“Potrebbero essercene altri” dicono alla
Nasa. A noi, per sognare bastano i sette appena scoperti.
Trappist-1,
sole noto anche con la sigla “2MASS J23062928-0502285”. Stella nana rossa
ultrafredda di classe spettrale M8, dieci volte più piccolo del sole, distante
39,5 anni luce dal sistema solare, localizzato nella costellazione
dell’Acquario.
“Potrebbero
essercene altri” dicono alla NASA.
A noi, per
sognare, ma anche per attualizzare e condensare speranze, bastano i sette
appena scoperti. Di cui ben tre sicuramente forniti d’acqua.
La distanza,
sottolinea qualcuno, forse per spegnere facili entusiasmi, è notevole,
eccessiva per le nostre possibilità: 39 anni luce. Utilizzando non quelli di
oggi, ma vettori anche cento volte più veloci, occorrerebbero diecimila anni
circa per arrivarci. Una obiezione fondata che nasconde il dubbio – a parte la
meraviglia e lo stupore di ognuno – che non si sappia proprio cosa farsene di
una scoperta simile. Quale utilità comporta, di là dallo stupore, sapere
dell’esistenza di tali pianeti inaccessibili?
Se questo è il
tema e per qualcuno lo è, lo si può far subito contento ammettendo che spazi
concreti per ottenere vantaggi materiali non è dato trovare (nemmeno importa;
certamente a me non importa). Di concreto non c’è che la possibilità, basandosi
sulle nuove conoscenze astronomiche, di allargarle ulteriormente. Scoprendo
nuovi pianeti, aggiungendo segni concreti di vita extraterrestre, avviando
finalmente un dibattito serio sull’ormai decennale questione degli incontri
ravvicinati di vario tipo. Più serio e proficuo mi sembra invece lavorare per
trarre dall’episodio, come tenterò di fare adesso, gli insegnamenti che sempre
è possibile ricavare da ogni esperienza umana. A partire dalle esperienze del
suo conflittuale rapporto con la natura.
Vediamoli allora
da vicino questi insegnamenti. Il primo e più importante (vantaggio etico
evolutivo) è il suggerimento, quasi una necessità, di allargare gli
attuali atteggiamenti sulla realtà e sulle responsabilità rispetto al mondo che
ci ospita. Viviamo in un Universo la cui vocazione fondamentale è produrre
vita, riempirsi di vita. Vita e probabilmente anche intelligenza. L’incalcolabile
numero di pianeti abitabili, che darà luogo a un enorme numero di pianeti
abitati, rende statisticamente certo che vi sarà anche una gran copia di
intelligenza. Quindici miliardi di anni (o dodici?) ha l’universo; impensabile
spessore di tempo, non a misura d’uomo… la vita dunque ha avuto tutto il tempo
per compiere la propria missione (quella che considero essere lo scopo della
vita): produrre autocoscienza. Produrre l’occhio con il quale l’Universo
osserva e conosce se stesso.
In questo
Universo, un Universo sempre più sorprendente, possiamo mantenerci ed essere
protagonisti a condizione di rispettare e sostenere la vita. Tutta la vita, e
per primo la vita intelligente. Per favorire ed essere parte di quello sguardo
che se è conoscenza del mondo, è anche conoscenza di noi stessi. Per arrivare a
munirci di spiegazioni più credibili intorno al tema dei temi sul perché siamo
qui e quali le strade per realizzarci; cioè essere essendo in armonia con ciò
che ci circonda. Se non lo faremo, se non stabiliremo quantomeno un armistizio
con la natura, questo universo ci espellerà da sé, nello stesso modo con cui un
corpo espelle le forze ostili che lo aggrediscono. Possiamo scegliere, essere
la malattia che produce la febbre, o essere gli anticorpi che salvano chi li ospita.
Rispetto della
vita! Sembra paradossale dirlo. Riferito a un Noi… che sta uccidendo la Terra!
Noi, che non abbiamo ancora imparato a dialogare con il diverso da noi; che non
accettiamo le piccole diversità di coloro che abitano dietro l’angolo, al
massimo alla distanza di un continente (e qui siamo di fronte a una sfida di
anni luce!); diverso solo perché veste, pratica una religione, una lingua
differente. Come faremo allora con qualcuno la cui diversità è smisurata?
qualcuno da cui siamo separati da un abisso di spaziotempo? che è frutto di una
evoluzione che non ha alcun punto di contatto con la nostra? Sono questi i
problemi con i quali dovremo confrontarci, da subito, a partire dall’incontro
con il vicino “antipatico” che bussa alla nostra porta, il nero, il siriano, il
latino (il rumeno!), lo zingaro che tende la mano e prima ancora di ricevere
l’elemosina; e che si aspetta di stringere la nostra, ricevendo nello stesso
tempo una parola di simpatia o di fraterna accettazione. Nell’universo
che si apre ai nostri desideri, ai sogni e alle nostre esigenze, ogni
chiusura costituisce un limite intollerabile. Niente di buono ne può
conseguire.
2
Ma perché dico
di tanti mondi e delle tante possibilità? Non migliaia, miliardi di mondi
(miliardi probabilmente nella sola nostra galassia: e le galassie pullulano in
cielo. Galassie come granelli di sabbia!). Che siano tanti lo
suggerisce la storia stessa che, partendo dal globo infuocato primordiale che è
stata la Terra, ci ha portato fino a noi. Per anni ci si è baloccati
sull’improbabilità dell’insorgere della vita su tale insignificante palla di
aria e fango. Per decenni ci su è attardati a considerare che cinque miliardi
di anni non erano sufficienti, dal punto di vista probabilistico, a mettere in
moto il processo di costruzione della vita. Ergo, o la vita era frutto di un
incidente pressoché irripetibile, oppure doveva esserci stato un intervento
divino. In ambedue i casi molti dubbi potevano essere avanzati sull’esistenza
di altri mondi, altre Terre (ipotesi questa che a qualcuno è costato la vita.
Vedi Giordano Bruno). Poi la scoperta nelle più antiche rocce del pianeta,
quattro miliardi di anni fa, cioè praticamente subito dopo che la superficie si
è raffreddata, di microscopiche testimonianze di forma di vita elementari. La
scoperta che sarebbe stata l’azione di questi minuscoli esseri a iniziare la
creazione dell’atmosfera che possiamo respirare. Ma questi esseri non potevano
essersi formati sulla terra, non c’era stato tempo perché le complesse molecole
necessarie, brodo primordiale (e lampi) o non brodo primordiale, avessero messo
in moto i processi necessari.
Infatti venivano
dallo spazio. Portati da quelle stesse meteoriti (sulle quali sono stati
individuati) che conducevano con sé gli altri elementi essenziali allo sviluppo
della vita: gas (atmosfera) e acqua. Gli oceani non sono che il frutto di un
immane bombardamento di meteoriti composti prevalentemente di ghiaccio, una
bombardamento durato decine di milioni di anni.Un paradosso: l’irruzione di
elementi estranei, per quanto sotto forme catastrofiche, determina
positivamente l’avvenire del Mondo. Offre a noi la possibilità di essere.
Nonché di prosperare. Possibilità che non fosse per il dispotismo del Capitale
sarebbe compiutamente realizzata.
3
È dallo spazio
“vanvogtiano” (senza fine e senza principio) allora – lo spazio vuoto di tanti
romanzi di fantascienza che la fisica quantistica suggerisce invece essere
pieno di energia – che vengono gli elementi (acqua, aria, microrganismo) che
hanno trasformato il mondo per come lo conosciamo. Uno spazio in cui gli
elementi che entrano a far parte della formula dell’acqua (Idrogeno e Ossigeno)
sono tra i più diffusi nell’Universo. Sono presenti come elementi da combinare
e come elementi combinati. Cioè già come acqua. È recente la stata scoperta
attorno a un quasar (non chiedetemi cosa sia, ve ne prego) collocato a circa
dodici miliardi di anni luce, di un immenso serbatoio, sotto forma di vapore
acqueo, pari a oltre 140mila miliardi di volte quella presente sul nostro
pianeta. Perché non dovremmo credere, avuta la prova dell’esistenza di pianeti
di tipo terrestre che le medesime circostanze che hanno favorito l’insorgere
della vita nel Sistema Solare, precipitare di meteoriti ricchi di gas, acqua,
microrganismi, abbiano dato luogo a innumerevoli storie biologiche analoghe?
Personalmente mi piace credere che l’Universo non sia altro che un gigantesco
germinatoio di esistenze, un laboratorio dove queste ultime vengono messe alla
prova. Dove viene data l’occasione alle creature di manifestarsi, di evolvere e
acquisire consapevolezza. Milioni e miliardi di singole collettive
consapevolezze. L’unione di tutte queste (apparentemente) separate coscienze,
raggiunto un determinato punto critico, accenderà una luce che costituirà
l’autocoscienza Cosmica, il Dio di cui tanto blateriamo (il mezzo con il quale
la materia approderà alla piena consapevolezza di sé). Ognuno una particella di
questo Dio. Ognuno pertanto Dio.
Ma bando alle
speculazioni (bando cioè alla fantascienza). Resta lo straordinario della
scoperta. Resta il “non ce ne cale” di tanti che, in fondo, se ne fregano
dell’eventuale esistenza o inesistenza di ben più ampie porzioni di ciò che
considerano possibile. Se ne fregano dell’umanità e dell’umanesimo, della
pietà, della pace e della concordia. Insieme ad altri che, al massimo, ammirano
attratti esclusivamente dall’eccezionalità dell’evento. Nello stesso modo in
cui meraviglierebbero all’interno di un baraccone da fiera. Mentre qui conta
invece vedere, riflettere; conta considerare il valore della prospettiva di un
contatto interspecie che di per sé indirizza il pensiero, che lo spinge ad
allontanarsi da quello selvaggio, il pensiero che vede nell’altro solo lo
straniero, il barbaro, l’aggressore, il ladro (sguardo atroce: l’uomo essendo
assente). Resta l’eccezionalità di entrare in una didattica che pone il
problema di gettare un ponte non più tra continenti, ma tra le stelle.
4
Le possibilità
odierne di realizzare questo ponte sembrano minime. Come superare quei 39
apparentemente insuperabili anni luce? Come superarli anzitutto nelle
coscienze? Far loro intendere che ciò che vediamo come limiti oggettivi, sono
limiti di un’epoca, di un momento storico. Spesso solo limiti ideologici. In
coscienze nelle quali produce ancora scandalo e rifiuto uno dei primi
contributi, fornito da Marx con il concetto di “caduta tendenziale del saggio
di profitto”, alla rottura della gabbie intellettuali che hanno ostacolato la
formulazione della nuova meccanica quantistica; e si ostinano tutt’ora in pieno
XXI secolo (specialmente i chierici della chiesa Economia, schierati tutti a
difesa della classe dominante) a ragionare in termini deterministici?
Non lo si può
ottenere certo con una mera attività didattico-illuministica, che pure non
bisogna trascurare; perché un mutamento dl genere è ottenibile attraverso la
trasformazione delle condizioni sociali che soffocano il dispiegarsi di tali
esigenze. Attraverso un cambiamento che ponga l’oggettiva svalutazione del dato
egoistico e dell’aggressività; e siano la cooperazione, la generosità e il
rispetto a essere incoraggiati. Infinite possibilità si aprono a coloro che
credono bene, vedono positivo, pensano costruttivamente. L’impossibile di oggi
può diventare rapidamente il banale scontato di domani.
Per altri versi
la fisica quantistica ce lo insegna. È vano parlare di cause che precedono gli
effetti. Cause ed effetti procedono congiuntamente, avvolti negli ancora
misteriosi concetti della nuova scienza, nei quali è difficile destreggiarsi.
Dice ad esempio Fritjof Capra (“Il Tao della Fisica”): L’universo
appare come una rete dinamica di configurazioni non separabili. Io
appaio separato dall’altro, dall’abitante di un sole lontano ad esempio, ma lo
sono effettivamente? Ci dice ancora la Meccanica Quantistica che esistono
correlazioni istantanee non-locali tra particelle subatomiche, qualunque sia la
distanza che le separa (correlazioni che superano i limiti relativistici).
Correlazioni che
superano i limiti relativistici!? La domanda vera allora è: quando sarà che
questi limiti relativistici saranno superati dalla tecnologia?
Oggi non
possiamo, ma domani chissà. Una stretta di mano o una stretta di chele può
entrare nell’ambito delle azioni possibili. Perché impossibile è solo ciò che è
già avvenuto e perciò non può più far parte dell’avvenire. Il resto è nel
ragionevole probabile che la logica scientifica lascia trasparire. E nella
volontà dell’essere che a quella logica attinge (con la sua propria logica, e
speriamo non sia quella giusta).
APPENDICE:
Trappist-1: che
cos’è una nana rossa ultrafredda? Che cosa è Trappist-1? Un astro di classe M
che ha circa un decimo della massa del Sole e un millesimo della sua
brillantezza. La sua massa ridotta rende possibile ai suoi pianeti di
orbitargli molto vicini, pur rimanendo nella fascia di abitabilità. Si tratta
del tipo più diffuso nella nostra galassia, dove il numero di nane rosse
ultrafredde supera quello di stelle simili al Sole in un rapporto di 12:1. In
passato, questi astri sono stati snobbati dai cacciatori di esopianeti, in
favore di stelle più grandi e brillanti. Trappist-1 è la prima a essere stata
sottoposta a osservazioni prolungate e approfondite.
I pianeti:
Trappist-1 b, c, d, e, f, g, h (dal più vicino al più lontano), sono
pianeti rocciosi con raggio e massa simili a quelle terrestri. Si sono formati
forse 500 milioni di anni fa insieme alla loro stella (sono quindi ancora
giovani) e hanno orbite circolari che procedono tutti nella medesima direzione.
Mostrano tutti o quasi la stessa faccia al loro astro e hanno una densità che
va dal 60% al 117% di quella terrestre.
NOTA:
Attenzione. Se fosse confermato che esibiscono quasi tutti (un “quasi”
incoraggiante) la stessa faccia al sole, tipo Luna nei confronti della Terra,
per parlare di possibilità della vita sarebbe allora necessario ricorrere a
speculazioni di tipo apertamente fantascientifico.
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