E se la rete
fosse una ragnatela in cui restano imbrigliate le nostre solitudini, i nostri
Io privati dei Tu che rendono significativa la nostra esistenza? È la
suggestione che ci offre Lamberto Maffei, già professore emerito di
Neurobiologia alla Normale di Pisa e attuale vicepresidente dell’Accademia dei
Lincei, autore, dopo l’Elogio della lentezza,
dell’Elogio della ribellione, edito da il Mulino.
È la solitudine a minacciare il nostro cervello
troppo connesso, che
rischia di perdere gli stimoli fisiologici dell’ambiente, del sole, della
realtà palpitante che ci circonda. La rete virtuale che ha soppiantato la rete
sociale. Dov’è l’uomo, ci sarebbe da chiedersi con Diogene, in questa epoca
dominata dalla tecnologia e dalle macchine. Cosa resta all’uomo per non
perdersi? Per Maffei la risposta è chiara: il cervello. Quel dono straordinario
e speciale che tutti noi abbiamo ricevuto dall’evoluzione, un grande cervello
che può pensare, parlare, ascoltare. Perché, dunque, non usarlo?
La grande ribellione oggi consiste nell’uso tenace
delle facoltà del nostro cervello, nella possibilità che questo meraviglioso organo ci
serva per ragionare. Al suo Galileo, Bertol Brecht fa dire:
“Credo
nell’uomo e questo vuol dire che credo nella sua ragione! Senza questa
convinzione non avrei, al mattino, la forza di alzarmi dal letto”.
Di fronte
alle ingiustizie intollerabili del mondo che fanno coesistere zio Paperone
accanto ai miserabili nella generale indifferenza, occorre continuare a credere
che con il nostro cervello, capace di razionalità, potremmo cambiare il mondo in meglio, il
nostro stare su questa terra, dandogli un minimo di senso e di dignità.
Il sapere,
la scienza, scrive Maffei, fanno paura perché tendono ad essere veri. Per
questo la conoscenza e un cervello critico sono
fondamentali per la realizzazione di una società più giusta.
La
ribellione sociale non può e non deve essere espressione della parte emotiva
del cervello o del cervello rapido, più istintuale, che decide senza
considerare tutte le variabili della situazione. La
libertà come la ribellione devono essere la manifestazione del cervello lento,
della razionalità, del cervello del tempo e del linguaggio, del colloquio con
l’altro. Del cervello che si fa sociale, del cervello che necessita dell’incontro con l’altro, del
dialogo, dello scambio.
Conoscere sé
stessi e gli altri e i limiti della nostra libertà è la base di ogni etica. Io
sono io con la mia identità, il mio colore della pelle e la mia storia
personale, ma da solo non sono
nessuno. Come ci ricorda il filosofo Ricoeur, la nostra identità è narrativa, e questa
narrazione può nascere solo perché presuppone l’incontro con l’altro,
perché è scritta a più mani. È solo la reciprocità delle narrazioni a disegnare
l’identità di ciascuno, ma ciò porta con sé il sentirsi parte della realtà che
ci circonda.
Non siamo le
monadi solitarie nell’universo della rete, ma individui collettivi. L’altro
come noi in cui rispecchiarsi per vedersi, non individui soli, ma un’idea
rivoluzionaria, una rivolta pacifica fondata sulla comprensione e la
razionalità.
Un cervello
critico deve guardare al futuro in modo progettuale, ma prima di proporre
cambiamenti deve esplorare sé stesso guardandosi nello specchio dell’altro per
scoprirsi, per capirsi. Stendere la rete della conoscenza per mezzo del
colloquio con il prossimo, con il desiderio del sapere e di condividere i
pensieri, unire i propositi per formare un cervello collettivo che si muova in
rivolta.
Se l’obiettivo è quello di formare cittadini
critici, che non ascoltino passivamente gli ingannevoli messaggi dei mercati e
dei politici di carriera, che imparino che ubbidire può essere una forma di
pigrizia, quando non di vigliaccheria, lo stimolo adeguato è indubbiamente
l’educazione all’uso del proprio cervello.
Un’educazione che può realizzarsi prima di tutto
nella scuola. Una scuola che miri alla sapienza più che alla conoscenza, alla formazione più che alla
informazione.
L’unica arma
vera che ci resta è, dunque, il nostro cervello, ma un cervello che sia aperto,
ricordando un vecchio motto caro anche ad Einstein:
“Il
cervello è come un paracadute, funziona meglio quando è aperto”.
Nessun commento:
Posta un commento