venerdì 9 giugno 2023

Il braccio violento e razzista della legge - Alessandro Ghebreigziabiher

 

Una delle cose che ritengo più attuali tra quelle che insegna Noam Chomsky nei suoi discorsi è di prestare attenzione non solo alle mere notizie sulle prime pagine, soprattutto ai fatti più che alle chiacchiere, ma anche a come vengono raccontate. A cominciare dalle parole che vengono usate, le quali non sono mai scelte a caso quando provengono dall’alto.

Si prenda quale emblematico esempio la vicenda degli abusi della polizia a Verona, le cui intercettazioni e le infamie compiute che ne vengono fuori non starò qui a ripetere, perché a mio modesto parere spesso si dimostra un esercizio fine a se stesso, che dona clic incuriositi e nulla più.

Per questo ha ragione da vendere chi sostiene che non vi dovrebbe essere alcuno stupore, è solo un tabù che ogni tanto si guadagna le luci che contano. Ma, più che mai per come i suddetti fatti vengono raccontati e archiviati da tutto il sistema di comunicazione vigente, dai giornali alle istituzioni preposte passando per politici e governanti, a breve ritornerà al di sotto del metaforico tappeto delle nefandezze di Stato.
D’altra parte è storia vecchia. Cito per esempio il lungo e dettagliato elenco dei morti per mano delle forze dell’ordine dal 1948 al 2001 stilato dal Comitato Piazza Carlo Giuliani. Oppure, per un’analisi ulteriormente approfondita, consiglio i saggi di Salvatore Palidda, in particolare Polizie, sicurezza e insicurezze.
C’è molto, tra libri, ricerche e articoli degni di nota sull’argomento che ha storia lunga e, ovviamente, non può fare altro che riportare altrettanta attenzione sul tema del reato di tortura nel nostro paese, che qualcuno vorrebbe ancora abolire.

Dal canto mio, vorrei soffermarmi su un aspetto relativo agli ultimi decenni, ovvero quello del razzismo. A tal proposito, non può essere casuale il fatto che le vittime delle cosiddette “mele marce” tra gli agenti in quel di Verona, a parte un solo italiano, siano state quasi sempre stranieri.
È ormai prassi consolidata quella che fin dal secolo scorso ci vede puntualmente propensi come società a copiare tutto ciò che giunge dagli USA: in ordine sparso, espressioni con cui parlare e tendenze nell’abbigliamento, format televisivi e presunte innovazioni tecnologiche, modi di fare politica e in generale di perseguire obiettivi, ma anche le pratiche peggiori e più deprecabili. Ogni cattivo costume viene assimilato e riprodotto in salsa nostrana dalla nazione vittima di un’esportazione della democrazia americana ante litteram.
Potevano restare fuori le violenze della polizia ai danni delle minoranze e dei più deboli?
Nondimeno, come premesso, riflettiamo assieme sul modo con il quale chi di dovere ha commentato l’accaduto: “Ringrazio la procura di Verona per la fiducia accordata nel delegare alla squadra mobile le indagini”, ha dichiarato il capo della Polizia Vittorio Pisani. “La levatura morale della nostra amministrazione ci consente di affrontare questo momento con la dignità e la compostezza di sempre”.
La “levatura morale” a posteriori e a prescindere, già, vorrei sapere dove si compra.
Il presidente del Senato La Russa ha ripetuto il solito refrain, ovvero se gli agenti hanno sbagliato “è giusto che paghino”, dove il “se” spiega tutto del suo punto di vista.
Più o meno lo stesso “ove – le vicende – fossero confermate, sarebbero di enorme gravità” del ministro dell’interno Piantedosi, il quale ha tenuto ovviamente a sottolineare che sarebbero lesive, oltre che delle vittime, anche “dell’onore e della reputazione di migliaia di donne e uomini della Polizia di Stato che quotidianamente svolgono il proprio servizio ai cittadini con dedizione e sacrificio.” In altre parole, il solito mettere sullo stesso piano aggressori e aggrediti di fascista, neo o post, memoria.

 

Il questore Roberto Massucci invece cade dal pero, come se si fosse risvegliato in questo momento da un lungo sonno: “Da oggi l’impegno mio e di tutti i miei collaboratori sarà di ricostruire un rapporto di fiducia con i cittadini nel solo modo che conosco e riconosco possibile: lavorando in silenzio e con gentilezza.” Diciamo soprattutto in silenzio, perché parlare di gentilezza con quello che è saltato fuori sfiora davvero il ridicolo.
Sapete cosa mi viene in mente rileggendo tutto ciò? Le parole con cui questa gente e molti degli stessi quotidiani di maggiore rilevanza solitamente commentano e raccontano i singoli episodi qualora a macchiarsi del crimine ci si trovi qualcuno che tra le altre cose – il più delle volte trascurate – è anche uno straniero.

Pensate che potremmo mai leggere frasi tipo “se l’immigrato ha sbagliato è giusto che paghi” e “ove il reato fosse confermato”? Oppure che il misfatto del cittadino straniero di turno è “lesivo dell’onore e della reputazione di tutte le immigrate e gli immigrati che quotidianamente lavorano onestamente nel nostro paese con dedizione e sacrificio”, spesso con stipendi da fame e subendo continui soprusi senza poter reagire? E magari qualcuno ai piani alti si mettesse davvero a lavorare per costruire ex novo, più che ricostruire, “un rapporto di fiducia” con le innocenti vittime quotidiane dell’ignoranza e di una discriminazione legalizzata, il cui braccio violento e razzista è, guarda caso, proprio la polizia…

da qui

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