E’
proporzionato bombardare la città di Kochav Ya’ir, dove vivono comandanti in
capo e dirigenti politici, mentre i residenti stanno dormendo o cenando con le
loro famiglie? Questa è un’infame domanda che non ha diritto di essere posta.
Ma Israele molto tempo fa ha dato una risposta affermativa alla domanda
generale: è proporzionato distruggere quartieri e bombardare case con dentro
famiglie intere – bambini, anziani, donne e neonati?
Sì, ha detto
Israele con i suoi bombardamenti su Gaza e il Libano. E’ proporzionato perché
abbiamo anche ucciso – o intendevamo uccidere – comandanti militari, militanti
e alti dirigenti politici delle organizzazioni palestinesi e libanesi.
Ecco ciò che
la procura militare ha scritto riguardo ad uno dei tanti attacchi che hanno ucciso
civili durante l’offensiva a Gaza dell’estate 2014:
“L’attacco era mirato a….un alto comandante, equivalente a vice
comandante di brigata, nell’organizzazione terroristica palestinese Jihad
Islamica…Durante la pianificazione dell’attacco è stato calcolato che molti
civili si sarebbero potuti trovare nella struttura e che la dimensione del
danno a civili non sarebbe stata eccessiva a fronte del significativo vantaggio
militare che ci si attendeva di ottenere come risultato dell’attacco…A
posteriori, l’obiettivo dell’attacco è stato gravemente ferito e (altri due
membri attivi della Jihad Islamica) sono stati uccisi insieme a quattro civili.
L’attacco si
è attenuto al principio di proporzionalità, poiché quando è stata presa la
decisione di attaccare è stato valutato che il danno collaterale atteso non
sarebbe stato eccessivo a fronte del vantaggio militare che ci si attendeva di
conseguire…Uno specifico avvertimento prima dell’attacco nei confronti degli
occupanti della struttura in cui si trovava l’obbiettivo, o degli occupanti
delle strutture adiacenti, non era legalmente richiesto e avrebbe potuto
compromettere lo scopo dell’attacco.”
Gli attacchi a Gaza hanno introdotto nel nostro mondo tre espressioni che
non hanno diritto di esistere: “uccisioni proporzionate”, “danno collaterale” e
“target bank”. Queste espressioni sono diventate assiomatiche al di là di ogni
domanda o riflessione. Come funzionerebbero questi assiomi se pianificassimo
l’obbiettivo nella direzione opposta?
Ogni casa
dove si trova un soldato o un riservista israeliano sarebbe un legittimo
obiettivo da bombardare; i civili colpiti sarebbero un danno collaterale. Ogni
banca israeliana sarebbe un obbiettivo perché i ministri e i generali
israeliani vi tengono i conti correnti.
Chi vive nelle vicinanze della stazione di polizia in Dizengoff Street a
Tel Aviv dovrebbe trasferirsi perché gli ufficiali del servizio di sicurezza
dello Shin Bet vi lavorano regolarmente e il missile potrebbe sbagliarsi e
colpire la scuola adiacente. Le basi militari ed i centri dello Shin Bet nel
cuore di quartieri civili – a Kirya (area
centrale della città, dove si trova la principale basedell’esercito israeliano,
ndtr.) a Tel Aviv, nei quartieri di Gilo e Neveh Yaakov a
Gerusalemme, o al quartier generale della Divisione Binyamin vicino alla
colonia di Beit El – condannano i loro vicini ad una morte proporzionata.
Tutti i
degenti dell’ospedale di Sheba devono essere evacuati a causa del centro
dell’esercito a Tel Hashomer; tutti i laboratori universitari e le imprese di
alta tecnologia dovrebbero essere evacuati a causa dei loro legami con
l’industria delle armi, mentre le vite dei figli dei dipendenti di Elbit e
Rafael (imprese di alta tecnologia militare, ndtr.) sono
anch’esse a rischio di danno collaterale perché i loro genitori collaborano a
fabbricare armi che non ci possiamo immaginare.
Questo
sembra terrificante, e giustamente. Ma poiché questa mostruosa sceneggiatura
speculare appare del tutto immaginaria, l’orrore immediatamente svanisce. Sorprendentemente, il revisore dello Stato[incaricato del controllo delle finanze,
della gestione finanziaria, del patrimonio e della gestione amministrativa
dello Stato e degli enti pubblici. Ndtr.] ha criticato il fatto che
non è stato fatto alcun tentativo per trovare un’alternativa diplomatica alla
guerra, ma la maggioranza degli israeliani ragiona solo all’interno di uno
schema, uno schema cruento. Cercano delle vie per razionalizzare lo schema, non
per romperlo e sostituirlo.
Le nostre
guerre sono una continuazione della nostra politica di negazione agli altri dei
loro diritti. Chi ha deriso la diplomazia palestinese che auspica uno
Stato indipendente accanto ad Israele ha ottenuto boicottaggio, sanzioni e
disinvestimento. Chi non ha ascoltato le ragioni di anni di resistenza popolare
palestinese sta pagando il prezzo dei razzi Qassam, dei tunnel per gli attacchi
e della paura degli attentati suicidi. Chi ha creato quella prigione che è Gaza
ha avuto in cambio Yahya Sinwar, il nuovo capo di Hamas nell’enclave.
E’ vero, le
nostre teorie di repressione funzionano – come formula collaudata per
l’escalation. Hanno stabilito i criteri per definirci, noi israeliani, come
“danno collaterale” agli occhi di coloro che vengono umiliati dalla nostra
multiforme violenza.
(Traduzione di Cristiana Cavagna)
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