lunedì 2 settembre 2013

Edward Said, la pace e Bach

In una delle sue ultime interviste rilasciate in vita, la sola per un giornale israeliano, l’Ha’aretz Magazine, Edward Said descrive il conflitto fra Israele e Palestina come una disperata e immensa sinfonia. Costruito su uno svolgimento complicatissimo di stratificazioni storiche, di non risarcibili sofferenze individuali, di tragici errori politici, di responsabilità nazionali e internazionali, quel conflitto potrebbe essere sciolto solo da una mente grandiosa come quella di JS Bach. Ci vorrebbe una politica portata a quell'altezza di narrazione e di comprensione del reale; una diplomazia educata all'arte del contrappunto e per questo capace di organizzare un groviglio di conflitti senza apparente soluzione in un processo molto più ampio e dinamico, di differenziazione e di riconoscimento. Proprio come nelle Variazioni Goldberg. Senza annullare le differenze; senza farle reciprocamente deflagrare. Non è strano, né tantomeno casuale, che Said pensi alla politica attraverso la musica. Perché nella sua riflessione teorica, il legame che stringe queste due esperienze umane, apparentemente lontanissime, è per contro nitido ed essenziale…

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