domenica 26 febbraio 2017

Considerazioni ispirate alla scoperta dei sette pianeti di Trappist-1 - Mauro Antonio Miglieruolo


“Potrebbero essercene altri” dicono alla Nasa. A noi, per sognare bastano i sette appena scoperti.

 Trappist-1, sole noto anche con la sigla “2MASS J23062928-0502285”.  Stella nana rossa ultrafredda di classe spettrale M8, dieci volte più piccolo del sole, distante 39,5 anni luce dal sistema solare, localizzato nella costellazione dell’Acquario.
“Potrebbero essercene altri” dicono alla NASA.
A noi, per sognare, ma anche per attualizzare e condensare speranze, bastano i sette appena scoperti. Di cui ben tre sicuramente forniti d’acqua.

La distanza, sottolinea qualcuno, forse per spegnere facili entusiasmi, è notevole, eccessiva per le nostre possibilità: 39 anni luce. Utilizzando non quelli di oggi, ma vettori anche cento volte più veloci, occorrerebbero diecimila anni circa per arrivarci. Una obiezione fondata che nasconde il dubbio – a parte la meraviglia e lo stupore di ognuno – che non si sappia proprio cosa farsene di una scoperta simile. Quale utilità comporta, di là dallo stupore, sapere dell’esistenza di tali pianeti inaccessibili?
Se questo è il tema e per qualcuno lo è, lo si può far subito contento ammettendo che spazi concreti per ottenere vantaggi materiali non è dato trovare (nemmeno importa; certamente a me non importa). Di concreto non c’è che la possibilità, basandosi sulle nuove conoscenze astronomiche, di allargarle ulteriormente. Scoprendo nuovi pianeti, aggiungendo segni concreti di vita extraterrestre, avviando finalmente un dibattito serio sull’ormai decennale questione degli incontri ravvicinati di vario tipo. Più serio e proficuo mi sembra invece lavorare per trarre dall’episodio, come tenterò di fare adesso, gli insegnamenti che sempre è possibile ricavare da ogni esperienza umana. A partire dalle esperienze del suo conflittuale rapporto con la natura.
Vediamoli allora da vicino questi insegnamenti. Il primo e più importante (vantaggio etico evolutivo) è il suggerimento, quasi una necessità, di allargare gli  attuali atteggiamenti sulla realtà e sulle responsabilità rispetto al mondo che ci ospita. Viviamo in un Universo la cui vocazione fondamentale è produrre vita, riempirsi di vita. Vita e probabilmente anche intelligenza. L’incalcolabile numero di pianeti abitabili, che darà luogo a un enorme numero di pianeti abitati, rende statisticamente certo che vi sarà anche una gran copia di intelligenza. Quindici miliardi di anni (o dodici?) ha l’universo; impensabile spessore di tempo, non a misura d’uomo… la vita dunque ha avuto tutto il tempo per compiere la propria missione (quella che considero essere lo scopo della vita): produrre autocoscienza. Produrre l’occhio con il quale l’Universo osserva e conosce se stesso.
In questo Universo, un Universo sempre più sorprendente, possiamo mantenerci ed essere protagonisti a condizione di rispettare e sostenere la vita. Tutta la vita, e per primo la vita intelligente. Per favorire ed essere parte di quello sguardo che se è conoscenza del mondo, è anche conoscenza di noi stessi. Per arrivare a munirci di spiegazioni più credibili intorno al tema dei temi sul perché siamo qui e quali le strade per realizzarci; cioè essere essendo in armonia con ciò che ci circonda. Se non lo faremo, se non stabiliremo quantomeno un armistizio con la natura, questo universo ci espellerà da sé, nello stesso modo con cui un corpo espelle le forze ostili che lo aggrediscono. Possiamo scegliere, essere la malattia che produce la febbre, o essere gli anticorpi che salvano chi li ospita.
Rispetto della vita! Sembra paradossale dirlo. Riferito a un Noi… che sta uccidendo la Terra! Noi, che non abbiamo ancora imparato a dialogare con il diverso da noi; che non accettiamo le piccole diversità di coloro che abitano dietro l’angolo, al massimo alla distanza di un continente (e qui siamo di fronte a una sfida di anni luce!); diverso solo perché veste, pratica una religione, una lingua differente. Come faremo allora con qualcuno la cui diversità è smisurata? qualcuno da cui siamo separati da un abisso di spaziotempo? che è frutto di una evoluzione che non ha alcun punto di contatto con la nostra? Sono questi i problemi con i quali dovremo confrontarci, da subito, a partire dall’incontro con il vicino “antipatico” che bussa alla nostra porta, il nero, il siriano, il latino (il rumeno!), lo zingaro che tende la mano e prima ancora di ricevere l’elemosina; e che si aspetta di stringere la nostra, ricevendo nello stesso tempo una parola di simpatia o di fraterna accettazione.  Nell’universo che si apre ai nostri desideri,  ai sogni e alle nostre esigenze, ogni chiusura costituisce un limite intollerabile. Niente di buono ne può conseguire.
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Ma perché dico di tanti mondi e delle tante possibilità? Non migliaia, miliardi di mondi (miliardi probabilmente nella sola nostra galassia: e le galassie pullulano in cielo. Galassie come granelli di sabbia!). Che siano tanti lo suggerisce la storia stessa che, partendo dal globo infuocato primordiale che è stata la Terra, ci ha portato fino a noi. Per anni ci si è baloccati sull’improbabilità dell’insorgere della vita su tale insignificante palla di aria e fango. Per decenni ci su è attardati a considerare che cinque miliardi di anni non erano sufficienti, dal punto di vista probabilistico, a mettere in moto il processo di costruzione della vita. Ergo, o la vita era frutto di un incidente pressoché irripetibile, oppure doveva esserci stato un intervento divino. In ambedue i casi molti dubbi potevano essere avanzati sull’esistenza di altri mondi, altre Terre (ipotesi questa che a qualcuno è costato la vita. Vedi Giordano Bruno). Poi la scoperta nelle più antiche rocce del pianeta, quattro miliardi di anni fa, cioè praticamente subito dopo che la superficie si è raffreddata, di microscopiche testimonianze di forma di vita elementari. La scoperta che sarebbe stata l’azione di questi minuscoli esseri a iniziare la creazione dell’atmosfera che possiamo respirare. Ma questi esseri non potevano essersi formati sulla terra, non c’era stato tempo perché le complesse molecole necessarie, brodo primordiale (e lampi) o non brodo primordiale, avessero messo in moto i processi necessari.
Infatti venivano dallo spazio. Portati da quelle stesse meteoriti (sulle quali sono stati individuati) che conducevano con sé gli altri elementi essenziali allo sviluppo della vita: gas (atmosfera) e acqua. Gli oceani non sono che il frutto di un immane bombardamento di meteoriti composti prevalentemente di ghiaccio, una bombardamento durato decine di milioni di anni.Un paradosso: l’irruzione di elementi estranei, per quanto sotto forme catastrofiche, determina positivamente l’avvenire del Mondo. Offre a noi la possibilità di essere. Nonché di prosperare. Possibilità che non fosse per il dispotismo del Capitale sarebbe compiutamente realizzata.
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È dallo spazio “vanvogtiano” (senza fine e senza principio) allora – lo spazio vuoto di tanti romanzi di fantascienza che la fisica quantistica suggerisce invece essere pieno di energia – che vengono gli elementi (acqua, aria, microrganismo) che hanno trasformato il mondo per come lo conosciamo. Uno spazio in cui gli elementi che entrano a far parte della formula dell’acqua (Idrogeno e Ossigeno) sono tra i più diffusi nell’Universo. Sono presenti come elementi da combinare e come elementi combinati. Cioè già come acqua. È recente la stata scoperta attorno a un quasar (non chiedetemi cosa sia, ve ne prego) collocato a circa dodici miliardi di anni luce, di un immenso serbatoio, sotto forma di vapore acqueo, pari a oltre 140mila miliardi di volte quella presente sul nostro pianeta. Perché non dovremmo credere, avuta la prova dell’esistenza di pianeti di tipo terrestre che le medesime circostanze che hanno favorito l’insorgere della vita nel Sistema Solare, precipitare di meteoriti ricchi di gas, acqua, microrganismi, abbiano dato luogo a innumerevoli storie biologiche analoghe? Personalmente mi piace credere che l’Universo non sia altro che un gigantesco germinatoio di esistenze, un laboratorio dove queste ultime vengono messe alla prova. Dove viene data l’occasione alle creature di manifestarsi, di evolvere e acquisire consapevolezza. Milioni e miliardi di singole collettive consapevolezze. L’unione di tutte queste (apparentemente) separate coscienze, raggiunto un determinato punto critico, accenderà una luce che costituirà l’autocoscienza Cosmica, il Dio di cui tanto blateriamo (il mezzo con il quale la materia approderà alla piena consapevolezza di sé). Ognuno una particella di questo Dio. Ognuno pertanto Dio.
Ma bando alle speculazioni (bando cioè alla fantascienza). Resta lo straordinario della scoperta. Resta il “non ce ne cale” di tanti che, in fondo, se ne fregano dell’eventuale esistenza o inesistenza di ben più ampie porzioni di ciò che considerano possibile. Se ne fregano dell’umanità e dell’umanesimo, della pietà, della pace e della concordia. Insieme ad altri che, al massimo, ammirano attratti esclusivamente dall’eccezionalità dell’evento. Nello stesso modo in cui meraviglierebbero all’interno di un baraccone da fiera. Mentre qui conta invece vedere, riflettere; conta considerare il valore della prospettiva di un contatto interspecie che di per sé indirizza il pensiero, che lo spinge ad allontanarsi da quello selvaggio, il pensiero che vede nell’altro solo lo straniero, il barbaro, l’aggressore, il ladro (sguardo atroce: l’uomo essendo assente). Resta l’eccezionalità di entrare in una didattica che pone il problema di gettare un ponte non più tra continenti, ma tra le stelle.
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Le possibilità odierne di realizzare questo ponte sembrano minime. Come superare quei 39 apparentemente insuperabili anni luce? Come superarli anzitutto nelle coscienze? Far loro intendere che ciò che vediamo come limiti oggettivi, sono limiti di un’epoca, di un momento storico. Spesso solo limiti ideologici. In coscienze nelle quali produce ancora scandalo e rifiuto uno dei primi contributi, fornito da Marx con il concetto di “caduta tendenziale del saggio di profitto”, alla rottura della gabbie intellettuali che hanno ostacolato la formulazione della nuova meccanica quantistica; e si ostinano tutt’ora in pieno XXI secolo (specialmente i chierici della chiesa Economia, schierati tutti a difesa della classe dominante) a ragionare in termini deterministici?
Non lo si può ottenere certo con una mera attività didattico-illuministica, che pure non bisogna trascurare; perché un mutamento dl genere è ottenibile attraverso la trasformazione delle condizioni sociali che soffocano il dispiegarsi di tali esigenze. Attraverso un cambiamento che ponga l’oggettiva svalutazione del dato egoistico e dell’aggressività; e siano la cooperazione, la generosità e il rispetto a essere incoraggiati. Infinite possibilità si aprono a coloro che credono bene, vedono positivo, pensano costruttivamente. L’impossibile di oggi può diventare rapidamente il banale scontato di domani.
Per altri versi la fisica quantistica ce lo insegna. È vano parlare di cause che precedono gli effetti. Cause ed effetti procedono congiuntamente, avvolti negli ancora misteriosi concetti della nuova scienza, nei quali è difficile destreggiarsi. Dice ad esempio Fritjof Capra (“Il Tao della Fisica”): L’universo appare come una rete dinamica di configurazioni non separabili. Io appaio separato dall’altro, dall’abitante di un sole lontano ad esempio, ma lo sono effettivamente? Ci dice ancora la Meccanica Quantistica che esistono correlazioni istantanee non-locali tra particelle subatomiche, qualunque sia la distanza che le separa (correlazioni che superano i limiti relativistici).
Correlazioni che superano i limiti relativistici!? La domanda vera allora è: quando sarà che questi limiti relativistici saranno superati dalla tecnologia?
Oggi non possiamo, ma domani chissà. Una stretta di mano o una stretta di chele può entrare nell’ambito delle azioni possibili. Perché impossibile è solo ciò che è già avvenuto e perciò non può più far parte dell’avvenire. Il resto è nel ragionevole probabile che la logica scientifica lascia trasparire. E nella volontà dell’essere che a quella logica attinge (con la sua propria logica, e speriamo non sia quella giusta).
APPENDICE:
Trappist-1: che cos’è una nana rossa ultrafredda? Che cosa è Trappist-1? Un astro di classe M che ha circa un decimo della massa del Sole e un millesimo della sua brillantezza. La sua massa ridotta rende possibile ai suoi pianeti di orbitargli molto vicini, pur rimanendo nella fascia di abitabilità. Si tratta del tipo più diffuso nella nostra galassia, dove il numero di nane rosse ultrafredde supera quello di stelle simili al Sole in un rapporto di 12:1. In passato, questi astri sono stati snobbati dai cacciatori di esopianeti, in favore di stelle più grandi e brillanti. Trappist-1 è la prima a essere stata sottoposta a osservazioni prolungate e approfondite.
 I pianeti: Trappist-1 b, c, d, e, f, g, h (dal più vicino al più lontano), sono  pianeti rocciosi con raggio e massa simili a quelle terrestri. Si sono formati forse 500 milioni di anni fa insieme alla loro stella (sono quindi ancora giovani) e hanno orbite circolari che procedono tutti nella medesima direzione. Mostrano tutti o quasi la stessa faccia al loro astro e hanno una densità che va dal 60% al 117% di quella terrestre.
NOTA: Attenzione. Se fosse confermato che esibiscono quasi tutti (un “quasi” incoraggiante) la stessa faccia al sole, tipo Luna nei confronti della Terra, per parlare di possibilità della vita sarebbe allora necessario ricorrere a speculazioni di tipo apertamente fantascientifico.

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