Da tempo immemorabile gli oppressi e/o ignorati dai
potenti si sono opposti ai detentori dell’autorità. Tale opposizione ha spesso
cambiato le cose, ma solo a volte. Che si consideri virtuosa la causa
degli oppositori dipende dai valori e dalle priorità individuali.
Negli Stati
Uniti, nell’ultimo mezzo secolo, è emersa un’opposizione latente a quella che
era considerata un’oppressione da parte delle élite che aveva attuato cambiamenti
nelle pratiche sociali offensiva per certi gruppi religiosi e che aveva
ignorato le popolazioni rurali e le persone la cui qualità della vita andava
declinando. All’inizio l’opposizione ha intrapreso la via del ritiro
dall’impegno sociale. Poi ha assunto una forma più politica, prendendo alla
fine il nome di Tea
Party.
Il Tea Party ha cominciato ad avere dei successi elettorali. Ma era
disperso e senza una strategia chiara. Donald Trump ha colto il problema e
l’opportunità. Si è offerto come capo unificatore di questo “populismo” di destra e ha
catapultato il movimento nel potere politico.
Ciò che Trump ha compreso è che non c’era alcun conflitto tra il guidare un
movimento contro il cosiddetto Sistema e perseguire il moderno attraverso il
Partito Repubblicano. Al contrario, l’unico modo in cui egli poteva realizzare
i suoi malefici obiettivi consisteva nel combinare le due cose.
Il fatto che egli ci sia riuscito nella potenza militare più forte del
mondo ha galvanizzato gruppi di analogo orientamento di tutto il mondo, che
hanno proceduto a intraprendere percorsi simili con un numero costantemente
crescente di aderenti.
Il successo di Trump è ancor oggi non compreso dalla
maggioranza dei leader di entrambi i partiti statunitensi dominanti, che cercano segnali
che egli diventerà quello che definiscono “presidenziale”. Cioè vogliono che
egli abbandoni il suo ruolo di leader di un movimento e si limiti a essere il
presidente e leader di un partito politico.
Si attaccano a ogni piccolo segnale che lo farà. Quando ammorbidisce per un
momento la sua retorica (come ha fatto nel suo discorso del 28 febbraio al
Congresso) non capiscono che si tratta esattamente della tattica ingannevole
del leader di un movimento. Invece si sentono incoraggiati o speranzosi. Ma
egli non
rinuncerà mai al suo ruolo di leader di un movimento perché il momento in cui
lo farebbe egli perderebbe il potere reale.
L’anno scorso, di fronte alla realtà del successo di Trump, è emerso negli
Stati Uniti (e altrove) un contro-movimento che ha assunto il nome
di “Resist” [resistere, opporsi, ndt]. Gli aderenti
hanno compreso che la sola cosa che può forse contenere e alla fine
sconfiggere il trumpismo è un movimento sociale che si schieri per valori
differenti e priorità differenti. Questo è il “perché” di Resist. Quello che è più
difficile è il “come” di Resist.
Il movimento Resist è cresciuto con rimarchevole rapidità, a volte in modo
così impressionante che la stampa convenzionale ha cominciato a parlare della
sua esistenza. È questo il motivo per cui Trump inveisce costantemente contro la stampa. La pubblicità
alimenta un movimento e lui sta facendo quello che può per schiacciare il
contro-movimento.
Il problema di Resist è che ancora in uno stadio in cui le sue molte
attività sono disperse e prive di una strategia chiara o almeno di una
strategia che sia già stata adottata. Né vi è alcuna figura unificante che sia
in grado a questo punto di fare quello che Trump ha fatto con il Tea Party.
Resist si è impegnato in una molteplicità di
iniziative diverse. Ha tenuto marce, contestato rappresentanti
locali al Congresso nelle loro riunioni pubbliche, creato rifugi per
persone minacciate di espulsioni ordinate dallo stato, interferito con
trasporti, pubblicato
denunce, firmato petizioni e creato collettivi locali che si
riuniscono sia per studiare sia per decidere altre iniziative locali. Resist è stato in
grado di trasformare molte persone comuni in militanti per la prima volta
nella loro vita.
Resist ha tuttavia di fronte alcuni pericoli. Un numero sempre
maggiore di partecipanti sarà arrestato e incarcerato. Essere un militante
è duro e dopo un po’ molti si stancano. E c’è bisogno di successi, piccoli o
grandi, per mantenere alto il loro spirito. Nessuno può garantire che Resist
non svanirà. Al Tea Party ci sono voluti decenni prima di arrivare dov’è oggi.
A Resist può volerci altrettanto tempo.
Ciò che Resist, come movimento, deve tener presente è il fatto che siamo nel mezzo di una
storica transizione strutturale dal sistema mondiale capitalista in cui abbiamo
vissuto negli ultimi circa cinquecento anni a uno di due sistemi successivi: un
sistema non capitalista che conservi tutte le caratteristiche peggiori del
capitalismo (gerarchia, sfruttamento e polarizzazione) e il suo contrario: un
sistema che sia relativamente democratico e ugualitario. Definisco questa la
lotta tra lo
spirito di Davos e lo spirito di Porto Alegre.
Stiamo vivendo nella caotica e disorientante situazione della transizione.
Ciò ha due implicazioni per la nostra strategia collettiva. Nel breve termine
(diciamo fino a tre anni) dobbiamo ricordare che viviamo tutti nel breve
termine. Desideriamo tutti sopravvivere. Abbiamo tutti bisogno di cibo e di un
tetto. Qualsiasi
movimento che speri di prosperare deve aiutare le persone a sopravvivere appoggiando
qualsiasi cosa minimizzi le pene di coloro che soffrono.
Ma nel medio termine (diciamo venti-quarant’anni) minimizzare la sofferenza
non cambia nulla. Dobbiamo concentrare la nostra lotta contro quelli che
rappresentano lo spirito di Davos. Non esistono compromessi. Non c’è una
versione “riformata” del capitalismo che possa essere costruita.
Dunque il “come” di Resist è chiaro. Abbiamo collettivamente bisogno di
maggior chiarezza riguardo a ciò che sta succedendo, di una scelta morale più
decisiva, di strategie politiche più sagaci. Sono cose che non arrivano
automaticamente. Dobbiamo
costruire l’insieme. Sappiamo che un altro mondo è possibile, sì, ma dobbiamo
anche essere consapevoli che non è inevitabile.
.
Da iwallerstein.com,
tradotto da Giuseppe Volpe per znetitaly.org (traduzione
© 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0).
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