lunedì 27 marzo 2017

Macbettu – regia di Alessandro Serra

l'altra sera ho visto Macbettu, sapevo poco, è stata una bellissima sorpresa, Shakespeare doveva essere un emigrato sardo in Inghilterra, prima della Brexit, e solo attori maschi.
grande lavoro nello scrivere il testo in sardo nuorese, e non solo, di Giovanni Carroni.
regia essenziale, rigorosa, funzionale alla storia.

due note stonate, secondo me:

1 - il monologo di Maurizio Giordo in sassarese (stona non perché è in sassarese, ma perché tutti gli attori non sono primedonne, ognuno è un pezzo al servizio della storia, come se ci fosse un assolo non necessario, e quindi inutile, per quanto l'attore sia bravissimo, come tutti, d'altronde) 
2 - e poi, come all'opera, se scorressero i testi, in italiano, gli spettatori non nuoresi li capirebbero un po', se no è come guardare e ascoltare un'opera di Tadeusz Kantor in polacco, senza sottotitoli, qualcosa si perde, no?

detto questo, è un'opera straordinaria, se ci fosse un libro sulla storia del teatro sardo Macbettu sarebbe inclusa senza se e senza ma.
non perdetevi Macbettu, è di più di quello che ti aspetti.


ps: allego qualche impressione di chi ha visto Macbettu


dice Isa:
Sono innamorata di Macbettu !! lo ho visto tre volte, ognuna da diversa prospettiva.
Lo spettacolo è affascinante, onirico, polisemico. Parla a chi sa andare Oltre il Senso primo della Parola, sa trasmettere la potenza dei gesti, degli sguardi penetranti che accompagnano le azioni. La forza scenografica,  le 'immagini' , fotogrammi,  lentamente scorrono sul palco e ritornano prorompenti la notte nei sogni; i suoni riecheggiano nell'animo,  riportano alla Sardegna, il suo cuore ancestrale, arcaico, il Supramonte, i richiami pastorali, il bestiame al pascolo ma anche la caccia grossa. Le ambizioni più viscerali, la vendetta, la faida si leggono chiaramente nelle espressioni degli attori, nei loro gesti Pesati al grammo e sapientemente illuminati o lasciati in penombra.
Qualcuno potrebbe asserire che il dialoghi erano incomprensibili, eppure, hanno saputo parlare di bieco potere, folle ma anche umano. Quell'umanità che non è in grado di sostenere  la Follia del Potere, che spinta dalla bramosia non fa  distinguo tra identità di genere e rimanda all'umano dubbio.

Shakespeare sarebbe onorato di questa Lettura Altra, sicuramente affascinato di ciò che si è compiuto sul palco e della nostra Terra. 
Un'opera d'Arte  degna dei migliori musei contemporanei , capace al contempo di non perdere di vista le proprie Radici.


dice Mario Faticoni:
Mercoledì ho visto lo spettacolo Macbettu di Alessandro Serra.
Grande grandissimo teatro di stordente bellezza, omaggio al mestiere, alla grande tradizione artistica. Si sbianca la scena, barcolla un ubriaco e vedo Strehler, un nudo s'inginocchia e vedo il Principe Costante, sghignazzano le streghe e vedo Bosch...Grazie.

dice Enrico Pau:
Questo è Macbettu, questo è grande teatro, questo teatro non l'avevo mai visto alle nostre latitudini. E' uno spettacolo universale che rivela il talento puro e visionario di un regista che ha un'idea di teatro che si fonda sulla cura millimetrica dei particolari. Per arrivare a questa perfezione devi avere la capacità di creare un gruppo di attori capaci di seguirti dovunque, anche dentro l'inferno in terra del Macbeth scespiriano, creare un gruppo di attori che siano disposti ad ascoltare e ad ascoltarsi. E' una cosa inedita sulle scene sarde dove per "secoli", a parte rarissime eccezioni, nessuno ha ascoltato nessuno, dove troppe volte abbiamo assistito a piccoli spettacoli creati nelle tante parrocchiette dove si è preparato per anni il rito inutile del "mio teatro". Macbettu è un potente segnale, una ribellione che aspettavo da tempo, una rivoluzione senza sangue se non quello, finto, che nella trama scespiriana gronda da tutte le parti. E' uno spettacolo ipnotico, ma l'ipnosi qui è quella della bellezza, della forma, il bello si fonda sulla capacità di parlare insieme al cuore e alla mente, il bello sta in quella magica terra di nessuno dove nasce e si fissa il pensiero...


«E se realizzassimo una balentia senza fucili?» si chiedeva Sergio Atzeni, qualche mese prima della sua tragica fine, in un acuto intervento su “L’Unione Sarda” (7 maggio 1995). Alessandro Serra per il suo Macbettu sembra averlo preso alla lettera. Sul proprio terreno, naturalmente, che è quello del teatro, e più precisamente di una composizione drammaturgica che si avvale anche (e mai finora con tanta scoperta consapevolezza) degli strumenti dell’antropologia teatrale. Tolti i fucili, tolta la brutalità, rimangono forme, figure, gesti, sguardi, posture, tutta una fenomenologia del balente, e dietro di lui di tradizioni che affondano le radici nella civiltà nuragica. Un patrimonio di espressioni e contegni da smontare, ripensare, rimontare con valori e significati altri, secondo quel processo che Richard Schechner chiamava il «restauro del comportamento».
I cavalieri possono, per esempio, avere fissità impettite, portamenti orgogliosi e insieme avanzare col passo del cavallo, in una danza sincopata di centauri; i soldati possono richiamarsi con le grida dei pastori e cospirare appoggiandosi l’un l’altro nelle posture del cantu a tenore.
Sprofonda negli strati più arcaici dell’isola, questo Macbeth in sardo, e vi ritrova archetipi che valgono anche per la Scozia medievale – valgono per noi oggi. Sono tutti maschi gli otto interpreti (Fulvio Accogli, Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano, Giovanni Carroni, Maurizio Giordo, Stefano Mereu, Felice Montervino, Leonardo Tomasi), in onore tanto alla tradizione elisabettiana quanto a quella dei carnevali della Barbagia, dalle cui suggestioni è partito anni fa il progetto di Serra. Cinque di loro indossano camicia bianca e vestito di velluto nero, sos cosinzos ai piedi e su bonette in testa.
Si muovono su una partitura di fitte variazioni intorno a dinamiche di schiera, di stringa, dove il singolo assolo viene sempre ricondotto al cuncordu. Gli altri tre sono avvolti in lunghe vesti scure, scialle nero e fazzoletto in testa, per dare vita a un grottesco e spassosissimo trio di streghe gobbe e litigiose. Scendono dalle mura del castello, si muovono con veloci attraversamenti del palco o con i passetti del ballu tundu, cui corrisponde il loro continuo confabulare, scontrarsi, schivarsi, rincorrersi masticando improperi, sputandosi addosso: «Bagassa!» Rispondono a una vera e propria coreografia in cui traspare anche l’intervento di Chiara Michelini. Costruite sulla maschera di Sa Filonzana (la filatrice), queste figure dovrebbero portare il fuso per filare, come le Moire greche, il filo della sorte degli uomini, ma qui invece sono dotate di pattada, con cui giocano piuttosto a recidere il filo della vita.
«Macbettu ha mortu su sonnu! Su sonnu innossente, su sonnu ch’imbolica sa madassa iscumentada de s’affannu.» Sa limba sarda risuona nella sua affascinante, irriducibile alterità. Nella traduzione di Giovanni Carroni, Macbeth diventa musica...

dice Walter Porcedda
Coinvolgente, visionario e apocalittico. Come un Mito. Ha potenza evocativa e anche contemporaneo senso del tragico perché rimanda alle guerre che ogni giorno le tivù rimandano sui piccoli schermi con il loro carico di lutti e tragedie. E' lo spettacolo “Macbettu”, o meglio il primo studio di un'opera ambiziosa che, se mantiene le promesse (a novembre la seconda parte) potrebbe diventare uno degli spettacoli più intriganti della prossima stagione.
Di sicuro potrebbe persino far compiere al teatro sardo un bel salto in avanti, animando una scena spesso a corto di sicurezza e nuove visioni. Di queste invece, nella tragedia shakespiriana, ambientata da Alessandro Serra nel cuore di una immaginaria Barbagia, presentata al Massimo giorni fa, invece ce ne sono tante. Sono dentro scenari avvolti nei colori grigi dell'alba e oscuri del tramonto, terra e metallo con i corpi degli attori (tutti maschi) che paiono danzare sospesi tra il giorno e la notte. Gli eroi parlano il sardo tagliente del nuorese in quella che non è solo una versione di “Macbeth” in lingua sarda (coproduzione Sardegna teatro e Teatropersona e distribuito da Cedac in stagione), in alcuni momenti più echeggiante Eschilo che il Bardo, ma una interessante sfida: ritrovare il filo di una teatralità capace di parlare a voce alta nel panorama nazionale. “Macbettu” interpretato da otto rimarcabili attori, quasi tutti sardi (tra questi anche Giovanni Carroni, autore dei dialoghi in barbaricino) ha aperto la settimana scorsa la galleria di proposte, di giovani compagnie quasi tutte coprodotte da Sardegna Teatro.


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