…funzionari di organizzazioni non governative e di agenzie Onu,
hanno manifestato grande preoccupazione per le conseguenze che un’operazione
militare potrebbe avere sulla crisi alimentare e nutrizionale che da quasi un
anno vessa le popolazioni locali.
Vale la pena di riportare le parole di Mamadou Biteye, direttore di Oxfam Africa West: “Ogni intensificazione del conflitto potrebbe rendere ancora più difficile alle comunità l’accesso all’aiuto di cui hanno bisogno, Il rischio che le operazioni militari nel nord del Mali diano un colpo definitivo alla già fragile situazione umanitaria è una certezza”.
Certo, nelle strategie geopolitiche non c’è spazio per riflessioni di questo genere. Ma esiste una coscienza collettiva alla quale si può, si deve parlare…
E’ dalla fine del 2012 che operatori e cooperanti impegnati sul campo hanno messo in guardia sulla penuria alimentare nel Sahel, causata in gran parte da piogge irregolari e siccità.
Più di 18 milioni di persone soffrono la fame, tra cui più di 1 milione di bambini. Mali, Mauritania e Ciad i paesi più colpiti.
Concludendo, seppure appaia ragionevole la preoccupazione che l’Africa Sahariana, già fortemente destabilizzata dalla guerra in Libia, diventi rifugio stabile per al Qaeda, la comunità internazionale non può affidare ancora una volta alle armi la gestione di una crisi che rischia di trasformarsi in un nuovo pantano afgano.
E ci sono dati evidenti che confermano questa possibilità.
Da mesi nella regione l’afflusso di armi, per lo più utilizzate nei combattenti in Libia, è continuo e in crescendo. Analisti ed esperti nella lotta al terrorismo hanno evidenziato come gruppi affiliati ad Al Qaeda, arricchiti da riscatti pagati per ostaggi occidentali, abbiano enormemente accresciuto la propria forza e grazie all’illegalità dilagante stia orientando la propria influenza verso sud. In particolare verso la Nigeria, la nazione più popolosa dell’Africa.
Complice di ciò, anche la spaccatura tra i vicini del Maghreb arabo, Algeria e Marocco. Entrambi i paesi potrebbero garantire intelligence e forze militari in grado di controllare il proliferare delle realtà criminali. Ma la cronica rivalità che li contrappone ha creato uno stallo che impedisce di mettere in campo la cooperazione per la sicurezza comune in tutta la regione sahariana, che potrebbe davvero fare la differenza.
Insomma, i presupposti affinché la cura risulti più deleteria della malattia ci sono tutti.
Vale la pena di riportare le parole di Mamadou Biteye, direttore di Oxfam Africa West: “Ogni intensificazione del conflitto potrebbe rendere ancora più difficile alle comunità l’accesso all’aiuto di cui hanno bisogno, Il rischio che le operazioni militari nel nord del Mali diano un colpo definitivo alla già fragile situazione umanitaria è una certezza”.
Certo, nelle strategie geopolitiche non c’è spazio per riflessioni di questo genere. Ma esiste una coscienza collettiva alla quale si può, si deve parlare…
E’ dalla fine del 2012 che operatori e cooperanti impegnati sul campo hanno messo in guardia sulla penuria alimentare nel Sahel, causata in gran parte da piogge irregolari e siccità.
Più di 18 milioni di persone soffrono la fame, tra cui più di 1 milione di bambini. Mali, Mauritania e Ciad i paesi più colpiti.
Concludendo, seppure appaia ragionevole la preoccupazione che l’Africa Sahariana, già fortemente destabilizzata dalla guerra in Libia, diventi rifugio stabile per al Qaeda, la comunità internazionale non può affidare ancora una volta alle armi la gestione di una crisi che rischia di trasformarsi in un nuovo pantano afgano.
E ci sono dati evidenti che confermano questa possibilità.
Da mesi nella regione l’afflusso di armi, per lo più utilizzate nei combattenti in Libia, è continuo e in crescendo. Analisti ed esperti nella lotta al terrorismo hanno evidenziato come gruppi affiliati ad Al Qaeda, arricchiti da riscatti pagati per ostaggi occidentali, abbiano enormemente accresciuto la propria forza e grazie all’illegalità dilagante stia orientando la propria influenza verso sud. In particolare verso la Nigeria, la nazione più popolosa dell’Africa.
Complice di ciò, anche la spaccatura tra i vicini del Maghreb arabo, Algeria e Marocco. Entrambi i paesi potrebbero garantire intelligence e forze militari in grado di controllare il proliferare delle realtà criminali. Ma la cronica rivalità che li contrappone ha creato uno stallo che impedisce di mettere in campo la cooperazione per la sicurezza comune in tutta la regione sahariana, che potrebbe davvero fare la differenza.
Insomma, i presupposti affinché la cura risulti più deleteria della malattia ci sono tutti.
L’Europa bendata
alla guerra d'Africa – Barbara Spinelli
… La degenerazione del Mali poteva essere evitata, se gli
Europei avessero studiato il paese: considerato per anni faro della democrazia,
fu sempre più impoverito, portandosi dietro i disastri delle sue artificiali
frontiere coloniali. Aveva radici antiche la lotta indipendentista dei Tuareg,
culminata il 6 aprile 2012 nell'indipendenza dell'Azawad a Nord. Per decenni
furono ignorati, spregiati. Per combattere un indipendentismo inizialmente
laico si accettò che nascessero milizie islamiche, ripetendo l'idiotismo
esibito in Afghanistan. Sicché i Tuareg s'appoggiarono a Gheddafi, e poi agli
islamisti: unico punto di riferimento, furono questi ultimi a invadere il Nord,
all'inizio 2012, egemonizzando e stravolgendo - era
prevedibile - la lotta tuareg.
È uno dei primi errori dell'Occidente, questa cecità, e quando Prodi approva l'intervento francese dicendo che "non esistevano alternative all'azione militare", che "si stava consolidando una zona franca terroristica nel cuore dell'Africa", che gli indipendentisti "sono diventati jihadisti", dice solo una parte del vero. Non racconta quel che esisteva prima che la guerra fosse l'unica alternativa. I Tuareg non sono diventati terroristi; blanditi dagli islamisti, sono stati poi cacciati dai villaggi che avevano conquistato. La sharia, nella versione più cruenta, è invisa ai locali e anche ai Tuareg (sono tanti) non arruolati nell'Islam radicale. Vero è che all'inizio essi abbracciarono i jihadisti, e un giorno questa svista andrà meditata: forse l'Islam estremista, col suo falso messianismo, ha una visione perversa ma più moderna, della crisi dello Stato-nazione. Una visione assente negli Europei, nonostante l'Unione che hanno edificato.
Ma l'errore più grave è non considerare le guerre dell'ultimo decennio come un tutt'unico. L'azione in un punto della terra ha ripercussioni altrove, i fallimenti in Afghanistan creano il caso Libia, il semi-fallimento in Libia secerne il Mali. Il guaio è che ogni conflitto comincia senza memoria critica dei precedenti: come scheggia appunto. In Libia il trionfalismo è finito tardi, l'11 settembre 2012 a Bengasi, quando fu ucciso l'ambasciatore Usa Christopher Stevens. Solo allora s'è visto che molti miliziani di Gheddafi, tuareg o islamisti, s'erano trasferiti nell'Azawad. Che la guerra non era finita ma sarebbe rinata in Mali, come in quei film dell'orrore dove i morti non sono affatto morti.
È venuta l'ora di riesaminare quel che vien chiamato interventismo umanitario, democratico, antiterrorista. Un solo dato basterebbe. Negli ultimi sette anni, il numero delle democrazie elettorali in Africa è passato da 24 a 19. Uno scacco, per Europa e Occidente. Intanto la Cina sta a guardare, compiaciuta. La sua presenza cresce, nel continente nero. Il suo interventismo per ora costruisce strade, non fa guerre. È colonialismo e lotta per risorse altrui anch'esso, ma di natura differente. Resilienza e pazienza sono la sua forza. Forse Europa e Stati Uniti si agitano con tanta bellicosità per contendere a Pechino il dominio di Africa e Asia. È un'ipotesi, ma se l'Europa cominciasse a discutere parlerebbe anche di questo, e non sarebbe inutile.
È uno dei primi errori dell'Occidente, questa cecità, e quando Prodi approva l'intervento francese dicendo che "non esistevano alternative all'azione militare", che "si stava consolidando una zona franca terroristica nel cuore dell'Africa", che gli indipendentisti "sono diventati jihadisti", dice solo una parte del vero. Non racconta quel che esisteva prima che la guerra fosse l'unica alternativa. I Tuareg non sono diventati terroristi; blanditi dagli islamisti, sono stati poi cacciati dai villaggi che avevano conquistato. La sharia, nella versione più cruenta, è invisa ai locali e anche ai Tuareg (sono tanti) non arruolati nell'Islam radicale. Vero è che all'inizio essi abbracciarono i jihadisti, e un giorno questa svista andrà meditata: forse l'Islam estremista, col suo falso messianismo, ha una visione perversa ma più moderna, della crisi dello Stato-nazione. Una visione assente negli Europei, nonostante l'Unione che hanno edificato.
Ma l'errore più grave è non considerare le guerre dell'ultimo decennio come un tutt'unico. L'azione in un punto della terra ha ripercussioni altrove, i fallimenti in Afghanistan creano il caso Libia, il semi-fallimento in Libia secerne il Mali. Il guaio è che ogni conflitto comincia senza memoria critica dei precedenti: come scheggia appunto. In Libia il trionfalismo è finito tardi, l'11 settembre 2012 a Bengasi, quando fu ucciso l'ambasciatore Usa Christopher Stevens. Solo allora s'è visto che molti miliziani di Gheddafi, tuareg o islamisti, s'erano trasferiti nell'Azawad. Che la guerra non era finita ma sarebbe rinata in Mali, come in quei film dell'orrore dove i morti non sono affatto morti.
È venuta l'ora di riesaminare quel che vien chiamato interventismo umanitario, democratico, antiterrorista. Un solo dato basterebbe. Negli ultimi sette anni, il numero delle democrazie elettorali in Africa è passato da 24 a 19. Uno scacco, per Europa e Occidente. Intanto la Cina sta a guardare, compiaciuta. La sua presenza cresce, nel continente nero. Il suo interventismo per ora costruisce strade, non fa guerre. È colonialismo e lotta per risorse altrui anch'esso, ma di natura differente. Resilienza e pazienza sono la sua forza. Forse Europa e Stati Uniti si agitano con tanta bellicosità per contendere a Pechino il dominio di Africa e Asia. È un'ipotesi, ma se l'Europa cominciasse a discutere parlerebbe anche di questo, e non sarebbe inutile.
...Ecco di
seguito la cronologia delle missioni militari francesi in Africa (non proprio
50, ma certamente numerosissime), la maggior parte dei quali sui territori
delle sue ex colonie -- basata su due articoli online, uno di
Nestor N’Gampoula
per Oeil d'Afrique e
l'altro di Jean-Patrick Grumberg per Dreuz Info.
Nel 1964, truppe di paracadutisti francesi sventano un golpe a Libreville, in Gabon.
Dal 1968 al 1972 l’esercito francese combatte contro i ribelli
nella regione di Tibesti,
nel nord del Ciad.
Nel 1978 nello Zaire (ora
Repubblica Democratica del Congo), 600 legionari francesi vengono inviati aKolwezi per fronteggiare i ribelli.
Nel 1979 nella Repubblica Centrafricana, l’imperatore
Jean-Bedel Bokassa viene destituito dai paracadutisti francesi con l’ Operazione Barracuda.
Nel 1983-84, parte l' Operazione Manta, dove 3.000
militari affrontano i ribelli armati sostenuti dalla Libia. Due anni più tardi,
dopo un attacco anti-governativo, c'è un'ulteriore intervento francese basato
soprattutto su attacchi aerei, l' Operazione Epervier.
Nel 1989 nelle Isole Comore, dopo l'assassinio del Presidente Ahmed Abdallah e la presa del potere da parte del
mercenario francese Bob Denard, arrivano circa 200 soldati
francesi per costringere quest'ultimo e i suoi uomini ad andarsene.
Nel 1990, Parigi invia truppe in Gabon, a Libreville e Port-Gentil, per dare man forte al contingente
francese locale dopo che erano scoppiati violenti disordini. L'operazione
permette l'evacuazione di circa 1.800 stranieri.
Nel 1991 ancora nell'allora Zaire, le truppe belghe e francesi
riescono a evacuare gli stranieri presenti nel Paese dopo lo scoppio di
violenti disordini e saccheggi.
Lo stesso anno, le truppe francesi con sede nella Repubblica di
Gibuti aiutano i ribelli Afar a disarmare le truppe etiopi che
avevano attraversato il confine, in seguito al rovesciamento del Presidente
etiopeMengistu Haile
Mariam.
Nel 1994, mentre gli Hutu del Ruanda massacravano centinaia di migliaia di Tutsi in
quello che è stato definito uno dei genocidi peggiori della storia, i soldati
francesi e belgi riescono a far rimpatriare gli europei. Sempre quell'anno,
circa 2.500 soldati francesi, sostenuti da truppe africane, lanciano l' Operazione Turquoise, un
impegno umanitario nello Zaire e nella parte orientale del Ruanda.
Nel 1995, un migliaio di uomini coinvolti nell' Operazione Azalea sventano un altro tentativo di colpo
di Stato contro il presidente delle Isole Comore, Said Mohamed Djohar, sempre da
parte di Bob Denard.
Nel 1996 nella Repubblica Centrafricana, l' Operazione Almandin garantisce la sicurezza degli
stranieri e l'evacuazione di 1600 persone dopo che l'esercito si era ammutinato
contro il Presidente Ange-Félix Patassé.
L'anno seguente, dopo l'uccisione di due suoi soldati, la Francia autorizza
un'intervento contro i ribelli nella capitale Bangui.
Sempre nel 1967, circa 1.200 soldati salvano la vita a diversi
espatriati francesi e africani trovatisi nel mezzo degli scontri tra l'esercito
congolese e i sostenitori del leader militare Denis Sassou Nguesso, attuale
Presidente della Repubblica del Congo.
Nel 2002, le forze francesi intraprendono l' Operazione Licorne per aiutare gli occidentali
intrappolati in una rivolta militare che ha poi effettivamente diviso la Costa
d'Avorio in due regioni.
Nel 2003, l' Operazione Artemis,
nella regione Ituri dello Zaire, pone fine ai massacri in corso. In seguito
sono state inviate 2.000 truppe per il mantenimento
della pace, l'80% dei quali francesi.
Nel 2004 la Francia distrugge la piccola aviazione ivoriana dopo
che le forze governative avevano bombardato una base francese.
Nel 2008 un nuovo intervento rafforza il regime del presidente
del Ciad, Idriss Deby, e organizza l'evacuazione degli stranieri, mentre i
ribelli del vicino Sudan attaccano.
A marzo 2011 le forze aeree francesi sono le prime a bombardare
i miliziani di Gheddafi dopo l'autorizzazione da parte delle Nazioni Unite per
l'intervento a tutela dei civili coinvolti nella ribellione contro il dittatore
libico.
Nel 2011, durante le guerra in civile in Costa d'Avorio, le
forze francesi e le Nazioni Unite si schierano a favore di Ouattara. La guerra
è scoppiata dopo il rifiuto da parte di Laurent Gbagbo di dimettersi e
accettare il verdetto delle elezioni, da cui Alassane Ouattara risultava
Presidente.
La Francia decide poi di porre fine al suo ruolo di
"Polizia dell'Africa", rifiutandosi di intervenire nuovamente nella
Repubblica Centrafricana, dove François Bozizé (ex capo dell'esercito salito al
potere rovesciando il presidente eletto Ange-Félix Patassé il 15 marzo 2003)
era alle prese con la rivolta dei ribelli.
Gli ultimi sviluppi in Mali hanno però rilanciato gli interventi militari
francesi -- come conclude un altro articolo su Dreuz Info:
«A inizio 2013 in Mali, i francesi bombardano i ribelli islamici
dopo che questi ultimi hanno cercato di espandere la loro base di potere verso
la capitale Bamako. La Francia aveva precedentemente messo in guardia sul fatto
che il controllo del nord del Mali da parte dei ribelli poteva rappresentare
una minaccia per la sicurezza dell'Europa.
Contemporaneamente viene organizza un'operazione di commando per
salvare un ostaggio francese trattenuto dai militanti di al Shabaab, in
Somalia, alleati tra l'altro di al-Qaeda. L'ostaggio è stato poi uccisodai
sequestratori».
[ Post originale: Les interventions militaires françaises en
Afrique ]
spero le mie parole non suonino come una presa in giro od un'ipocrisia, che -nonostante quanto scritto da me- non vogliono essere, ma condivido le preoccupazioni sulle condizioni nel sahel.
RispondiEliminasono convintissimo che l'intervento militare non possa risolvere la questione ma solo aggravarla da un punto di vista umanitario -almeno nel breve periodo. e sono convintissimo che debbano intervenire altri strumenti di cooperazione internazionale, appena possibile, immediatamente.
perchè solo così la lotta contro Al Quaeda e contro le ribellioni può avere un senso.
(non ha caso ho apprezzato molto e copiato anche da me l'articolo della Spinelli)
comunque, alcuni di quegli interventi francesi non possono semplicemente essere considerati negativamente... ma sono stati anche utili dal punto di vista umanitario.
spero vivamente a) che la forza africana intervenga al più presto; b) che si pensi ad un nuovo modello per il sahel; c) che la cooperazione internazionale pensi a nuovi approcci
il grande inganno e problema è che tutti, quelli che devono e possono, sanno dall'inizio quando la malattia sta iniziando, ma aspettano che il cancro sia arrivato a una fase terminale, e bisogna intervenire e basta, niente discussioni e niente critiche.
RispondiEliminaquelli che devono e possono. e non fanno niente dall'inizio, sono, a mio avviso, criminali.
sarò stato chiaro?
chiarissimo.
RispondiEliminapurtroppo è così, quando le cose non sono eclatanti è più facile girare lo sguardo altrove. e spesso pure più conveniente
questo è il nostro destino?
RispondiEliminaneocolonialista e rapina nella sostanza?
che schifo:(