Qualche giorno fa si è registrata l’ennesima dichiarazione allarmistica sulla scuola italiana da parte di professori universitari, giornalisti, pedagogisti, scrittori ecc. Seicento intellettuali (Ernesto Galli della Loggia, Massimo Cacciari, Benedetto Vertecchi, Ilvo Diamanti, Paola Mastrocola ecc) hanno firmato una lettera rivolta alla presidenza del consiglio dei ministri nella quale invocano urgenti misure allo scopo di fermare il declino dell’italiano nella nostra scuola.
Quando questi signori si sono diplomati e laureati gli italiani scrivevano meglio? Francamente ho dei dubbi. Sicuramente ai loro tempi (Galli della Loggia è del ‘42, Cacciari del ‘44) quelli che arrivavano al diploma o alla laurea scrivevano molto meglio dei ragazzi di oggi. Il problema è: chi arrivava alla laurea? E gli altri, quelli che non ci arrivavano, come scrivevano?
Ma non è questo il punto. Sono sicuro che i 600 firmatari della lettera abbiano le loro buone ragioni per affermare quanto affermano.
Il punto è che, a mio parere, le proposte che essi fanno per migliorare lo stato dell’italiano e dell’istruzione italiana (http://gruppodifirenze.blogspot.it/…/contro-il-declino-dell…) vanno esattamente nella direzione opposta a quella che sarebbe necessario percorrere per ottenere reali miglioramenti.
Io sono un oscuro insegnante che ogni mattina si reca nella sua scuola per cercare, insieme a studenti e colleghi, di trovare un po di senso in questo nostro tempo. Ma, credetemi, è dura!
E non è dura a causa dei ragazzi. I ragazzi sono vivi, sono belli, sono pieni di energia! Non vedono l’ora di trovare persone che li valorizzino, contesti positivi di crescita e sviluppo.
Ripeto, io sono solo un umile insegnante. Non sono neanche poi così sicuro del mio stesso italiano. Ma nel mio piccolo sono certo di una cosa: le proposte di queste persone, che invocano maggiore serietà, durezza, rigore, aumento del carico di lavoro, aumento dei momenti di valutazione e di controllo in tutti i cicli scolastici non fanno altro che potenziare quella che è la vera causa del declino che denunciano. La verità è che la nostra scuola pubblica, in tutti i suoi ordini e gradi sta diventando sempre più un luogo triste, buio, cupo, disperati, un’istituzione che crea sofferenza, stress, malattie in alunni e insegnanti. La nostra scuola è come la nostra società, ne è uno specchio.
Ve lo dice una persona che tutto sommato lavora ancora in una scuola di buon livello (considerata rispetto alla media italiana), ve lo dice uno che è convinto che la maggior parte degli insegnanti ce la metta tutta, uno che è convinto che ci siano scuole che fanno tante cose meravigliose, uno che crede ancora, nonostante tutto, nella scuola pubblica. Ma quello che non va è il sistema, la cultura, l’antropologia che sta dietro al modo in cui facciamo scuola.
La forma mentale collettiva che sta alla base del nostro sistema è che ogni vero progresso, ogni evoluzione, debbano basarsi sulla sofferenza. Non può esserci vero apprendimento senza sacrificio, senza dolore. Non so da dove questo assunto derivi. Forse dal fatto che il simbolo della nostra religione è un Dio che muore fra le più atroci sofferenze per cercare di far progredire tutti gli altri. Fatto sta che questa premessa generale (che la pedagogia ha sempre tentato di mettere in discussione mostrando come l’apprendimento possa invece essere gioia, libertà, creatività) è oggi un dogma assoluto, che nessuno può più mettere in discussione. Questo pensiero unico, che vediamo agire anche nella lettera dei seicento, è uno dei principali responsabili dell’attuale stato delle cose, del fatto che gli zaini dei bambini e dei ragazzi siano sempre più pesanti , che nei loro pomeriggi non ci sia più tempo da dedicare ai giochi o alle relazioni. Ad esso si deve il fatto che ragazzi nel pieno del loro vigore fisico e mentale siano costretti a trascorrere metà delle loro giornate fermi, seduti su un banco in aule spoglie e incolori, e l’altra metà in preda all’ansia per il giorno successivo. Quante energie che si potrebbero liberare con esiti positivi per tutti vengono in questo modo mortificate?
Per questi motivi io (e credo anche tanti altri come me) ho un sogno: che la felicità e il benessere inizino ad essere il principale fine della scuola, la premessa di tutti gli altri obiettivi, infatti una persona felice è forte e in grado di capire autonomamente ciò di cui ha bisogno, sogno che la scuola possa essere un luogo di libera espressione di se stessi, un luogo di creatività, sogno che nessuno si senta giudicato o etichettato per i propri insuccessi per le proprie difficoltà, ma che ognuno venga accettato per ciò che è e aiutato a progredire con i propri tempi, secondo i propri bisogni, sogno che la scuola diventi un luogo di ascolto e di comprensione, di amore.
Tutte queste cose dovrebbero essere scontate. La migliore pedagogia ce le va ripetendo da secoli, da Socrate a Rousseau, da Tagore a Neill, da Dewey a Montessori. Queste idee dovrebbero essere state acquisite già da lungo tempo e invece no, chi oggi le sostiene viene considerato nella migliore delle ipotesi un ingenuo. In realtà queste idee sono state realizzate tante volte e in tanti paesi da singoli o gruppi di persone. Oggi i sistemi scolastici di interi paesi si stanno sempre più ispirando a queste idee, si vedano le esperienze dei paesi nord europei e della Scandinavia. Perché dovremmo rassegnarci al grigiore e alla tristezza? Che cosa hanno quei paesi in più di noi? Una cosa sicuramente, il fatto che la comunità abbia deciso che l’educazione sia uno dei settori più importanti per il benessere delle persone e per il loro futuro, il fatto che la cura dei bambini e dei ragazzi sia il bene più importante. In questi paesi i programmi sono stati ridotti al minimo, il tempo libero a disposizione dei bambini e dei ragazzi è maggiore, sono stati aboliti i compiti, non esistono test standardizzati, gli studenti sono coinvolti in attività significative di ricerca di scoperta, spesso a contatto con la natura, sono coinvolti in discussioni con persone ben formate e motivate, in ambienti stimolanti e ricchi di positività; l’educazione emotiva, l’educazione alla creatività, al pensiero divergente, alla soluzione di problemi sono messe in primo piano. Gli studenti di questi paesi sono, udite udite, sempre ai primi posti delle classifiche internazionali sull’istruzione che tanto ci ossessionano. Raggiungono con gioia e con felicità obiettivi che noi, con tutta la nostra cupezza e sofferenza, non riusciamo nemmeno a immaginare. Sempre questi paesi sono ai primi posti per quanto riguarda la qualità della vita, la salute, la libertà di stampa, la cura dei diritti sociali e civili, la cura degli anziani, dei disabili, dei detenuti ecc. Proviamo a riflettere che forse sono queste le cose di cui bisognerebbe dibattere negli spazi pubblici come la TV e non le beghe di partito o il fatto se le donne dell’est siano preferibili a quelle italiane.
Articolo bellissimo.
RispondiEliminaecco la pagina di Jean Luc:
Eliminahttps://www.facebook.com/jean.nuvoli?fref=ts