venerdì 4 gennaio 2013

Cosi abbiamo smesso di essere cittadini – Andrea Bajani

Qualche settimana fa una mamma, all' uscita da un incontro tra genitori e insegnanti in una scuola media torinese, mi ha detto che era stretta in un dilemma che non la faceva dormire. Come lei, le altre mamme e gli altri papà della classe. Il bivio era il seguente: o accettare che i propri figli tornassero a casa da scuola nel caso di un' ora buca, oppure contribuire economicamente al pagamento del supplente che quell' ora buca avrebbe coperto. «Hanno cominciato alle elementari chiedendoci la carta igienica - mi ha detto contrariata -, e adesso dobbiamo pagare gli stipendi». Al tempo della carta igienica i bambini erano arrivati una mattina e si erano messi tutti in coda, e poi uno dopo l' altro avevano fatto cadere ciascuno il proprio rotolo dentro un cestone di vimini. Erano persino contenti, mi ha spiegato la mamma con improvvisa tenerezza, di fare un dono alla scuola. All' uscita non parlavano d' altro, e la scuola sembrava diventata di colpo una cosa che gli apparteneva. Di più: si erano messi a escogitare altre maniere di fare dono alla scuola di qualcosa di sé. «Tutto bellissimo», mi ha detto la mamma inghiottendo la tenerezza. «Ma scusa: noi non pagavamo le tasse? Non eravamo dei cittadini?». Di fronte alla domanda di questa donna ho pensato che il cittadino stava poco a poco svanendo per lasciare il posto a una schiera di donatori bambini mandati avanti dai genitori: tutti in coda per buttare in un cestone di vimini un obolo per salvare uno stato in sfacelo. Così mi sono venuti in mente gli istituti oncologici. Quando si entra in un Istituto oncologico di cosiddetta eccellenza, quel che colpisce di più sono gli enormi assegni appesi alle pareti. Hanno la dimensione dei poster, e se ne stanno lì, incorniciati come stampe di Monet. In bella vista c' è un importo in denaro, da qualche centinaia fino a migliaia di euro, e il nome della persona o dell' ente che ha donato quei soldi…

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