sabato 24 maggio 2014

Per una religione anarchica? - Peter Lamborn Wilson (Hakim Bey)

Si dice spesso che noi anarchici “crediamo che gli esseri umani siano fondamentalmente buoni” (proprio come il saggio cinese Mencio). E però alcuni di noi mettono in dubbio il concetto di bontà intrinseca e rifiutano il dominio di altre persone proprio perché non ci fidiamo dei bastardi.
È poco intelligente fare generalizzazioni a proposito di “credenze” anarchiche, visto che molti di noi sono atei o agnostici, mentre altri potrebbero essere persino cattolici. Ovviamente alcuni anarchici amano indulgere nello sgradevole e inutile esercizio di scomunicare i compagni che professano una fede differente.
Per quanto mi riguarda, questa tendenza da parte di gruppuscoli antiautoritari di denunciare ed escludere l'altro mi ha sempre colpito come una pratica piuttosto cripto-autoritaria. Mi è sempre piaciuta l'idea di una definizione di anarchismo abbastanza ampia da coprire quasi tutte le varianti di una sorta di dogma acefalo, ma che nonostante tutto costituisce in qualche modo un “fronte unito”; una specie di “unione di egoisti”, per dirla con Stirner.
Questo ombrello dovrebbe essere sufficientemente ampio da coprire gli “anarchici spirituali” tanto quanto la maggior parte dei materialisti inflessibili.
Come è noto, Nietzsche fondò il suo progetto sul “nulla”, ma finì per abbozzare una sorta di religione senza morale e persino senza dio: “Zarathustra”, “vincere”, “l'eterno ritorno”, eccetera. Nei suoi ultimi “biglietti della follia” (Wahnbriefe) inviati da Torino, pare eleggere se stesso quale anti-messia di questa fede, firmandosi “Dioniso il Crocifisso”.
Si scopre che anche l'assioma “nulla” richiede un elemento di fede, e può condurre verso un certo tipo di esperienza spirituale o addirittura mistica: l'eretico auto-definito si limita a proporre un credo differente. La morte di Dio è misteriosamente seguita dalla rinascita di dèi: le divinità pagane del politeismo…
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