a qualche parlamentare leghista e poi, una volta diffuso il documento, metterci tutti a strepitare che i leghisti devono fare chiarezza. Che poi 3,83 miliardi di rubli, al cambio di oggi, varrebbero 49 milioni di euro. Ma quella è un'altra storia.
Oppure potrei fabbricare una lettera finta di qualche petromonarca del Golfo che descrive una mirabolante dazione in Rolex e diamanti a Matteo Renzi in cambio di una sua buona parola per qualche speculazione immobiliare. Che figata poi chiedere un'inchiesta sulla base di questa patacca, girando tutti gli studi televisivi con lo spandiletame alla massima potenza.
Succede anche che i direttori dei giornali intossicati dalla propria narrazione si salvino l'anima lasciando scrivere un pezzo a quel loro redattore bravo, quello che scrive che il documento non convince per questa e quella ragione ben spiegata. Ma il pezzo del giornalista coscienzioso ha un taglio basso, invisibile, sommesso e sommerso dal rumore di fondo che solo conta nella testa dei padroni editoriali: quel titolone a tutta pagina che divora ogni testo, prevarica sulla percezione, dà l'impronta a milioni di lettori, bombardati ovunque dalla rassegna stampa che ripete la bufala con il ritmo persuasivo di una pubblicità. Il prodotto da vendere è: "il M5S è sporco". Se lo dicono "tutti", qualcosa sarà vera, e lo "spin", cioè l'effetto mediatico che fa girare tutta la giostra intorno alla notizia del giorno, ha raggiunto il suo effetto.
Come corollario nessuno legge le nostre vere posizioni sul Venezuela, che hanno trascinato il governo a una posizione equilibrata anziché ripetere gli errori di altri governi su Iraq, Libia e Siria.
Così ci vedono come tifosi. Proiezione freudiana: abbiamo un giornalismo fatto esattamente di tifosi, che non sanno più descrivere le partite vere sul campo, ma solo il loro mondo da hooligan del sottobosco politico, dentro i loro pastoni retroscenisti che ormai sapremmo scrivere in automatico. E oggi non sanno nemmeno distinguere uno scoop da un foglietto che qualunque ragazzino di terza media sgamerebbe al volo.

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