si legge come un romanzo, un terribile romanzo.
e però è tutto tragicamente vero.
leggendo questo libro anche Pangloss avrebbe difficoltà enormi a convincere Candido (e noi) che viviamo nel migliore dei mondi possibili.
una giornalista segue la pista di un pedofilo potente e svela una parte di realtà, molto grande, che non vogliamo conoscere, scrivendo nomi e cognomi, e qui sta la differenza, nei romanzi i nomi sono di fantasia e nessuno prova a sequestrarti e ucciderti, Lydia Cacho l'ha provato di persona.
nel mondo alla rovescia (il nostro) deve difendersi chi racconta quello che succede.
lettura dolorosa, ma necessaria - franz
e però è tutto tragicamente vero.
leggendo questo libro anche Pangloss avrebbe difficoltà enormi a convincere Candido (e noi) che viviamo nel migliore dei mondi possibili.
una giornalista segue la pista di un pedofilo potente e svela una parte di realtà, molto grande, che non vogliamo conoscere, scrivendo nomi e cognomi, e qui sta la differenza, nei romanzi i nomi sono di fantasia e nessuno prova a sequestrarti e ucciderti, Lydia Cacho l'ha provato di persona.
nel mondo alla rovescia (il nostro) deve difendersi chi racconta quello che succede.
lettura dolorosa, ma necessaria - franz
«Metti che dico a Lesly Portamene
una di 4 anni, e lei mi dice: Se la sono già scopata, io lo vedo se
l’hanno già scopata vedo se è il caso di metterglielo dentro
o no. Tu lo sai che è il mio vizio, no? È una stronzata ma non
so resistere, e lo so che è un reato e che è proibito
però è talmente facile, una bambina piccola non ha difese, la convinci
in un amen e la prendi». Lydia Cacho ha cominciato da qui, dalle immagini
di una confessione strappata da una telecamera nascosta a Jean Succar
Kuri, imprenditore pedofilo coinvolto nel trafficking di bambine
e adolescenti all’interno di una rete internazionale e coperto
da importanti esponenti politici e uomini d’affari probabilmente,
anche loro, implicati nel traffico. Un’inchiesta che ha portato la giornalista
messicana prima alla pubblicazione di Los Demonios del Eden (2005), dove
racconta il traffico delle bambine, gli stupri, il mercato del sesso
all’interno di una rete con «molteplici connessioni internazionali»,
frutto di una vasta e capillare raccolta di documentazione e di
materiale pedopornografico, con video e foto, in cui la scrittrice
non ha paura di fare nomi e cognomi dei responsabili; e poi
a Memorie di un’infamia (2011) dove racconta anche la sua storia, il
suo incubo personale. Accusata di diffamazione e calunnia,
a causa del primo libro, dagli stessi responsabili del trafficking,
Lydia Cacho non sapeva di aver messo il dito su una piaga che coinvolgeva non
solo l’imprenditore Succar ma un intero entourage politico fatto di legami
e clientelismi, che l’avrebbe portata quasi a morire per mano
della polizia giudiziaria corrotta. Arrestata, sequestrata, torturata,
portata in un carcere fuori la sua giurisdizione, Lydia è viva per
miracolo, e dopo essere stata coinvolta in processi senza fine, riceve
ancora oggi minacce di morte. Ed è per questo che è importante parlare
di lei, perché oltre al suo coraggio è viva anche «grazie alla mobilitazione
dell’opinione pubblica e all’appoggio di colleghi e colleghe del
mondo del giornalismo e, più in generale, di quello dei mezzi di comunicazione»,
come spiega lei stessa, perché se il suo caso non fosse diventato pubblico
e se il suo arresto non fosse balzato ai mass media al momento del suo
prelievo coatto, il suo corpo sarebbe stato probabilmente ritrovato in
mare senza vita. Un esempio di giornalismo militante che acquista
i suo potere «quando dà voce a chi è stato costretto
a tacere dalla forza schiacciante della violenza», uno dei motivi per
cui Lydia Cacho, insieme a Roberto Saviano, ha ricevuto pochi giorni fa
l’Olof Palme Prize 2012, il premio svedese destinato a chi lotta per la
libertà, per la «instancabile, altruista e spesso solitaria battaglia
per i loro ideali e per i diritti umani».
Il potere che protegge la
pornografia infantile
Questa non è la storia di un uomo
che scopre quanto gli piaccia avere rapporti sessuali con bambine anche di soli
cinque anni. Questa è la storia di una rete criminale che protegge e
sponsorizza la pedopornografia infantile. È la storia di Jean Succar Kuri
(distinto proprietario di alberghi), il capo di questa rete, che intesse
relazioni con importanti uomini politici e influenti imprenditori messicani ai
quali procura bambine e bambini per il loro piacere. Scrivere o leggere un
libro sugli abusi sessuali infantili e sul traffico di minori non è un compito
facile né un passatempo gradevole. Su questo fenomeno, tuttavia, è più pericoloso
mantenere il silenz io. Con la tacita connivenza della società e dello Stato,
migliaia di bambine e bambini diventano vittime di trafficanti che li
trasformano in oggetti sessuali a beneficio di milioni di uomini, che dalla
pedopornografia e dall’abuso sessuale sui minori traggono un godimento
personale esente da interrogativi etici. Benché gli episodi raccontati dalle
vittime siano profondamente dolorosi, il coraggio dei testimoni e la chiarezza
degli esperti ci consentono di scorgere la luce in fondo al tunnel e
approfondire le conseguenze dell’inazione di fronte alla violenza e allo
sfruttamento sessuale. Questo è un libro di Lydia Cacho, la giornalista più
temuta e ricercata del Messico.
Il primo libro di Lydia Cacho.
Per questa inchiesta la giornalista è stata arrestata illegalmente, torturata
e minacciata di morte numerose volte.
Città del Messico. In un paese dove
i giornalisti sono comunemente assassinati dai trafficanti di droga se scrivono
articoli sullo spaccio, Lydia Cacho Ribeiro ha preso di mira un’altra piaga: la
prostituzione forzata di minori. Il suo libro “I demoni dell’Eden: il potere
dietro la pornografia”, pubblicato in lingua spagnola nel maggio 2005,
testimonia il coinvolgimento di importanti uomini d’affari messicani nei giri
della pornografia infantile. Nel testo fa menzione di Jose Kamel Nacif Borge,
un industriale tessile di Puebla, amico e socio di Jean Succar Kuri, uomo
d’affari arrestato in Arizona (ed in attesa di estradizione da parte del
Messico) per accuse riguardanti la pornografia e la prostituzione infantile.
Il libro di Lydia dimostra che Nacif Borge non è solo un amico, ma bensì un protettore di Succar e ciò implica che l’industriale tessile potrebbe a sua volta aver abusato o abusare di minorenni.
Nacif, conosciuto come “Il Re del Denim” per le sue fabbriche di jeans, ha denunciato la 42enne autrice per diffamazione, e Lydia è stata arrestata a Cancun il 16 dicembre 2005. Quel giorno la polizia le fece compiere un viaggio di ventuno ore in auto fino a Puebla, nel Messico centrale, poiché là era stato emanato l’ordine di arresto.
“Il modo in cui sono stata arrestata, con quattro veicoli corazzati e una scorta di poliziotti, è il tipo di cosa che vorrei veder fatta per l’arresto di coloro che continuano ad assassinare donne a Juarez.”, mi ha detto Lydia, riferendosi alle centinaia di omicidi di donne che in quella città sono casi insoluti. La polizia insiste a ripetere che tutto è stato compiuto in termini assolutamente legali. Nei prossimi mesi Lydia dovrà presentarsi in tribunale. Se trovata colpevole, potrebbe essere condannata a sei mesi di prigione. Come in gran parte dell’America Latina, la diffamazione è un reato penale vero e proprio. Basta che le parole danneggino una reputazione: anche se ciò che viene detto è vero, può essere rubricato come diffamazione.
Lydia Cacho dice che in tribunale dovrà dimostrare che non ha scritto certe cose per “malizia”, ma perché ciò era necessario al suo lavoro di giornalista. Il suo libro include la trascrizione di un video in cui Succar attesta pianamente di aver fatto sesso con bambine di cinque anni. Il video, parte di un’operazione in cui la vittima predestinata di Succar ha segretamente registrato una conversazione con lui, è di due anni orsono ed è stato ampiamente pubblicizzato.
“Quello che ho scritto di Nacif Borge è esattamente ciò che la vittima ha detto di lui alla polizia federale. Succar e Nacif Borge sono amici intimi, è quello che entrambi hanno dichiarato.”, dice ancora Lydia. Ciò è stato sufficiente per l’accusa di diffamazione e per quello che Joel Simon, vicedirettore del Comitato di protezione dei giornalisti di New York, chiama “un rapimento giudiziario”. Simon sostiene che la classificazione criminosa della diffamazione in America Latina limita la libertà di parola. La sua organizzazione ha chiesto al Presidente messicano che i reati contro la libertà di opinione vengano investigati. Amnesty International ha chiamato la detenzione di Lydia Chaco “molestia giudiziaria”, e sostiene che essa minaccia la libertà di espressione della giornalista, e rende il resto del suo lavoro più pericoloso. Numerosi altri gruppi internazionali sono intervenuti a favore di Lydia.
L’autrice ed attivista racconta che sua madre, psicologa, ebbe in cura numerose vittime di abusi sessuali e violenza domestica, ed instillò nei propri sei figli la convinzione che “noi si abbia l’obbligo di fare qualcosa per il nostro paese, non tanto come atto quanto come responsabilità”. Per circa 4 anni, dichiaratamente ispirata dalla madre, Lydia ha diretto un Centro per le vittime di violenza domestica a Cancun, il “Centro Integral de Atencion a la Mujer”, che si è costruito un’ottima reputazione. La giornalista è molto conosciuta come direttrice del magazine “Esta boca es mia” (Questa bocca è mia), una rivista alternativa dedicata alle donne con base a Cancun. Lydia fa parte del network “Comunicacion e Informacion de la Mujer” (Comunicazione ed informazione della donna) il cui scopo è trattare informazioni e temi utili alle donne. E’ anche collaboratrice di vari quotidiani.
Lydia Cacho, laureata alla Sorbona, figlia di immigrati francesi, lasciò Città del Messico circa vent’anni fa, trovandola troppo caotica. Pensava che avrebbe avuto a Cancun una vita “pacifica e tranquilla”. Il suo lavoro le ha portato minacce ed almeno una grave aggressione. Lydia sospetta che lo stupro che ha subito su un autobus nel 1998 sia stato compiuto per ridurla al silenzio. Ora, i rischi che corre vanno aumentando. Subito dopo la pubblicazione del libro Lydia è stata posta sotto protezione dalla polizia federale, che però non ha avuto l’autorità per proteggerla dall’arresto da parte degli ufficiali di stato.
I casi di abuso di minori di cui si è occupata partono dalla testimonianza di una delle vittime di Succar, che un paio d’anni fa lo denunciò. La ragazza disse che l’uomo l’aveva incontrata fuori di scuola quando aveva 13 anni e l’aveva invitata a casa sua per nuotare in piscina e guardare la tv. Dopo un paio di visite Succar la costrinse a fare sesso con lui, e più tardi ad “arruolare” altre ragazzine, persino più giovani di lei. La ragazza rivelò tutto quattro anni più tardi, dietro consiglio di un’insegnante con la quale si era confidata.
Dopo aver testimoniato, la fanciulla (il cui nome non appare nel libro) si rivolse al Centro diretto da Lydia per aiuto, poiché era stata minacciata. Lydia riuscì a farla accogliere da un rifugio in Texas, dove sperava che la ragazza sarebbe stata al sicuro, ma gli avvocati di Succar riuscirono a trovarla e le fecero ritirare la denuncia. Da allora la ragazza è ricoverata in un istituto di Los Angeles, dove viene curata per grave trauma psicologico.
da quiIl libro di Lydia dimostra che Nacif Borge non è solo un amico, ma bensì un protettore di Succar e ciò implica che l’industriale tessile potrebbe a sua volta aver abusato o abusare di minorenni.
Nacif, conosciuto come “Il Re del Denim” per le sue fabbriche di jeans, ha denunciato la 42enne autrice per diffamazione, e Lydia è stata arrestata a Cancun il 16 dicembre 2005. Quel giorno la polizia le fece compiere un viaggio di ventuno ore in auto fino a Puebla, nel Messico centrale, poiché là era stato emanato l’ordine di arresto.
“Il modo in cui sono stata arrestata, con quattro veicoli corazzati e una scorta di poliziotti, è il tipo di cosa che vorrei veder fatta per l’arresto di coloro che continuano ad assassinare donne a Juarez.”, mi ha detto Lydia, riferendosi alle centinaia di omicidi di donne che in quella città sono casi insoluti. La polizia insiste a ripetere che tutto è stato compiuto in termini assolutamente legali. Nei prossimi mesi Lydia dovrà presentarsi in tribunale. Se trovata colpevole, potrebbe essere condannata a sei mesi di prigione. Come in gran parte dell’America Latina, la diffamazione è un reato penale vero e proprio. Basta che le parole danneggino una reputazione: anche se ciò che viene detto è vero, può essere rubricato come diffamazione.
Lydia Cacho dice che in tribunale dovrà dimostrare che non ha scritto certe cose per “malizia”, ma perché ciò era necessario al suo lavoro di giornalista. Il suo libro include la trascrizione di un video in cui Succar attesta pianamente di aver fatto sesso con bambine di cinque anni. Il video, parte di un’operazione in cui la vittima predestinata di Succar ha segretamente registrato una conversazione con lui, è di due anni orsono ed è stato ampiamente pubblicizzato.
“Quello che ho scritto di Nacif Borge è esattamente ciò che la vittima ha detto di lui alla polizia federale. Succar e Nacif Borge sono amici intimi, è quello che entrambi hanno dichiarato.”, dice ancora Lydia. Ciò è stato sufficiente per l’accusa di diffamazione e per quello che Joel Simon, vicedirettore del Comitato di protezione dei giornalisti di New York, chiama “un rapimento giudiziario”. Simon sostiene che la classificazione criminosa della diffamazione in America Latina limita la libertà di parola. La sua organizzazione ha chiesto al Presidente messicano che i reati contro la libertà di opinione vengano investigati. Amnesty International ha chiamato la detenzione di Lydia Chaco “molestia giudiziaria”, e sostiene che essa minaccia la libertà di espressione della giornalista, e rende il resto del suo lavoro più pericoloso. Numerosi altri gruppi internazionali sono intervenuti a favore di Lydia.
L’autrice ed attivista racconta che sua madre, psicologa, ebbe in cura numerose vittime di abusi sessuali e violenza domestica, ed instillò nei propri sei figli la convinzione che “noi si abbia l’obbligo di fare qualcosa per il nostro paese, non tanto come atto quanto come responsabilità”. Per circa 4 anni, dichiaratamente ispirata dalla madre, Lydia ha diretto un Centro per le vittime di violenza domestica a Cancun, il “Centro Integral de Atencion a la Mujer”, che si è costruito un’ottima reputazione. La giornalista è molto conosciuta come direttrice del magazine “Esta boca es mia” (Questa bocca è mia), una rivista alternativa dedicata alle donne con base a Cancun. Lydia fa parte del network “Comunicacion e Informacion de la Mujer” (Comunicazione ed informazione della donna) il cui scopo è trattare informazioni e temi utili alle donne. E’ anche collaboratrice di vari quotidiani.
Lydia Cacho, laureata alla Sorbona, figlia di immigrati francesi, lasciò Città del Messico circa vent’anni fa, trovandola troppo caotica. Pensava che avrebbe avuto a Cancun una vita “pacifica e tranquilla”. Il suo lavoro le ha portato minacce ed almeno una grave aggressione. Lydia sospetta che lo stupro che ha subito su un autobus nel 1998 sia stato compiuto per ridurla al silenzio. Ora, i rischi che corre vanno aumentando. Subito dopo la pubblicazione del libro Lydia è stata posta sotto protezione dalla polizia federale, che però non ha avuto l’autorità per proteggerla dall’arresto da parte degli ufficiali di stato.
I casi di abuso di minori di cui si è occupata partono dalla testimonianza di una delle vittime di Succar, che un paio d’anni fa lo denunciò. La ragazza disse che l’uomo l’aveva incontrata fuori di scuola quando aveva 13 anni e l’aveva invitata a casa sua per nuotare in piscina e guardare la tv. Dopo un paio di visite Succar la costrinse a fare sesso con lui, e più tardi ad “arruolare” altre ragazzine, persino più giovani di lei. La ragazza rivelò tutto quattro anni più tardi, dietro consiglio di un’insegnante con la quale si era confidata.
Dopo aver testimoniato, la fanciulla (il cui nome non appare nel libro) si rivolse al Centro diretto da Lydia per aiuto, poiché era stata minacciata. Lydia riuscì a farla accogliere da un rifugio in Texas, dove sperava che la ragazza sarebbe stata al sicuro, ma gli avvocati di Succar riuscirono a trovarla e le fecero ritirare la denuncia. Da allora la ragazza è ricoverata in un istituto di Los Angeles, dove viene curata per grave trauma psicologico.
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