Su quel che sta accadendo da ieri nella
zona universitaria di Bologna spero scriveremo presto diffusamente, ma nel
frattempo segnalo l’analisi di Alessandro
Canella sul sito di Radio Città Fujiko intitolata “A Bologna il
tappo è saltato. Riflessioni dopo lo sgombero del 36 in via Za
moon” e pubblicata oggi, venerdì 10 febbraio 2017.
moon” e pubblicata oggi, venerdì 10 febbraio 2017.
“La celere dentro l’Università e la
guerriglia urbana per le strade sono uno degli apici di un problema più
profondo che va anzitutto compreso. Da tempo sotto le Due Torri l’obiettivo non
sembra essere più quello della coesione sociale. Una possibile lettura dello
stato di salute di Bologna.
I cinquantenni e sessantenni di oggi,
quelli che quarant’anni fa avevano 20 o 30 anni, hanno subito evocato una
similitudine: il 1977 a Bologna. I moti studenteschi, l’uccisione di Francesco
Lorusso, lo sgombero di Radio Alice e i carrarmati, mandati dal governo
Andreotti e dal ministro degli Interni Francesco Cossiga, per le strade della
città, governata da Renato Zangheri.
“Sono state inaugurate le celebrazioni per il quarantesimo del ’77”, è l’ironia amara di qualcuno sui social network. In effetti, fra un mese esatto, ricorrerà l’anniversario di quell’evento.
“Sono state inaugurate le celebrazioni per il quarantesimo del ’77”, è l’ironia amara di qualcuno sui social network. In effetti, fra un mese esatto, ricorrerà l’anniversario di quell’evento.
Non è facile commentare quanto accaduto
ieri al 36 di via Zamboni, sede della biblioteca di Discipline umanistiche
dell’Università di Bologna, e successivamente in piazza Verdi, cuore della zona
universitaria: la polizia che fa irruzione nell’Ateneo per sgomberare un’aula
studio occupata, l’autentica guerriglia urbana registratasi a seguire.
Non è facile commentare se si abbandonano, almeno per un momento, le scelte di campo. Eppure è un esercizio necessario perché, prima di aderire al celebre invito gramsciano sulla necessità di non essere indifferenti e di parteggiare, occorre anzitutto capire la complessità della situazione.
Non è facile commentare se si abbandonano, almeno per un momento, le scelte di campo. Eppure è un esercizio necessario perché, prima di aderire al celebre invito gramsciano sulla necessità di non essere indifferenti e di parteggiare, occorre anzitutto capire la complessità della situazione.
Ieri abbiamo assistito ad uno dei culmini
di una tensione sociale che da tempo attraversa il capoluogo emiliano
romagnolo. Non si può dire, infatti, che si tratti di un episodio isolato,
improvviso o inaspettato. Se dovessimo disegnare un’immagine del conflitto
nella nostra città negli ultimi tempi, potremmo forse immaginarla come una
catena montuosa, composta di tante vette, più o meno ravvicinate.
La coesione e la pax sociale, tanto cara alla tradizione bolognese, inaugurata da Giuseppe Dozza nel secondo Dopoguerra e praticata da molti amministratori che sono seguiti, sembra non essere più un obiettivo, un orizzonte che guida le pratiche di governo della città.
La coesione e la pax sociale, tanto cara alla tradizione bolognese, inaugurata da Giuseppe Dozza nel secondo Dopoguerra e praticata da molti amministratori che sono seguiti, sembra non essere più un obiettivo, un orizzonte che guida le pratiche di governo della città.
Se si esclude il ’77, che non fu un
fenomeno solo cittadino (per quanto a Bologna abbia avuto le sue peculiarità e
le sue vicessitudini), il giro di boa può essere collocato nel 2004, con
l’elezione di Sergio Cofferati a sindaco di Bologna. Perfino Giorgio Guazzaloca,
colui che simbolicamente ruppe il tabù della guida politica della città, si può
collocare nel solco della tradizione amministrativa votata alla pax sociale. Durante il suo mandato i movimenti
bolognesi hanno vissuto una sorta di epoca d’oro, vedendosi riconosciuti spazi
e convenzioni come non accadde più in seguito. Non è un caso, infatti, che
Guazzaloca abbia tollerato de facto, ad
esempio, l’occupazione di Atlantide, cominciata nel 1997 e che abbia assegnato
nel 2002 ad Xm24 lo spazio di via Fioravanti, di cui oggi si discute. Il primo
e unico sindaco ufficialmente di centrodestra della città aveva capito che per
consolidare il proprio potere doveva limitare i fronti di contrapposizione.
Il “forestiero” Cofferati, invece,
cominciò a far saltare i delicati equilibri cittadini e non solo nel rapporto
con i collettivi. Iniziò la crociata (più mediatica che concreta) contro i
lavavetri, inventandosi l’ombra del racket che fu smentita dalla Procura; varò
il concetto di “accoglienza disincentivante”, tagliando a mani basse i servizi
di bassa soglia e trasformando la lotta alla povertà in lotta ai poveri; fece
rombare le ruspe (vi ricorda qualcosa?) per sgomberare gli accampamenti di
fortuna sul lungoreno; estese e difese le ordinanze antibivacco della precedente
Amministrazione. E questi sono solo alcuni esempi di una retorica legalitaria
che gli è valsa la definizione di “sindaco sceriffo”.
A seguire abbiamo avuto l’infelice
parentesi di Flavio Delbono e il commissariamento di Annamaria Cancellieri.
Fino a Merola.
È interessante analizzare l’operato dell’attuale primo cittadino al secondo mandato, perché è possibile cogliere dei cambi di rotta in rapporto alla situazione politica e sociale nazionale, in particolare per ciò che concerne il cambio nella dirigenza del Partito Democratico.
Inizialmente Merola si è contraddistinto per un’azione politica blanda, inserendosi nella scia di una città benestante, dove la sua poca capacità di gestire tensioni e situazioni critiche era mascherata dalle poche occasioni in cui queste sono emerse.
È interessante analizzare l’operato dell’attuale primo cittadino al secondo mandato, perché è possibile cogliere dei cambi di rotta in rapporto alla situazione politica e sociale nazionale, in particolare per ciò che concerne il cambio nella dirigenza del Partito Democratico.
Inizialmente Merola si è contraddistinto per un’azione politica blanda, inserendosi nella scia di una città benestante, dove la sua poca capacità di gestire tensioni e situazioni critiche era mascherata dalle poche occasioni in cui queste sono emerse.
Il primo strappo è arrivato col
referendum sui finanziamenti alle scuole private, che ha avuto il merito di
mettere in luce i meccanismi con cui, da Walter Vitali in poi, la città
riusciva a mantenere un equilibrio. Questi meccanismi riguardano la spartizione
dei poteri e dei settori attraverso il concetto della sussidiarietà
monetizzata. Il mondo cattolico era ricompensato dai lauti finanziamenti alle
sue scuole private e dalla libertà di azione in alcuni settori
socio-assistenziali e sanitari. La restante fetta dell’economia andava
all’universo di Legacoop.
La crisi economica e sociale, però, ha
iniziato a sfaldare il benessere cittadino. È scoppiata l’emergenza abitativa,
la disoccupazione e altre tensioni che non hanno consentito all’Amministrazione
Merola di tirare a campare.
Il sindaco era totalmente impreparato a fronteggiare la situazione e, come si è rivelato, completamente incapace di farlo. Di qui la schizofrenia manifestata, ad esempio, sul tema delle occupazioni. Da un lato Merola ha cercato di mostrare un lato umano, ad esempio disponendo il riallaccio dell’acqua a due occupazioni abitative, dall’altro però, incalzato dalla Questura e dagli ordini arrivati dal governo Renzi (quello del Piano Casa) e dal ministro Alfano, ha dovuto cedere ad un cambio di linea a cui, in un primo momento, ha provato a resistere.
Il sindaco era totalmente impreparato a fronteggiare la situazione e, come si è rivelato, completamente incapace di farlo. Di qui la schizofrenia manifestata, ad esempio, sul tema delle occupazioni. Da un lato Merola ha cercato di mostrare un lato umano, ad esempio disponendo il riallaccio dell’acqua a due occupazioni abitative, dall’altro però, incalzato dalla Questura e dagli ordini arrivati dal governo Renzi (quello del Piano Casa) e dal ministro Alfano, ha dovuto cedere ad un cambio di linea a cui, in un primo momento, ha provato a resistere.
Parallelamente, però, Merola ha puntato
su un’idea di città da cartolina. I progetti di riqualificazione e
rigenerazione urbana, la spinta sul turismo, il progetto di Fico e l’insistenza
sul brand del “food” sono apparsi come un tentativo di cambiare la narrazione
di una città che, forse per la prima volta dal dopoguerra, iniziava a soffrire.
Non essendo in grado di risolvere la questione sociale e il venir meno della prosperità e opulenza proverbiale di Bologna, il sindaco ha tentato di rimuoverla dal discorso pubblico e dalla città, cercando di confinarla e spingerla fuori dai luoghi caldi. Ciò, però, non ha fatto altro che inasprire le tensioni.
Non essendo in grado di risolvere la questione sociale e il venir meno della prosperità e opulenza proverbiale di Bologna, il sindaco ha tentato di rimuoverla dal discorso pubblico e dalla città, cercando di confinarla e spingerla fuori dai luoghi caldi. Ciò, però, non ha fatto altro che inasprire le tensioni.
Il cambio totale di atteggiamento è
arrivato sul caso di Atlantide. Inizialmente il primo cittadino ha mostrato
disinteresse per la questione, ma in un secondo momento è stato indotto ad
intervenire e lo ha fatto nella peggiore tradizione della destra. Ha
imbracciato una retorica legalitaria che faceva acqua da tutte le parti e ha
fatto sgomberare uno spazio senza alcuna ragione concreta, senza motivi che non
potessero essere risolti con una risposta politica.
Dallo scorso giugno, quando è stato confermato sindaco dopo il ballottaggio con la leghista Lucia Borgonzoni, i già flebili toni sull’importanza della coesione sociale sono spariti per fare spazio ad altre priorità: cemento, commercio, traffico e rimozione di tutti gli stili di vita e di fare politica non normalizzabili.
Dallo scorso giugno, quando è stato confermato sindaco dopo il ballottaggio con la leghista Lucia Borgonzoni, i già flebili toni sull’importanza della coesione sociale sono spariti per fare spazio ad altre priorità: cemento, commercio, traffico e rimozione di tutti gli stili di vita e di fare politica non normalizzabili.
La linea imposta a Merola sembra la
stessa adottata dal rettore Francesco Ubertini nel microcosmo bolognese
dell’Università. Presentatosi con un volto più dialogante rispetto a quello del
suo predecessore, Ivano Dionigi, alla prova dei fatti (e in poco tempo) ha
dimostrato di avere un’idea autoritaria nella gestione del dissenso
studentesco. Prima la questione della mensa universitaria, con la risposta dura
della celere contro gli studenti del Cua che rivendicavano prezzi più bassi per
il servizio, poi la questione dei tornelli, culminata nei fatti di ieri.
Le azioni del Cua non sono sempre
condivisibili nei modi. Lo testimoniano, ad esempio, i commenti di altri
studenti dell’Università sulla pagina Facebook dello stesso collettivo.
Particolarmente interessante è il messaggio lasciato da una studentessa dopo quanto accaduto ieri:
Particolarmente interessante è il messaggio lasciato da una studentessa dopo quanto accaduto ieri:
§ Quello che è successo
oggi è gravissimo e gran parte della responsabilità è vostra. Due premesse
doverose. Uno. Inviare la celere e caricare all’interno di una biblioteca
universitaria è un atto vergognoso. Perché è un atto che mira a punire, a dare
una lezione, a creare disagio e spavento piuttosto che un atto di ordine
pubblico. E soprattutto non era indispensabile, anzi era pericoloso considerate
le dimensioni del 36, la scarsa possibilità di fuga, la grande affluenza di
studenti, il panico che poteva generarsi. Chi ha mandato la celere non ha preso
in considerazione le conseguenze possibili e ha mancato di rispetto chi non
c’entra niente. Due. Mi dispiace se qualcuno si è ferito. Detto ciò, non sono
per niente d’accordo con quello che state facendo. A mio avviso la vostra non è
lotta, è una corrida tra voi e i poliziotti e voi siete il torero. Perché vi
piace provocare il toro, vi piace lo scontro e se venite incornati passate per
gli eroi e il toro per la bestia. Sia chiaro. A me la celere non piace,
soprattutto dentro la mia università. Ma neanche il vostro atteggiamento. Vi
fate portavoce degli studenti, ma avete pochissimo seguito. Perché non badate
davvero alle necessità degli studenti, siete solo alla ricerca di cause,
rivendicazioni, motivi di protesta solo per ribadire la vostra esistenza, dare
una giustificazione al vostro essere “antagonisti”. Non vi dirò mai di stare
zitti, di fare quello o di fare questo perché non fa parte del mio modo di
essere. Però vi consiglio di riflettere sulle vostre priorità, le vostre cause
e le vostre responsabilità. E soprattutto sul vostro ruolo. E da studentessa a
studenti vi chiedo, cosa siamo davvero chiamati a fare oggi in Italia (e nel
mondo) in quanto studenti? Qual è il nostro ruolo, la nostra missione?
La studentessa di Lettere fa una
fotografia interessante delle modalità dell’agire politico dell’area
dell’autonomia.
Quello che si può aggiungere, però, è che il Cua ha indubbiamente un merito con le proprie, talvolta discutibili, azioni: quello di sottolineare l’incapacità o la non volontà politica dell’Amministrazione universitaria di risolvere i problemi reali attraverso modalità concertative.
Alla radicalità delle azioni dei collettivi viene spesso contrapposto il prerequisito della democraticità. “Non dialoghiamo con i violenti”, viene detto.
Quello che si può aggiungere, però, è che il Cua ha indubbiamente un merito con le proprie, talvolta discutibili, azioni: quello di sottolineare l’incapacità o la non volontà politica dell’Amministrazione universitaria di risolvere i problemi reali attraverso modalità concertative.
Alla radicalità delle azioni dei collettivi viene spesso contrapposto il prerequisito della democraticità. “Non dialoghiamo con i violenti”, viene detto.
Sarebbe interessante definire il
concetto di violenza, in un contesto in cui la violenza è praticata a livello istituzionale,
in barba allo stato di diritto. La questione più lampante è quella dei
migranti, dei muri europei, delle convenzioni internazionali che diventano
carta straccia quando l’interesse della nazione non coincide con il diritto
alla vita e ad un’esistenza degna.
Oppure la questione del diritto alla casa, contrapposta alla speculazione privata (e qui gli studenti c’entrano visto il tema degli affitti), nonostante la Costituzione (salvata il 4 dicembre) dica chiaramente che “l’iniziativa privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana”.
Oppure la questione del diritto alla casa, contrapposta alla speculazione privata (e qui gli studenti c’entrano visto il tema degli affitti), nonostante la Costituzione (salvata il 4 dicembre) dica chiaramente che “l’iniziativa privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana”.
Tornando a temi più propriamente
studenteschi, non è forse una forma elitaria di violenza quella praticata col
numero chiuso, la scarsità delle borse di studio, i costi delle rette alle
stelle, la scarsità di studentati economici, i costi significativi per i
servizi connessi?
Ciò che sembra guidare tanto l’Amministrazione universitaria che quella comunale è un’idea di città che non corrisponde alla fotografia reale. Una città e un’università pensate per studenti e cittadini di famiglia buona e facoltosa, che tagliano fuori la diversità, l’alterità, la difficoltà economica e gli stili di vita non conformi ed omologati.
Ciò che sembra guidare tanto l’Amministrazione universitaria che quella comunale è un’idea di città che non corrisponde alla fotografia reale. Una città e un’università pensate per studenti e cittadini di famiglia buona e facoltosa, che tagliano fuori la diversità, l’alterità, la difficoltà economica e gli stili di vita non conformi ed omologati.
La questione dei tornelli, infine, è
l’ennesimo paradigma. Stando al nobile intento dichiarato, quello di limitare i
problemi che numerosi insistono sulla zona universitaria, si pratica una
scorciatoia: l’accesso controllato e limitato. Come se impedire che nelle aule
universitarie accedano senza tetto, tossicodipendenti o spacciatori risolvesse
il problema invece di spostarlo di appena pochi metri al di fuori.
Quando qualcuno, in modo radicale, sottolinea questa ipocrisia, la risposta del potere è sempre la stessa: i manganelli.
Quando qualcuno, in modo radicale, sottolinea questa ipocrisia, la risposta del potere è sempre la stessa: i manganelli.
A meno che – ipotesi a questo punto non
remota – non si decida di risolvere la questione sociale a suon di botte ed
arresti, rimuovendo fisicamente il dissenso e la diversità, ciò che ci aspetta
sarà un’ulteriore involuzione cittadina. Il sindaco nega paralleli col ’77,
perché non ammette di essere passato dall’altra parte della barricata, ma il
tema non è quello dei raffronti storici.
A Bologna il tappo è saltato e qualora non vi sia un radicale cambio della classe dirigente alla guida della città, gli scenari che si prefigurano sono piuttosto foschi.”
A Bologna il tappo è saltato e qualora non vi sia un radicale cambio della classe dirigente alla guida della città, gli scenari che si prefigurano sono piuttosto foschi.”
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