Come muore un bambino asfissiato dentro un Tir? In
attesa di cambiare il mondo e mettere fine alle guerre post-coloniali
dell’Occidente e a quelle che ora combattono le pretromonarchie in
Medio Oriente, dovremmo ingaggiare una guerra di resistenza, che già ci coinvolge
tutti: l’assuefazione alle stragi quotidiane dei migranti.
Il rischio di digerire sempre più rapidamente le notizie
che ogni giorno la televisione porta nei nostri tinelli è fortissimo.
Il rullo mediatico macina i morti a pranzo e a cena e, lo sappiamo,
l’abitudine è capace di rendere sopportabili cose spaventose. Del
resto bastava sfogliare i giornali di ieri per vedere che l’eccitazione
della grande stampa era tutta per la “questione romana”, mentre le decine di
morti asfissiati sul Tir che trasportava uomini, donne e bambini
dall’Ungheria all’Austria faticava a guadagnare i grandi titoli di
prima pagine. Perfino giornali progressisti e sempre in prima linea
contro le malefatte della casta, relegavano la strage del camion in poche
righe. Naturalmente con le eccezioni del caso, a confermare la
regola, e fatti salvi i giornali della destra che contro
i migranti sparano titoli forcaioli per lucrare qualche copia
lisciando il pelo ai peggiori sentimenti xenofobi e razzisti di lettori
e elettori.
Ma l’informazione ai tempi della rete può anche essere
l’antidoto al prevalere di assuefazione e abitudine. Come dimostra
il caso dell’attivista islandese, promotore di una raccogliere fondi
a favore di un uomo, rifugiato palestinese, proveniente dal campo profughi
siriano di Yarmuk, a Damasco. Grazie all’immagine di Abdul che vende
penne biro all’incrocio di una strada di Beirut con la figlioletta in braccio,
il web ha prodotto un felice cortocircuito e scatenato una gara di
solidarietà.
Tuttavia non è solo l’informazione a essere
chiamata in causa. Subito dopo viene la politica e in primo luogo quella
che si richiama ai principi di libertà e uguaglianza della sinistra.
Come è possibile che lungo i muri che
l’Europa costruisce sulle frontiere di terra non ci siano manifestazioni
di protesta accanto all’esodo di chi fugge e muore? Perché davanti
a quel filo spinato piantato dal regime reazionario del premier
ungherese Orbàn non c’è una carovana di quei militanti che dicono di battersi
per favorire finalmente l’apertura delle frontiere della Fortezza– Europa?
Al punto in cui siamo nessuno più può dire di non sapere
perché tutto l’orrore e il dolore è in onda, e non siamo più in
pochi a vedere quel che accade. Persino leader europei come Merkel
devono scendere in campo politicamente e personalmente per dire che
i vecchi trattati (Dublino) sono da rivedere.
La sinistra dovrebbe fare dell’immigrazione la sua battaglia principale, giocandola all’offensiva, nei singoli paesi di appartenenza e nei punti caldi dell’esodo. I convegni sono utili ma non bastano. Meno talk-show e più mobilitazioni per manifestare concretamente presenza e solidarietà. Per esempio sulla nostra grande frontiera del Mezzogiorno, la prima linea per i comuni che cercano di accogliere come possono i sopravvissuti ai viaggi della morte. Il Sud dovrebbe essere anche la frontiera della sinistra.
La sinistra dovrebbe fare dell’immigrazione la sua battaglia principale, giocandola all’offensiva, nei singoli paesi di appartenenza e nei punti caldi dell’esodo. I convegni sono utili ma non bastano. Meno talk-show e più mobilitazioni per manifestare concretamente presenza e solidarietà. Per esempio sulla nostra grande frontiera del Mezzogiorno, la prima linea per i comuni che cercano di accogliere come possono i sopravvissuti ai viaggi della morte. Il Sud dovrebbe essere anche la frontiera della sinistra.
E intanto, in attesa di cancellare leggi criminogene
come la Bossi-Fini, a chi fugge per mare e per terra su un gommone
o nel cassone di un Tir, per non morire basterebbe salire su una nave
o su un treno. Con un semplice, regolare biglietto.
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