martedì 6 giugno 2023

L’ unico russo buono è un russo morto


articoli, video, disegni, musica, poesia di Carlos Latuff, Nicola Rangeloni, Tommaso Di Francesco, Nicolai Lilin, Carlo Bellisai, Pino Arlacchi, Marinella Mondaini, Massimo Zucchetti, Robert Kennedy jr, Thierry Meyssan, Ariel Umpièrrez, Clara Statello, Alex Zanotelli, Sara Piccinini, Giuseppe Masala,  Michele Santoro, Domenico Gallo, Francesco Masala, Manlio Dinucci, Enrico Tomaselli, Alastair Crooke, Massimo Nava, Stefano Benni, Vauro, Joaquín Sabina, el resumen militar, Miguel Ruiz Calvo, Leonardo Tricarico, Fabrizio Battistelli, Giampaolo Cadalanu, Giorgio Bianchi, Maurizio Vezzosi, Giuliano Marrucci, Stefano Orsi, Gianandrea Gaiani 




L’Europa dal welfare al warfare – Tommaso Di Francesco

Non solo non usciamo dalla guerra, ma la sua agenda diventa sempre più onnivora e si allarga come del resto avviene sul campo di battaglia. Il voto di ieri dell’Europarlamento che ha approvato la relazione della Commissione europea denominata Asap (Act to Support Ammunition Production) dice che i governi nazionali potranno impegnare a man bassa fondi già destinati dal Pnrr (Il Piano di Ripresa e resilienza) per l’avvio del Next generation Eu e indirizzarli invece direttamente sul riarmo.

Si può dire che questa scellerata decisione era attesa, visto che nessuna delle leadership europee si pone il problema di come fermare il disastro della guerra russo-ucraina e visto che l’unica prospettiva, emersa anche ieri dal vertice internazionale in Moldavia, è l’ingresso dell’Ucraina nella Nato – come se questo non precipitasse ancora di più nella voragine la crisi ucraìna: alla criminale guerra di Putin si risponde con la guerra atlantica. Nessuno avverte che la soluzione non si trova in più armi e più guerra, garanzia di ulteriore morte e distruzione.

Ma il voto di ieri, che tace e insieme allontana anche la prospettiva di un cessate il fuoco e di un negoziato, è particolarmente grave. Perché all’ordine del giorno non c’era nemmeno l’invio di armi sì oppure no – su cui gli interrogativi dopo un anno e tre mesi di guerra sono aumentati: ci si poteva pure dividere all’inizio dell’invasione russa su questo, ma ora che gli arsenali con i tanti invii si sono vuotati è chiaro che questo vuol dire solo accettare la politica di riarmo che i governi stanno imponendo ai vari Paesi; e poi non c’era forse anche dentro il Pd un’area significativa che chiedeva che le armi da inviare dovessero essere solo di difesa, mentre ora la guerra dilaga in Russia? Tant’è: la deterrenza nucleare è finita e non fa a quanto pare più paura la ripetuta minaccia atomica che incombe. No. Ieri l’Europarlamento ha votato sì all’’autorizzazione ad un prelievo forzato, ad una distrazione di fondi che non è prevista nemmeno dai Trattati europei.

Che impediscono di finanziare con soldi comunitari le industrie militari nazionali. Perché l’Europa fin qui ancora – ma fino a quando? – è segnata dai fondamenti della sua costruzione che allontana le ragioni della guerra ricordando la tragedia di due guerre mondiali. Stavolta infatti la decisione presa è quella di attingere, per la produzione di armi, ai fondi destinati alle Regioni per sostenere le politiche sociali, il lavoro e il diritto allo studio, l’ambizione ambientalista della transizione ecologica e, dopo tre anni di pandemia, il nuovo, ineludibile, assetto della sanità, in più l’attenzione al dramma delle migrazioni epocali e al diritto d’asilo. Ecco perché anche le neosegretaria del Pd Elly Schlein ormai ripete che «non sarà l’ultimo fucile a porre fine a questa guerra». Ieri Schlein e tutto il gruppo Pd erano per emendamenti contrari, ma alla fine il voto è stato di 10 a favore all’Asap, 4 astenuti e uno contrario. Una spaccatura: il Pd resta sospeso anche sulla guerra.

La decisione di ieri dell’Europarlamento mette in discussione tutto: sia il fatto che nuovo armamento può essere prodotto utilizzando fondi che erano destinati a migliorare la vita delle persone dopo le costrizioni da pandemia, sia i fondamenti stessi dell’Unione europea.

L’indirizzo è chiaro, visto che la prospettiva è quella di una guerra di anni se non infinita, l’obiettivo praticato è passare dal welfare al warfare

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L’odio (domande) – Francesco Masala (4)

Se uno stimato rappresentante del popolo e del Senato degli Usa può dire che lui gode se con i soldi del suo paese vengono uccisi i russi, lo stesso potrebbe dirsi per i rappresentanti (eletti e no) dell’Europa?

Anche questa è russofobia?

Allora hanno ragione i russi sulla minaccia esistenziale?

Se della pace nessuno parla, quanti devono ancora morire? E per cosa?

Ci dobbiamo aspettare uno Zalenskicidio? O sarà necessario un Natocidio? O la terza guerra mondiale, integrale, non a pezzi?

Ricordate il Kossovo, praticamente una base militare Usa circondata da un po’ di campagna e qualche casa?

Ricordate che il 7 maggio 1999 una bomba intelligente della Nato (il segretario era allora lo spagnolo Solana) colpì l’ambasciata cinese a Belgrado?

L’integrità territoriale vale solo dall’anno 2000 (la Serbia non lo sapeva e non lo sa ancora)?

I pessimisti sono ottimisti bene informati?

Qualcuno dell’Invincibile Armada occidentale ammetterà di aver sbagliato tutto?




 

Nuovo gravissimo attacco del regime di Kiev ad un giornalista italiano: siamo tutti Andrea Lucidi! – Clara Statello

Siamo tutti Andrea Lucidi! Il giornalista Andrea Lucidi è stato inserito nella lista nera di Mirotvoretz. “Ho visto il mio nome citato in un articolo del “centro per la comunicazione strategica”, organo del governo ucraino controllato dal ministero dell’informazione e della cultura di Kiev. Dopo aver visto questo articolo sono andato a controllare Mirotvoretz ed ho scoperto di essere stato inserito, probabilmente a fine maggio scorso”, spiega in una nota inviata a l’AntiDiplomatico.

Andrea è un caro amico, un collega e un compagno nella nostra battaglia per la libertà di pensiero e stampa, per la pace e contro la propaganda bellica di Kiev e della NATO. Non è possibile scrivere di lui senza menzionare la sua grande umanità, l’umiltà con cui si è avvicinato alla causa dei popoli del Donbass e la dedizione con cui dà loro voce. Un profondo senso di giustizia lo ha spinto lo scorso dicembre a Lugansk e si è subito legato visceralmente a questa piccola coraggiosa repubblica che resiste da nove anni ad una guerra tremenda, una guerra che non ha trovato spazio nella nostra “stampa libera”. Gli è stato riconosciuto un accredito di giornalista ed ha iniziato a documentare quei fatti e quelle opinioni con cui l’Occidente non può e non vuole confrontarsi.
Ha mostrato i corpi dei civili giustiziati nei block post ucraini, i condomini utilizzati come punti di fuoco dalle forze armate di Kiev, le camere di tortura dei sotterranei del palazzo dell’SBU e della famigerata biblioteca, l’aeroporto di Mariupol adibito a quartiere generale delle forze di sicurezza e dei battaglioni banderisti. Ha mostrato le fosse comuni di civili negli ex territori ucraini ed il dolore dei parenti delle vittime.

Ma soprattutto Lucidi ha dato voce alle vittime della repressione ucraina post-Maidan, agli ex-prigionieri di quelle carceri, alle donne del Donbass che indicavano chiaramente il loro nemico: il governo di Kiev, non Mosca.

Con il suo lavoro non ha svelato delle Verità, contrariamente ai nostri media che etichettano le voci critiche come “Putinversteher“ .  Piuttosto ha mostrato la realtà nella sua complessità ed proprio questa complessità che la propaganda ucraina e NATO ha la necessità di semplificare nel dogma “c’è un aggressore ed un aggredito”. E’ questo il suo crimine ed è questo che gli è valso l’inserimento nel database di Myrotvoretz.

E’ in buona compagnia, assieme a personalità del calibro di Roger Waters, Steven Seagal, Scott Ritter, e tra gli italiani la video maker e scrittrice Sara Reginella. Sono finiti nel famigerato elenco dei nemici dell’Ucraina per aver documentato la guerra in Donbass dal punto di vista dei “filorussi” o per aver criticato il governo di Kiev o ancora aver promosso la pace. Spicca anche il nome dell’ex europarlamentare Eleonora Forenza, ricercata dai “pacificatori ucraini” dopo aver portato aiuti umanitari ai bambini di Donetsk e Lugansk con la Carovana Antifascista, nel 2017.
Cos’è Myrotvoretz

Molto cinicamente il nome Myrotvoretz in italiano è traducibile come “il pacificatore”. Tuttavia la black list creata nel 2014 e promossa da Anton Gerashenko, co-fondatore e successivamente consigliere del Ministero degli affari interni dell’Ucraina, non ha proprio nulla a che vedere con la pace. Il database contiene i nomi, le foto e dati personali (come indirizzo, numero di telefono o passaporto) dei “nemici dell’Ucraina”, che vengono inseriti nella lista sulla base di delazione. Nel sito compare una apposita scheda per denunciare qualsiasi persona ritenuta ostile al governo di Kiev.

Ben in vista nella home page, accanto alla scritta Myrotvoretz, appaiono in chiaro le località geografiche di Varsavia, in Polonia, e Langley, in Virginia, negli Stati Uniti, la stessa città dove si trova il quartier generale della CIA, l’intelligence statunitense.

Il centro raccoglie e diffonde i dati non solo dei “separatisti”, ovvero gli ucraini anti-Maidan, o di politici e militari russi, ma anche di cittadini di ogni nazionalità, giornalisti e personaggi pubblici. Myrotvoretz costituisce un rischio per la sicurezza di queste persone e dei loro familiari, sottoposti ad una gogna mediatica e dunque possibili target di azioni di odio e violenza da parte di nazionalisti o fanatici. Alcuni nomi che compaiono nella lista sono segnati con una X perché sono state uccise. Tra questi c’è il fotoreporter italiano Andrea Rocchelli. E’ dunque legittimo supporre che l’eliminazione dei “nemici dell’Ucraina” sia uno degli obiettivi di Myrotvoretz.

Questo modus operandi non ha nulla a che vedere con lo Stato di diritto o con la democrazia, piuttosto la delazione e il linciaggio pubblico caratterizzano le dittature fasciste e gli Stati di polizia.

Pensavamo fossero democratici invece sono delatori

“La data di inserimento su questo infame database è praticamente contemporanea ad un attacco squadrista che ho ricevuto sul mio profilo twitter ad opera dei vari account “NAFO”. Tra l’altro su twitter sono stato attaccato addirittura da due professori universitari, Luca Lanini, dell’Università di Pisa, che mi ha scritto: “Fun fact: la durata della vita media dei collaborazionisti nei territori temporaneamente occupati dalla dittatura fascista e genocida del Cremlino è più breve rispetto a quella dei loro coetanei che non hanno tradito. ” e Daniele Zuddas, dell’Università di Trieste, che mi definiva un “obiettivo legittimo per l’Ucraina”, prosegue Andrea Lucidi nella sua dichiarazione.

Nelle ultime settimane, infatti, non solo lui, ma anche Vincenzo Lorusso di Donbass Italia, così come altri canali Telegram che si occupano di controinformazione (compreso quello della scrivente), sono stati bersaglio di azioni coordinate di squadrismo dei cosiddetti NAFO, i sedicenti troll pro-NATO che imperseverano su Twitter e Facebook. Oltre alle personalità citate sopra da Lucidi, è intervenuto pure David Puente con alcuni tweet il cui fine non era certo cercare un confronto civile piuttosto impedirlo, denigrando e disumanizzando gli avversari dialettici. Questa gogna pubblica ha richiamato orde di haters, dediti al linciaggio mediatico e ad auspicare la morte di chi fa controinformazione. Questo è il loro concetto di libertà.

Evidentemente l’odio non si è fermato ai social, ma qualcuno ha compilato la scheda informativa di Myrotvoretz, sperando di annientare Andrea Lucidi. E’ questo il modo in cui operano i “difensori della democrazia contro il dittatore Putin”?

“E’ chiaro che anche il dibattito pubblico in Italia stia subendo una profonda radicalizzazione. Evidentemente il lavoro di chi offre una prospettiva diversa del conflitto e cerca di dare voce al popolo del Donbass viene ritenuto pericoloso dal regime di Kiev e da alcuni “liberali” italiani”, conclude la nota.

Il principio di democrazia si è affermato e consolidato nella storia dell’umanità in opposizione alle liste nere di proscrizione, ai roghi dei libri e alle persecuzioni di dissidenti e giornalisti. Le black list sono il sintomo eclatante della grave malattia di cui soffre il sistema democratico occidentale. L’attivismo di NAFO e dei cosiddetti fact checker indipendenti (ma schierati dalla parte di Kiev) è la dimostrazione dell’incapacità democratica di questi soggetti, che non riescono a reggere il confronto dialettico senza organizzare azioni squadristiche di trollaggio, linciaggio mediatico, diffondere odio, augurare morte e denunciare le loro vittime nelle liste di proscrizione.

L’esistenza di Myrotvoretz è la conferma che non esiste democrazia in Ucraina, è la conferma della natura fascista della junta di Kiev, è la conferma della nostre ragioni. Chi pensa di intimidirci inserendoci in un elenco di nemici dell’Ucraina si sbaglia di grosso, non fa che darci una ragione in più per dare voce al coraggioso popolo del Donbass che da nove anni resiste contro lo stesso fascismo. Continueremo più motivati che mai nel nostro lavoro di contro-informazione e decostruzione della propaganda di Kiev, non faremo un passo indietro: siamo tutti Andrea Lucidi. No pasaran!

da qui

 


 

 


LA BALLATA DELLO STRONZIO – Stefano Benni (12 maggio, 1986)

C’è chi teme l’isotopo

e le bizze del protone

chi l’orrendo plutonio

dall’infernale nome

chi vede iodio piovere

su monti fiumi e prati

e inquinar perfino

gli amati surgelati

poi il vento porta via

tutta la scoria infame

ma giuro, in fede mia,

che lo stronzio rimane

(e sempre rimarrà)

Lo stronzio è un elemento

direi fondamentale

in ogni umano evento

fatale o naturale

elemento che un giorno

senza sospetto alcuno

Mendeleiev mischiò

agli altri novantuno

lo si trova in natura

in forme varie e strane

alcune minerali

alcune quasi umane

lo stronzio è quel ministro

di corpulenta mole

che propaganda guerra

perfino nelle scuole

lo stronzio è lo scienziato

che alla tivù dibatte

di chiudere le centrali

ma soltanto del latte

lo stronzio alla domanda

se siamo radioattivi

risponde: accontentatevi

di essere ancora vivi

(fin quando durerà)

Il buon iodio di solito

al mare riposava

o disciolto in tintura

le ferite curava

non chiese certo lui

di andare militare

a difendere la patria

nel Corpo nucleare

Il radicchio alla nascita

non è certo assassino

non ci risulta attacchi

a morsi il contadino

ma lo stronzio è diverso

è un caso straordinario

lo stronzio è volontario

e sempre lo sarà

lo stronzio si prosterna

a armieri e inquinatori

canta il Rinascimento

degli speculatori

lo stronzio ama il progresso

di un amore infinito

piuttosto muore subito

ma muore progredito

(sai che felicità)

Reaganiano o sovietico

sotterraneo o palese

di miniere di stronzio

è ricco ogni paese

non credete allo stronzio

che dice «passerà»

non è solo un revival

la radioattività

non credete allo stronzio

che finge commozione

e intanto firma il piano

di una nuova esplosione

bombardieri e atomiche

non partono da soli

ci son tracce di stronzio

sul pulsante dei voli

Nelle acque minerali

scienziati competenti

ci firmano le analisi

di tutti gli ingredienti

E garanzie analoghe

chiedono gli italiani:

sia scritto da domani

visibile all’esterno

di ogni ente e governo

industria o parlamento

«contiene stronzio puro

al cinquanta per cento»

(almeno si saprà)

da qui


“I fondi del Pnrr dovevano servire per scuola, sanità, creare possibilità di vita!”

Alex Zanotelli: “C’è una narrativa in questo paese in cui incredibilmente la parola pace è scomparsa. La guerra in Ucraina ha riarmato l’Europa, quello che avviene fa paura”. E poi: “Una Germania che si arma è pericolosa per l’Europa”.

Fonte: Il Manifesto 3.6.2023, intervista di Adriana Pollice

«Siamo sull’orlo di due abissi: l’inverno nucleare, basta un incidente e ci siamo, e l’estate incandescente per la crisi climatica. Serve un unico forte movimento per la pace e l’ambiente»: così il missionario comboniano Alex Zanotelli fotografa l’attuale momento storico.

Festeggiamo la Repubblica, che vieta la guerra come mezzo di offesa ma anche di risoluzione delle controversie, con una parata militare.
È assurdo e l’ho sempre detto in questi anni. Ma cos’ha a che fare la parata militare con la festa della Repubblica italiana? Una repubblica che è bastata sull’articolo 11, che ripudia la guerra, mentre invece siamo in guerra da tutte le parti. Una contraddizione totale.

Il conflitto in Ucraina va avanti da più di un anno, si riaccende l’ex Jugoslavia. In Italia non c’è un vero dibattito.
C’è una narrativa in questo paese in cui incredibilmente la parola pace è scomparsa. La guerra in Ucraina ha riarmato l’Europa, quello che sta avvenendo fa paura. Secondo il rapporto Sipri, nel 2022 la spesa militare degli stati dell’Europa centrale e occidentale è stata di 345 miliardi di dollari, per la prima volta ha superato quella del 1989. A questo ha contribuito anche l’imposizione dettata dalla Nato di impiegare il 2% del Pil in armamenti. Il presidente Usa Biden ha detto «voglio che la guerra in Ucraina continui per indebolire la Russia per poi fronteggiare la Cina» e questo sta infiammando tutto l’Indopacifico. Gli Usa hanno dato i sottomarini atomici all’Australia e hanno chiesto alle Filippine di installare altre 5 basi militari. Si sta armando fino ai denti il Giappone, che ha una costituzione pacifista. Si sta armando anche la Germania, che pure ha una costituzione pacifista, mettendo sul piatto 100 miliardi. Una Germania che si arma è pericolosa per l’Europa. Giochiamo tutti col fuoco.

Il parlamento Ue ha approvato il progetto di legge Asap a sostegno della produzione di munizioni anche con i fondi del Pnrr.
Una cosa di una gravità estrema. Quei fondi dovevano servire per scuola, sanità, creare possibilità di vita. Invece si potranno dirottare verso l’industria bellica, ci sono già 500 milioni di euro preventivati, una bestemmia. Mi preoccupa come il Pd sta votando: il Partito democratico e la sinistra devono svoltare su questi temi. Non è concepibile barcamenarsi tra visioni opposte.

La giustificazione del provvedimento sono gli arsenali vuoti. Stiamo ristrutturando l’industria europea verso il settore militare?
Siamo dentro un’economia di guerra, del resto basta vedere quante porte girevoli ci sono nel governo verso Leonardo, uno dei maggiori player della sicurezza. Papa Francesco ha detto «siamo già dentro la Terza guerra mondiale». E Gutierrez, il segretario Onu, afferma che stiamo andando «a occhi aperti» verso una nuova guerra mondiale.

Nel 2024 ci sono le elezioni europee che potrebbero segnare un cambio radicale verso destra.
Nel mio libro Lettera alla tribù bianca racconto come il suprematismo sta invadendo il mondo: Bolsonaro, Trump, i paesi europei come Polonia e Ungheria. Se in Spagna vincesse Vox rischiamo che l’ultradestra travolga le stesse istituzioni Ue. Dobbiamo dire «gente, vogliamo davvero andare verso il disastro totale?». Non solo l’olocausto nucleare ma anche l’estate incandescente. Spese militari, guerre, voli di aerei da combattimento stanno pesando sull’ecosistema tanto quanto lo stile di vita del 10% più ricco del mondo. Il pianeta non sopporta più la presenza dell’homo sapiens, divenuto demens.

Industria di guerra, cambiamento climatico provocheranno nuovi movimenti migratori a cui l’Europa risponde chiudendo i confini.
I migranti superano già i 100 milioni, immaginiamo cosa succederà quando il calore crescerà nella zona saheliana. La gente scapperà e vale lo stesso per i conflitti. Fuggono da guerre che facciamo noi, da cambiamenti climatici che provochiamo noi nel nord del mondo. L’Africa nel prossimo secolo potrebbe raggiungere oltre 2 miliardi di persone ma chi ci potrà vivere se si va avanti in questo modo? Ai nostri politici interessa il profitto, se arriva dagli armamenti non importa. Questi sono gli ultimi dati di spesa in Italia: 4 miliardi e 200 milioni destinati all’esercito per 200 carrarmati; alla marina 12 miliardi per la terza portaerei e il raddoppio della flotta; all’aeronautica 8 miliardi e 700 milioni per F35 e Eurofighter Typhoon. È follia.

da qui

 

SUI MEZZI DELL’AZIONE NONVIOLENTA – Carlo Bellisai

Mi propongo in queste righe di riprendere una riflessione non nuova, ma tuttavia credo negli ultimi anni un po’ trascurata, sui mezzi dell’azione nonviolenta, cercando di riportarli alla realtà attuale, con due esempi concreti. Il primo relativo ad alcune pratiche di lotta del vasto e diversificato movimento pacifista, antimilitarista, disarmista in Sardegna, in opposizione alla presenza dei poligoni militari nell’isola. Il secondo relativo alle azioni degli attivisti di Last Generation, in contrasto alla crisi climatica, e la loro ricerca dell’impatto mediatico.

Secondo Gene Sharp, uno dei più importanti teorici che hanno scritto sull’azione diretta nonviolenta, “confidando nella violenza, si sceglie un terreno di lotta in cui gli oppressori hanno quasi sempre la superiorità. I dittatori dispongono dei mezzi per applicare la violenza in maniera soverchiante” (Gene Sharp, “Dalla dittatura alla democrazia”). Non solo la nonviolenza concorda mezzi e fini, ma risulta anche più efficace. Le tecniche di azione nonviolenta, secondo l’autore, si possono classificare in tre categorie principali: protesta e persuasione (proteste, sit-in, marce…), non collaborazione (sociale, politica, economica, boicottaggi, scioperi, non legittimazione…) e intervento (occupazioni nonviolente, creazione di mercati alternativi, di governi paralleli, blocchi nonviolenti, sabotaggi). La scelta dei mezzi andrà ponderata: si analizzeranno meriti e limiti delle diverse tecniche di lotta, domandandosi se esse colpiscono i punti deboli del regime, se servono a incrementare la sicurezza degli oppositori nei propri mezzi, se aumentano o diminuiscono il rischio di repressione, se aumentano o diminuiscono le simpatie verso il movimento, se influiscono e in quale misura, sull’opinione pubblica e sulle decisioni politiche.

La scelta di azioni nonviolente, sempre seguendo Sharp, necessita comunque di una forte autodisciplina all’interno dei gruppi che le praticano, perché implica abbracciare la forza delle idee contro quella della brutalità. Cadere nel tranello di rispondere alla violenza con la violenza, corrode gli ideali, concede l’occasione alle forze repressive per un’ulteriore escalation e ai mass-media ufficiali di etichettare gli oppositori come violenti e facinorosi, oscurando l’informazione sul programma che li muove, sugli ideali che li spingono. Per questo sono fondamentali l’autodisciplina e la coesione.

APRIRE UN VARCO

Il primo esempio che voglio esaminare è quello dell’azione diretta rivolta all’occupazione militare in Sardegna, con la pratica, più volte attuata, del taglio dei reticolati durante le manifestazioni davanti alle basi militari.

Tagliare il reticolato è un atto di grande potere evocativo e simbolico. E’ quindi anche un atto estetico e, in questo senso, “mirabile”. La rete segna il territorio militare, ma potrebbe anche essere la rete di una frontiera, o di un campo di prigionia: rimanda al limite, alla separazione, all’appropriazione violenta, alla discriminazione, alla prigionia. Di conseguenza, la violazione di questo limite diventa grido di libertà, riappropriazione della propria umanità, afflato di fratellanza. Perché il filo spinato che ci separa, il muro che ci divide, sono violenza.

Queste azioni dimostrative non possono dirsi violente, in quanto l’unico eccesso di forza esercitato è contro un oggetto inerte. Potrebbe, un tale atto, anche diventare violento se il danneggiato fosse un semplice proprietario di un terreno, che si sentirebbe violato e impaurito, ma non lo è di sicuro davanti alla mastodontica macchina di potere economico-militare. Se si può parlare allora di azioni dirette non violente (senza l’uso di violenza), tuttavia si tratta al contempo di azioni illegali, che quindi possono comportare, tra i loro effetti indiretti, anche l’aumento delle tecniche repressive da parte delle forze dell’ordine e il rischio di denunce nei confronti dei manifestanti. La reazione della polizia può anche rivelarsi sproporzionata e mettere a repentaglio l’integrità fisica e la salute delle persone e finire con l’alienare il sostegno alla causa di una parte dei movimenti e di coloro che, pur avendo una posizione contraria alla guerra e al militarismo, non sono disposti a sopportare un rischio elevato. Va anche detto che queste azioni dirette si inseriscono in una visione tattica, cosa peraltro diversa dall’azione diretta nonviolenta in senso strategico.

Le differenze in questo senso sono chiare: nella visione strategica nonviolenta ci si assume la responsabilità della propria disubbidienza in modo chiaro e trasparente, evitando i sotterfugi e la segretezza, quanto la contrapposizione aperta con le forze dell’ordine, che non sono viste come un nemico da disprezzare, ma come un’emanazione dello Stato, con cui ricercare un confronto, conflittuale ma rispettoso. Questo sia perché dietro quelle divise ci sono persone, sia perché, come ci ammonisce Sharp, “i promotori della ribellione politica tengano ben presente che è molto difficile, se non impossibile, abbattere il regime se polizia, apparato burocratico e forze armate esercitano pieno sostegno alla dittatura ed eseguono fedelmente gli ordini ricevuti. Le strategie mirate a inficiare la lealtà di queste forze del regime devono avere priorità assoluta”. Gli slogan denigratori ed offensivi contro gli uomini in divisa, che spesso sentiamo durante i cortei antimilitaristi, non sono d’aiuto in questa prospettiva.

Possiamo provvisoriamente riassumere che attualmente il movimento antimilitarista e disarmista in Sardegna non è ancora pronto ad abbracciare una lotta nonviolenta, con tutte le implicazioni politiche, etiche e strategiche connesse. Al contempo si deve anche ammettere che le azioni dirette esercitate durante le manifestazioni (taglio di reticolati, invasioni simboliche) non possono essere annoverate come azioni violente. Ne segue che può esserci un margine di confronto, uno spazio di dialogo fra le varie componenti, politiche e generazionali, che compongono tale movimento in senso lato, nella consapevolezza che un’unità di intenti è indispensabile.

 

AVERE L’ATTENZIONE

Il movimento denominato Last Generation, nato dal precedente Extinction Rebellion, vuole rispondere ai temi ambientali e dei cambiamenti climatici in modo netto ed integrale: basta emissioni di CO2, basta coi combustibili fossili e subito, siamo già oltre il limite e rischiamo l’irreversibilità di un processo di autodistruzione. Come dar loro torto? Nell’ultimo anno ed anche nel 2023 gli attivisti che si richiamano a Last Generation hanno compiuto numerose atti dimostrativi eclatanti, come imbrattamenti nei musei, o in monumenti (con vernici solvibili), mettendo in atto una tattica di azioni dirette non violente (senza uso di violenza), ma fortemente impattanti dal punto di vista mediatico. Infatti hanno avuto risonanza sui canali televisivi e sulla stampa, così come si proponevano, a rischio della propria incolumità e di pendenze legali. La ricerca di attenzione è per loro fondamentale, perché pensano che il tempo sia scaduto per il pianeta e che ciascuno debba testimoniare fortemente questo disagio, affinché partendo dai singoli esempi qualcosa cambi. Un po’ quello che, con tutte le differenze del caso, gli anarchici della prima parte del Novecento denominavano “la propaganda del fatto”.

Non sembrano ricordare, con le scelte dei bersagli, simboli importanti da attaccare, visto che privilegiano i luoghi dell’arte e della cultura, rischiando così di essere presi per vandali. In questo senso, la stessa visibilità che ricercano gli si può ritorcere contro. Questo limite mette in dubbio una realistica visione strategica di queste azioni, se prive di un movimento pubblico che dia loro una legittimazione, all’interno di una più ampia campagna di disubbidienza civile. Questo movimento d’azione, che pure presenta ideali da condividere e urgenze che non si possono procrastinare, non agisce in una strategia nonviolenta, in quanto non trasparente e segreto e senza una base sulla piazza su sui contare, che possa dare risalto alle azioni.

 

RIFLESSIONI PROVVISORIE

La nonviolenza non va scambiata con il legalitarismo. Gandhi, Luther King, Mandela non hanno esitato a disobbedire alle ingiustizie sociali, anche infrangendo leggi ingiuste e prevaricazioni. Per estirpare la mala pianta della violenza dalla Storia, qualunque mezzo creativo è possibile, tranne quello della violenza stessa, che non rappresenterebbe alcun progresso nel cammino verso una società libera, gestita dal basso e socialmente egualitaria. La nonviolenza è chiamata al contempo a cambiare l’educazione, la cultura, le relazioni fra le persone, i modi della comunicazione. Non avremo mai la pace, non ci sarà disarmo, se le persone non sapranno prepararli, dentro di sé e attorno a sé.

Gli esempi che ho voluto citare ci dicono che, pur nelle difficoltà susseguenti agli anni della pandemia ed alle laceranti divisioni che ha portato, qualcosa si muove ancora, anche fra le giovani generazioni. Le loro azioni, con tutti i limiti di cui ho detto, sono comunque espressione di una volontà politica che si pone contro la guerra, gli armamenti, contro lo scriteriato uso dei combustibili fossili e la “cultura” predatoria e militarista.

Forse dovremmo interrogarci su questi ed altri esempi simili, perché possa esserci un confronto aperto. Nella speranza di poter dare, come diceva Aldo Capitini, la nostra aggiunta nonviolenta.

 

 

Il mondo occidentale in “entropia economica”: la situazione negli Stati Uniti – Giuseppe Masala

La lotta generale per l’esistenza degli esseri viventi non è una lotta per l’energia, ma è una lotta per l’entropia

 Ludwig Moltzmann


Dopo il 2008 il mondo occidentale si dibatte in una infinita crisi economica caratterizzata da una situazione di caos entropico che rende davvero impossibile trarre delle indicazioni su ciò che potrà riservarci il futuro.

Passiamo infatti da una crisi ad un’altra nel corso di poco tempo: prima la crisi finanziaria partita con il settore immobilire americano che è passata a crisi finanziaria della borsa di Wall Street che si è contagiata a tutte le borse mondiali.

Poi siamo passati nel 2011 alla crisi dei debiti sovrani dei paesi del Sud Europa ed infine si è arrivati alla deliberata esplosione (da parte statunitense ed inglese) della crisi ucraina con la evidente finalità di sollevare una nuova cortina di ferro tra Russia (grande venditrice di energia all’Europa manifatturiera) e l’Europa (grande consumatrice di energia); questo con l’unica intenzione (da parte di Washington) di minare la competitività europea e in particolare tedesca che stava distruggendo il tessuto economico americano.

Una situazione questa che ha avuto il suo acme nell’esplosione del gasdotto North Stream che collegava la Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico.

Una situazione chiaramente senza precedenti, dove il maggior sospettato di aver architettato la distruzione di una infrastruttura critica per la Germania e l’Europa è un paese alleato: gli Stati Uniti d’America. Per non parlare poi dei continui pacchetti di sanzioni antirusse (in teoria) pretese all’Europa da parte di  Washington; sanzioni che stanno chiaramente affondando l’Europa stessa sia da l punto di vista commerciale che dal punto di vista finanziario.

Se non è entropia economica, politica, diplomatica e militare questa non si capisce cosa può essere intesa come tale!..

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Perché l’Ucraina non può vincere – Pino Arlacchi

Il conflitto in Ucraina viene spesso definito come una guerra di posizione, di trincea, più simile alla Prima che alla Seconda guerra mondiale. La guerra di posizione si distingue per la sua brutalità, dove a pesare sul risultato sono il numero di morti nel campo di battaglia causati soprattutto dalla potenza del re delle stragi, l’artiglieria.

I fattori che contano nelle guerre di posizione non sono gli armamenti disponibili all’inizio dello scontro, ma quelle che vengono chiamate le capabilities dei contendenti: la popolazione, il territorio, l’apparato industriale, le fonti di energia, le risorse naturali. Cioè l’hardware che consente di finalizzare verso lo sforzo bellico le risorse di un Paese.

È per questo che non c’è vera partita nello scontro tra la Federazione russa e l’Ucraina, anche se dietro quest’ultima si è schierato l’Occidente euroamericano. Le forniture di armamenti dalla Nato non saranno mai sufficienti a colmare un gap a favore della Russia che va dal due a uno nelle perdite in battaglia, dal cinque a uno nella popolazione, dal sette al dieci nell’artiglieria, e dal sedici al cinquanta nel resto delle capabilities.

È vero che si possono detenere risorse immense senza essere capaci di usarle o senza volerle usare, ma non è questo il caso della Russia di oggi. Essa condivide con l’Ucraina la convinzione di lottare contro una minaccia per la propria stessa esistenza che le impone di mettere in ballo tutte le sue forze. Ma, a differenza dell’Ucraina, la Russia è una grande potenza dotata di un micidiale arsenale nucleare, di un grado di autosufficienza economica senza uguali (detiene oltre il 20% delle risorse naturali del pianeta), e di una tradizione di invincibilità che risale al Diciottesimo secolo e che le ha consentito di fare a pezzi invasori del calibro di Napoleone e di Hitler.

Minacciarla fin quasi dentro i suoi confini come hanno fatto gli Stati Uniti dopo la fine dell’Urss tramite l’espansione della Nato non è stata una buona idea, ma una ricetta per il disastro attuale, annunciato tra l’altro dai più autorevoli leader occidentali che hanno guidato la Guerra fredda.

Lo scontro in corso non è tra Russia e Ucraina. Se fosse così, esso sarebbe terminato da un pezzo o non sarebbe mai arrivato al confronto militare. Nessun governo ucraino avrebbe mai osato provocare la Russia massacrando l’etnia russa del Donbass e poi concludere un falso accordo a Minsk garantito dalle potenze europee, se queste non lo avessero spinto in quella direzione.

È quanto rivelato candidamente dalla signora Merkel, da François Hollande e da altri: abbiamo mentito a Putin firmando un accordo che non avevamo intenzione di rispettare, con il solo scopo di guadagnare il tempo necessario per armare l’Ucraina.

La reazione armata della Russia è stata certamente un eccesso di legittima difesa che ha fatto in un certo senso il gioco degli antagonisti occidentali. Ma è difficile ipotizzare, viste le circostanze, un percorso alternativo per Putin. Dopo il febbraio dell’anno scorso, infatti, sono via via venuti alla luce i tre obiettivi di fondo degli Stati Uniti, da perseguire con o senza il consenso degli alleati: la disfatta della Russia nel territorio di una Ucraina da trasformare in un bastione occidentale, la rovina dell’economia russa tramite sanzioni e confisca di beni detenuti all’estero, l’espulsione della Federazione Russa dal novero delle grandi potenze.

A quindici mesi dall’inizio della guerra, è chiaro che il secondo e il terzo di questi obiettivi si sono rivelati impossibili da raggiungere.

L’economia russa ha resistito senza grandi sforzi, ed è l’Europa che ha patito l’autogol della rinuncia al gas russo.

Lo standing della Russia presso i tre quarti del mondo è rimasto tale e quale o si è rafforzato, assieme alla sua amicizia con la Cina. E dopo la leva di 300mila uomini, dopo il miglioramento delle tattiche di guerra russe lungo quest’anno, e dopo la caduta della città-simbolo di Bahkmut a opera dei contractors russi senza l’aiuto dell’esercito regolare, anche la sconfitta di Mosca in Ucraina si è rivelata una chimera.

È evidente che l’Ucraina ha raggiunto e superato il culmine nella mobilitazione delle proprie capabilities, soprattutto in termini di popolazione e di numero di combattenti, mentre la Russia è solo all’inizio di un trend di potenziamento.

I militari americani già da mesi consigliano di seguire strade alternative alla vittoria militare, perché a questo punto non si può più escludere che avvenga il contrario di quanto desiderato da media e governi occidentali: una continuazione in Russia dei fiaschi statunitensi in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria.

Governi e media occidentali non parlano più di vittoria ucraina. Washington ha iniziato a diffondere proprio in questi giorni l’idea di una cessazione delle ostilità senza accordo di pace, senza negoziato diplomatico: un frozen conflict tipo Corea che può trascinarsi a tempo indefinito, e che lasci gli spazi attuali nelle mani di chi li controlla.

Ciò significa che la Russia può incorporare le quattro province che già occupa, pari al 23 per cento del territorio ucraino, più le altre quattro a Ovest di quelle già occupate e che intende conquistare nei prossimi mesi, prima del cessate il fuoco.

Se ciò accade, il 46 per cento del territorio ucraino – circa l’intera area russofona – apparterrà alla Russia. L’Ucraina diventerà uno Stato smembrato e sull’orlo del fallimento, mantenuto in vita dal denaro e dalle armi dell’Occidente. La Russia dovrà sopportare l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e il rischio continuo di una ripresa delle ostilità, come appunto avviene nei frozen conflicts. E l’Europa continuerà a pagare il prezzo della sua discesa nella tomba di un impero americano seppellito da un mondo divenuto ormai multipolare.

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