sabato 25 febbraio 2017

Alternanza scuola-lavoro, cronache di un progetto immaturo - Luca Martinelli

Ester ha 18 anni e frequenta un liceo del salernitano. È un’alunna di quarta superiore, e segue l’indirizzo delle scienze umane: nell’ambito di un progetto di alternanza scuola-lavoro, che dall’anno scolastico 2015-2016 è diventata obbligatoria per gli alunni delle classi terze dei licei (vedi box a pagina 20), si è recata insieme a una cinquantina di compagni all’interno di un’azienda agricola del territorio, una “fattoria didattica”. I bambini che avrebbe dovuto accudire, però, erano meno di una decina -racconta-, e così i titolari, una coppia, avrebbe mandato gli studenti a raccogliere pomodori. Al telefono, Ester spiega che il problema non è la raccolta di pomodori, ma il fatto che questo tipo di attività non si presta a un progetto di “alternanza”, né formi in alcun modo futuri educatori o insegnanti come lei e i suoi compagni.
Andrea, invece, studia da cuoco in un istituto alberghiero abruzzese: nella primavera del 2016, quand’era ancora minorenne, ha ottenuto la possibilità di svolgere fuori Regione il periodo di alternanza, due settimane a cavallo di Pasqua prestando servizio presso un hotel della riviera romagnola. A Rimini è arrivato accompagnato dai genitori, e nei primi due giorni -spiega al telefono- ha avuto modo di capire il funzionamento della cucina di una struttura ricettiva; durante il terzo giorno, però, è stato invitato ad abbandonare la stanza dell’hotel che gli era stata assegnata, una singola, per andare ad occupare una specie di magazzino, in condizioni igieniche precarie. Dopo aver richiamato i genitori, Andrea è tornato in Abruzzo, completando il periodo di alternanza in una pasticceria. Ha segnalato ai dirigenti del suo istituto l’hotel, che è stato depennato dalla lista delle “strutture ospitanti”, come le definisce il ministero dell’Istruzione.
È la legge 107 del 2015, quella conosciuta come “la buona scuola” (labuonascuola.gov.it), ad aver reso obbligatorio per tutti gli studenti del triennio superiore l’alternanza scuola-lavoro: nei tecnici e nei professionali, come la scuola frequentata da A., questa occupa 400 ore; 200 ore, invece, nei licei, come quello dove studia C.: nell’anno scolastico 2015-2016, gli studenti coinvolti sono stati oltre 652mila, in larga parte delle classi terze, ma saranno un milione e mezzo nel 2017-2018.
Non tutti vivranno esperienze come quelle di Ester e Andrea, ma sono anche gli insegnanti a riconoscere che la riforma è incompleta, e l’alternanza -il cui obiettivo è quello di aumentare le competenze dei ragazzi- rischia di essere un flop.
Lucia Dorigo insegna scienze umane al Liceo Adelaide Cairoli di Pavia, 1.800 alunni e quattro indirizzi: all’interno del suo istituto coordina l’attività, che lo scorso anno ha coinvolto 350 studenti, raddoppiati quest’anno. “Costruire un percorso di alternanza significa lavorare sulle competenze, da sviluppare sia a scuola sia all’esterno: questo aspetto della riforma lo ritengo intelligente, perché in questo modo gli studenti sono chiamati a risolvere problemi. Si tratta di un ribaltamento rispetto alla didattica frontale”.
I problemi principale per trasformare questo modello in realtà? “I programmi non sono cambiati, e sono enciclopedici: l’esame di maturità presuppone che la classe arrivi fino a un certo punto in storia, in filosofia…”. L’ordine d’intervento -secondo Dorigo- avrebbe dovuto essere un altro: “Prima mettere mano ai programmi, quindi all’esame di maturità, e poi, arrivati a quel punto, introdurre la didattica per competenze, anche rafforzando il rapporto sul territorio con l’alternanza”. Anche perché, ed è il secondo aspetto negativo, per gli insegnanti è difficile “costruire percorsi con aziende, che sono quelli caldeggiati dal ministero: per gli studenti del liceo Cairoli ci sono appena 4 posti. Non abbiamo ancora la possibilità di accedere ad un elenco delle aziende presenti sul territorio; ho scritto a molti, ma non mi hanno risposto” sottolinea la professoressa Dorigo.
Secondo un monitoraggio del primo anno di obbligatorietà realizzato dalla Federazione lavoratori della conoscenza della Cgil, l’80% dei progetti di alternanza sono nati in modo casuale, “a partire da offerte dei soggetti privati” si legge in una sintesi della ricerca. Secondo lo stesso report, “un ragazzo su 4 è fuori da percorsi di qualità”, ovvero ha partecipato solo ad attività propedeutiche (a scuola) o solo ad esperienze di lavoro. Oscar Pasquali, capo della segreteria tecnica dell’ex ministro Stefania Giannini al dicastero dell’Istruzione, sottolinea come le strutture ospitanti coinvolte nel 2015/2016 siano state 149.795, il 36,1% delle quali imprese. Tracciando un bilancio dopo il primo anno di obbligatorietà, anche Pasquali è consapevole che esista “una questione di ‘qualità’, ma -spiega- volevamo spingere le scuole fuori dalla propria comfort zone, obbligandole ad essere intraprendenti, anche se affiancate e supportate dal ministero”.
Funziona così: il ministero o l’Ufficio scolastico regionale (USR) stipulano con il soggetto interessato -può essere un’azienda, un ente pubblico, ma anche un soggetto no profit- “protocolli” o “accordi quadro”, che per avviare operativamente dei “progetti” di alternanza devono dar luogo a “convenzioni” con le singole scuole. “È la scuola che negozia con la struttura ospitante il percorso formativo, partendo magari da una base già discussa -racconta Pasquali-; e lo studente firma di proprio pugno il progetto formativo, quindi deve fare un lavoro di consapevolezza rispetto a ciò che è previsto che faccia, e ciò che andrà a fare -sottolinea il dirigente del ministero-: se deve fare qualcosa che non è previsto, è giustissimo che lo indichi e permetta anche a noi di essere duri rispetto ai patti sottoscritti. È anche in questo modo che si fa cultura del lavoro. Ma i prossimi saranno anni delicati. Il processo è complesso”.
E lo è ancora di più quando mancano dei pezzi. Solo il 21 novembre 2016, ad esempio, la circolare numero 44 dell’INAIL, l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, ha chiarito -a un anno e quattro mesi dall’approvazione della legge “la buona scuola”- che l’assicurazione scolastica è estesa anche alle attività di alternanza, e che quindi le strutture ospitanti non devono farsi carico di quei costi…

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