Il Giorno del ricordo, il 10 febbraio, è stato istituito al fine di
“conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le
vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e
dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
In cosa consiste la “più complessa vicenda”? Il collettivo Nicoletta Bourbaki
ha chiesto a sette storici di rispondere alla domanda. Una pluralità di
sguardi, per oltrepassare le frontiere che hanno diviso e insanguinato la zona
di confine.
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Cosa
dimentichiamo nel Giorno del ricordo?, di Nicoletta Bourbaki
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Sul confine
orientale, la storia trasformata in olocausto, di Federico Tenca
Montini
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Il prequel del
Giorno del ricordo. La Venezia Giulia dalla prima alla seconda guerra mondiale,
di Piero Purini
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Persecuzioni,
crimini fascisti e resistenze nei Balcani e nella Venezia Giulia, 1920-1945,
di Anna Di Gianantonio, Carlo Spartaco Capogreco, Eric Gobetti, Nicoletta
Bourbaki
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Esodo e foibe.
Separare ciò che appare unito, di
Jože Pirjevec, Nicoletta Bourbaki, Sandi Volk
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Il viaggio
continua. Possibili percorsi di approfondimento, di Nicoletta
Bourbaki
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Cosa dimentichiamo nel Giorno del ricordo?
Dal 2005, ogni 10 febbraio, sui mezzi d’informazione italiani viene
raccontata una versione parziale e distorta di quel che accadde a Trieste, in
Istria e in tutta quanta la “Venezia Giulia” nella prima metà del ventesimo
secolo. La legge che nel 2004 ha istituito il “Giorno del ricordo” allude en passant alla “complessa vicenda del confine
orientale”, ma non vi è alcuna complessità nella vulgata che tale ricorrenza ha
fissato e cristallizzato. Una vulgata italocentrica, a dispetto della
multiculturalità di quelle regioni.
L’inquadratura, strettissima e al tempo stesso sgranata, si concentra sugli
episodi di violenza chiamati – per metonimia – “foibe” e sull‘“esodo”, ovvero
l’abbandono di Istria e Dalmazia, a cominciare dal 1945, da parte della
maggioranza della popolazione italofona di quelle regioni.
Nel discorso pubblico italiano, infatti, dagli anni novanta e seguendo una
precisa agenda politica, due argomenti diversi sono stati collegati in modo
sempre più stretto e frequente, fino a sovrapporsi. Il giorno del ricordo ha
dato a tale sovrapposizione il crisma dell’ufficialità, e oggi le foibe sono
presentate come causa immediata dell’esodo.
È un nodo che va districato con pazienza.
Quando si parla di foibe, sul confine orientale la storia sembra cominciare
a Trieste nell’aprile 1945. Retrocedendo, al massimo si arriva in Istria
all’indomani della caduta del fascismo, il 25 luglio 1943. A essere amputato
dalle ricostruzioni è soprattutto il continuo, violento spostamento a est del
confine orientale d’Italia, con conseguente “italianizzazione” forzata delle
popolazioni slavofone. Un processo cominciato con la prima guerra mondiale, portato
avanti con fanatismo dal regime fascista e culminato nel 1941 con l’invasione
italotedesca della Jugoslavia.
I crimini commessi dalle autorità italiane durante la guerra nei Balcani –
stragi, deportazioni, internamenti in campi sparsi anche per la nostra penisola
– sono un enorme non detto. La rimozione alimenta la falsa credenza negli
“italiani brava gente” e al contempo delegittima e diffama la resistenza nei
Balcani e lo stesso movimento partigiano italiano.
Il non detto pesa e condiziona tutte le ricostruzioni. Molti si
stupirebbero nell’apprendere che alla resistenza “jugoslava” presero parte
numerosi italiani: civili italofoni di quelle zone, ma anche disertori e
sbandati del regio esercito. Nei territori oggi indicati come Friuli-Venezia
Giulia, Repubblica di Slovenia e Repubblica di Croazia, l’opposizione armata al
nazifascismo fu multietnica, irriducibile a qualsiasi agiografia nazionale.
Se si scostano i pesanti drappeggi scenici di una propaganda che separa le
culture, descrive appartenenze nazionali certissime e indiscutibili, alimenta
le “passioni tristi” del rancore e del revanscismo, il “confine orientale” si
rivela – per citare il titolo di un importante libro dello storico Piero Purini
– un mondo di “metamorfosi etniche”, identità multiple e continui spostamenti
di popolazioni, dove i confini tra le identità sono instabili e indeterminati.
Anche la frontiera postbellica tra Italia e Jugoslavia, oggi descritta come un
solco invalicabile, in realtà rimase sempre porosa, permeabile, mutevole.
In una Lettera aperta
sul Giorno del ricordo, abbiamo espresso le nostre critiche alla
scheda Cosa sono le
foibe pubblicata il 10 febbraio 2016 sul sito di
Internazionale, e proposto alla rivista – che riteniamo un esempio di
giornalismo scrupoloso, competente e indipendente – uno speciale che
affrontasse la complessità di questa storia, coinvolgendo alcuni degli storici
che, negli ultimi anni, hanno pubblicato le più interessanti ricerche
storiografiche sul tema.
Ringraziamo Internazionale per la disponibilità e l’apertura.
Gli storici che hanno contribuito sono: Federico Tenca Montini, Piero
Purini, Carlo Spartaco Capogreco, Eric Gobetti, Anna Di Gianantonio, Jože
Pirjevec e Sandi Volk. Le loro note biobibliografiche sono nei rispettivi
articoli e interviste.
Buona lettura…continua qui
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