Turkey Purge è un
collettivo di giovani giornalisti turchi «diventati la voce libera della gente
comune», come loro stessi si definiscono. Il lavoro di questi attivisti è
molto utile oggi, nella Turchia
del post golpe: il loro sito web aiuta a visualizzare i numeri e i
dettagli della ‘purga’ del presidente-sultano, che sta annientando la libertà del paese.
Inoltre traduce (in inglese) notizie che parlano di violazioni e arbitri contro
le persone. Turkey Purge tiene desta l’attenzione su tutte le violazioni dei
diritti umani.
Abbiamo
rivolto ai giornalisti alcune domande per mail ed hanno risposto
collettivamente, raccomandandosi di riferire soprattutto la loro
“preoccupazione per il destino della gente comune”. Parlano di “una deriva autoritaria” che si sta
allargando. Con la scusa del terrorismo Erdogan può far fuori chiunque:
colpisce i funzionari, gli insegnanti, gli impiegati, i parenti dei
giornalisti. Chi non è dichiaratamente col presidente, è contro di lui. Il
risultato è che in Turchia domina la paura e la gente sta diventando
“apolitica”.
.
Che ne è della gente comune in Turchia in questo
momento storico?
Questa cosa
ci turba molto. Nessuno sembra preoccuparsi più di tanto delle migliaia di persone che vengono “punite” quotidianamente con
l’accusa di terrorismo o sostegno al terrorismo. Il rischio di finire nel
calderone dei sospettati gioca un ruolo fondamentale nel creare una società
sempre più “apolitica”. Nessuno mette più in discussione la narrativa
ufficiale. Mentre il governo punisce tutto ciò che percepisce come nemico, la
gente prende per buono il pretesto di Erdogan nel dire che la sicurezza
nazionale è sotto attacco.
C’è una paralisi sociale diffusa. Perché?
I cittadini
comuni, soprattutto i più giovani,
sono diventati apolitici, temendo possibili ritorsioni. I nostri amici e
la gente che invia contributi a Turkey Purge dice di non essere più interessata
a cosa dicono i leader politici. Per quello che ne sappiamo i cittadini comuni
non leggono più i giornali e non guardano le news in tv. C’è anche un altro
trend diffusissimo ed è l’anonimato quando si critica il governo.
I giovani
giornalisti si nascondono dietro gli pseudonimi e sui social usano fake names.
Perfino il New York Times usa pseudonimi per i suoi reporter in Turchia, come
fa in Afghanistan e Siria. Allo stesso tempo gli impiegati pubblici e gli
insegnanti, che siano giovani o veterani, non manifestano più opinioni, perché
ogni mossa è monitorata dal governo. I funzionari statali possono tracciare gli
account dei social media, controllare
le e-mail e l’uso di internet per i propri dipendenti statali.
Com’è cambiata la vostra vita dopo il fallito golpe
del luglio 2016?
Prima
dell’estate ancora protestavamo per i nostri diritti, anche se sapevamo che
avremmo dovuto pagare un prezzo per la nostra azione. Poi anche questa piccola
porta aperta verso la libertà ci è stata completamente sbattuta in faccia. Come
se lo stato d’emergenza del post-colpo di stato autorizzasse il governo a
respingere qualsiasi opposizione al suo operato. Dal
15 luglio ad oggi nessuno ha più osato scendere in piazza.
La Turchia
non è più un Paese per giovani e per gente mentalmente aperta. Molti nostri
amici, soprattutto giornalisti e alcuni redattori, sono finiti in carcere con
l’accusa di far parte di organizzazioni terroristiche. La zia di uno dei nostri
redattori è in carcere, la madre di un altro si è vista rifiutare il visto di
viaggio con la stessa accusa.
Cosa vi fa più paura oggi?
La Turchia
sta attraversando i suoi tempi peggiori dal punto di vista del diritto, della
legge: ad esempio il diritto ad un equo processo. Intellettuali, giornalisti,
politici critici, uomini d’affari, celebrità, media ecc… tutti sono messi a
tacere tramite minacce e carcere. Siamo
seriamente preoccupati per le condizioni assolutamente arbitrarie che si
subiscono in prigione.
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